Il buon compatriotto/Atto III

Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Costemza.

Rosina e Leandro,

Leandro. Sì, amabile Contessina. Sono in libertà; sono tutto vostro.

Rosina. Come avete fatto a disimpegnarvi da quella che volevano che voi prendeste in isposa?

Leandro. Colla maggiore facilità del mondo. Ella mi ha accolto assai freddamente; io l’ho trattata con egual freddezza. Si vede ch’ella ha il cuore assai preoccupato; ed io le ho dato a conoscere di non aver inclinazione per lei. Ci siamo intesi senza parlare, e quantunque i nostri genitori ancor si lusinghino, quando siamo d’accordo di non volerci, niuno potrà farci legar per forza.

Rosina. Dunque potrò lusingarmi che siate mio. [p. 384 modifica]

Leandro. Sì, cara, lo voglio essere ad ogni costo.

Rosina. Avete veduto il mio servitore?

Leandro. Non l’ho veduto.

Rosina. Come avete fatto a trovarmi?

Leandro. Ne ho avuto la traccia da quel medesimo che vi ha qui collocata.

SCENA II.

Costanza e detti.

Costanza. Patroni reveriti.

Rosina. Serva, signora Costanza.

Costanza. La gh’ha sempre visite, patrona.

Rosina. Questi è mio fratello, signora.

Costanza. So fradello? Me consolo infinitamente.

Leandro. (Mi piace il ripiego. Si vede che ha dello spirito).

Costanza. Me despiase, signor, che in casa no gh’ho comodo, per poderghe dir che la resta servida anca ela.

Leandro. Non preme, signora mia, non preme. Vi ringrazio della vostra cortese disposizione. Bastami che per qualche giorno vi contentiate di trattenere in casa con voi la Contessina mia sorella.

Costanza. Contessa la xe? (a Rosina)

Rosina. Per servirla.

Costanza. Mo caspita! Perchè no me l’ala ditto alla prima? L’averia servida con un poco più d’attenzion.

Rosina. Io sono contentissima del trattamento che vi siete compiaciuta di farmi; nè io soglio aver ambizione nè di titoli, nè di grandezze.

Costanza. (La xe ben una signora de garbo).

Leandro. Signora sorella, deggio andarmene per sollecitare l’affare che voi sapete.

Rosina. Andate, signor Leandro, e portatemi delle buone notizie.

Costanza. (El gh’ha nome Leandro. Che bel nome! El conte Leandro). [p. 385 modifica]

Leandro. Spero che abbia tutto d’andare felicemente.

Rosina. In verità, sono contentissima.

Leandro. Signora, con permissione. (a Costanza)

Costanza. La se comodi come la comanda.

Leandro. Addio, Contessina.

Rosina. Addio, Contin.

Leandro. (Bravissima. Non ho mai conosciuta una giovane più spiritosa). (parte)

SCENA III.

Costanza e Rosina,

Costanza. Cara siora Contessa, non so cossa dir, me despiase che la camera no xe da par soo. Se la comanda che ghe ceda la mia per sti pochi de zomi, lo farò volentiera.

Rosina. No no, sto benissimo dove sono. Non permetterei v’incomodaste.

Costanza. Co la se contenta cussì...

Rosina. Sono contentissima. Permettetemi ch’io mi ritiri per un affare.

Costanza. La se comodi. E dove posso, la comandi liberamente.

Rosina. Sarò grata alle vostre attenzioni. (Chi sa mai dove andrà a finire questa commedia?) (parte)

SCENA IV.

Costanza, poi Traccagnino,

Costanza. Vardè, vardè, chi l’avesse ditto! Una contessa la xe. Stimo che sior Musestre no m’ha ditto gnente. Pol esser che nol lo savesse gnanca elo. Vardè quando che i dise; ghe xe tanti che se fa dar dei titoli che no ghe vien, e questa che xe titolada, no gh’importa gnente che i ghe lo diga.

Traccagnino. (Segue a soggetto.) [p. 386 modifica]

SCENA V.

Rosina e detti.

Segue come in soggetto.

SCENA VI.

Rosina e Traccagnino.

SCENA VII.

Costanza e detti.

SCENA VIII.

Ridolfo e detti.

SCENA IX.

Strada.

Pantalon e Brighella.

Segue come in soggetto.

SCENA X.

Brighella solo.

SCENA XI.

Traccagnino e detto.

SCENA XII.

Brighella, poi Leandro.

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SCENA XIII.

Rosina, Traccagnino e detti.

Traccagnino. (Presenta Rosina a Brighella.)

Leandro. (Oh cieli! La Contessina! Mi dispiace che vi si trovi Brighella).

Rosina. (Xe qua sior Leandro, me despiase che no ghe posso discorrer con libertà).

Brighella. Patrona reverita.

Rosina. Vi saluto quel giovine.

Brighella. (Vi saluto quel giovine? Questo no xe parlar bergamasco). Disè, camerada, xela questa la patriota che m’avè ditto?

Traccagnino. (Dì sì, che è quella.)

Brighella. Mo come xela bergamasca, se la parla toscano?

Traccagnino. (Che sa parlare in tutt’i linguaggi.)

Brighella. (Ho capio; una dretta de ventiquattro carati). (da sè)

Rosina. (Disè). (a Traccagnino)

Traccagnino. (S’accosta a Rosina.)

Rosina. Cossa diselo quel galantomo?

Traccagnino.(Dice che è maravigliato ch’ella sappia parlar toscano.)

Rosina. (Gh’aveu conta tutto?)

Traccagnino. (Non tutto, ma qualche cosa.)

Rosina. No vorria che i me scoverzisse. (da sè)

Brighella. (Gran segreti! gran macchine! gran alzadure d’inzegno!)

Leandro. (Vorrei che se ne andasse Brighella).

Brighella. Sior Leandro, la cognosselo sta signora?

Leandro. Io no, non la conosco. (Non vo’ ch’ei sappia la nostr’amicizia).

Brighella. Dasseno, noi la cognosse?

Leandro. Se vi dico di no. (La Contessa ha giudizio, non vi è pericolo che mi faccia smentire). (da sè)

Rosina. (El fa ben, per far che sto servitor no sappia i nostri interessi). (da sè) [p. 388 modifica]

Traccagnino. (Si raccomanda a Brighella che gli trovi alloggio, perchè non vuol più stare in strada con quella donna.)

Brighella. Adesso; aspettè. (a Traccagnino) La sappia, signor, che sta povera donna, muggier de quel galantomo...

Leandro. Come! quella signora è moglie di Traccagnino? (con calore)

Rosina. Non è vero niente.

Brighella. No m’aveu ditto vu, che la xe vostra muggier? (a Traccagnino)

Traccagnino. (A Rosina) No m’aveu ditto vu, che diga che son vostro mario?

Leandro. Che imbroglio è questo, signora Contessa?

Brighella. Contessa?

Leandro. Sì, la conosco benissimo. È una dama vedova, è milanese. È la contessa di Buffalora.

Brighella. Nè dama, nè vedua, nè contessa de Buffalora. (a Leandro)

Rosina. (Oh poveretta mi! el pettolon1 xe scoverto).

Leandro. Signora, giustificatevi, che ci va della vostra riputazione.

Rosina. Signore, compatite; ho avute le mie ragioni per tenermi occulta. Tra voi e me saprò giustificarmi perfettamente.

Leandro. Ma costui non è il vostro servo?

Traccagnino. (In collera: che si maraviglia, che non è servo e non è costui. Ch’è un galantuomo, buon bergamasco, nato buon ciabattino onorato, e che ora vuol fare il mercante, e che pregato da Rosina si è accompagnato con lei per farle carità, e per l'onor della patria.)

Rosina. (Sia maledetto co m’ho intriga con costù).

Brighella. E sia ditto a so onor e gloria, i l’ha scazzadi dalla casa dove che i giera, e i se raccomanda perchè ghe trova un alozo. Onde se sior Leandro gh’ha della premura per siora contessa de Buffalora e per sior conte Batocchio, el pol darse l’onor de trovarghe un palazzo sul Canal grando.

Leandro. Sì, Brighella, deridetemi, che avete ragione di farlo. Io non insulterò una donna qualunque siasi, malgrado le di lei imposture: perchè alle donne son solito portar rispetto, e costei [p. 389 modifica] ha saputo piacermi, e tuttavia me la sento nel cuore. Condanno me medesimo solamente di troppo facile, di troppo incauto, di troppo cieco. Merito peggio. Mio padre mi chiama in Venezia per un maritaggio, ed io mi perdo in amori stranieri, vagheggio un’incognita, e dono il core ad una femmina venturiera? Il freddo accoglimento della signora Isabella può esser provenuto dal saper ella il torto ch’io le facea. Pur troppo sarà stata avvertita della mia mala condotta. Merito peggio, e son disposto a domandarle perdono. Ite voi, o signora, dove v’aggrada. A me più non pensate, ch’io farò ogni sforzo per dimenticarmi di voi. Non vi rimprovero, non v’insulto; vi dico in cambio, che non fate torto a’ doni del cielo; che non abusate del vostro talento, che fate miglior conto della vostra bellezza. Vi auguro miglior sorte e miglior condotta, e vi abbandono per sempre, e non isperate di vedermi mai più. (parte)

Brighella. Siora Contessa, la reverisso. Sior Conte, ghe son umilissimo servitor. (parte)

SCENA XIV.

Rosina e Traccagnino.

Rosina. Tutto per causa vostra. Son in rovina per vu; son in precipizio per causa vostra.

Traccagnino. (Che tutto ecc. Segue a soggetto, e tutti due via.)

SCENA XV.

Camera d’Isabella2.

Isabella, poi Servitore.

Isabella. Grand’inquietudine ho nell’animo mio! Veggio a quai pericoli vado incontro, alimentando per Ridolfo la mia passione. Mio padre si lusinga ancora ch’io condiscenda a sposar [p. 390 modifica] Leandro, e se viene a rilevare il contrario, m’aspetto di provare il suo sdegno. Leandro, per dirla, non merita di essere sprezzato, ma la poca inclinazione che ho in lui scoperta per me, mi anima a non curarlo; e l’amore che ho per Ridolfo, e la parola datagli, mi consigliano a sostenere ad ogni costo il mio primo impegno. Non so che dire: sia di me quel che destina la sorte. Tutt’i mali hanno fine, ed avran fine un giorno i miei spasimi, i miei batticuori.

Servitore. Xe qua un’altra volta quella siora Costanza de sta mattina.

Isabella. A che torna ella ad infastidirmi? Venga; sentiamo un pò ciò che vuole. (servitore via) Se viene nuovamente a insultarmi sul proposito di Ridolfo, la farò partire mal soddisfatta.

SCENA XVI.

Costanza e la suddetta.

Costanza. Patrona, siora Bettina.

Isabella. Serva sua.

Costanza. La perdoni se son tornada a incomodarla.

Isabella. Padrona. Ha ella qualche cosa da comandarmi?

Costanza. Ho da reverirla per parte de sior Ridolfo.

Isabella. Signora, viene ella a burlarmi?

Costanza. No, la veda, no son capace de burlar nissun.

Isabella. È forse concluso il di lei matrimonio con esso lui?

Costanza. Oh patrona no. No la s’indubita, che nol xe successo, e nol succederà.

Isabella. Mi pareva impossibile che il signor Ridolfo mi usasse un’azione simile.

Costanza. Oh, el xe un galanlomo, no gh’è pericolo.

Isabella. S’è vero quel ch’ella diceva, avrà mancato a lei dunque.

Costanza. La senta, a qualchedun bisognava ch’el mancasse. L’aveva promesso a ela, el m’aveva promesso a mi, l’aveva promesso a una povera diavola de una bergamasca.

Isabella. A un’altra ancora aveva promesso? [p. 391 modifica]

Costanza. Se ghe piase!

Isabella. E a chi ha intenzione di voler mantener la parola?

Costanza. La leza sta polizza, e la sentirà.

Isabella. Che viglietto è questo?

Costanza. Un biglietto de sior Ridolfo.

Isabella. A chi lo scrive?

Costanza. La leza e la sentirà.

Isabella. (Legge) Ridolfo de’ Citroccoli, con quest’unica carta fa i suoi umilissimi complimenti colla signora Isabella de’ bisognosi, colla signora Rosina Argentini e colla signora Costanza Toffolotti...

Costanza. Che son mo mi.

Isabella. (Legge) Rende grazie a tutte tre delle loro finezze, gli dispiace non poter adempire con tutte tre i suoi impegni, e per non far torto a nissuna, le riverisce divotamente, e parte immediatamente per Napoli.

Costanza. Ala sentio?

Isabella. E dov’è presentemente il signor Ridolfo?

Costanza. Intanto che mi giera in soffitta a far i fatti mii, l’ha tolto suso el so bauletto, l’è montà in barca, el se l’ha fatta, e el n’ha lassà co sto bel complimento.

Isabella. E che cosa dite di quest’azione?

Costanza. Cossa disela ela?

Isabella. Io dico che un uomo simile non merita la mia stima.

Costanza. E mi digo, che se el gh’avesse in te le ongie3, Io vorria frantumar come un pulese4.

Isabella. Indegno!

Costanza. Tocco de desgrazià!

Isabella. Con una figlia mia pari!

Costanza. Con una vedua della mia sorte!

Isabella. Ah, mio padre me lo prediceva.

Costanza. El cuor me l’ha ditto.

Isabella. Confesso che ho della pena a scordarmelo, ma converrà superarmi. [p. 392 modifica]

Costanza. Anca mi ghe voleva ben; ma el me xe andà zo dei garettoli5.

Isabella. Converrà ch’io obbedisca mio padre, e sposi quello ch’ei mi vuol dare.

Costanza. E mi bisognerà che me proveda d’una meggio occasion.

Isabella. Non mancan gli uomini, signora Costanza.

Costanza. Ma de boni ghe ne xe pochi.

Isabella. Vien gente, favorite nella mia camera.

Costanza. Che leverò l’incomodo.

Isabella. No, no, ho piacere che mi raccontiate tutto di quell’uomo cattivo.

Costanza. Se la savesse quella della signora Contessa!

Isabella. Andiamo, andiamo; la sentirò volentieri.

Costanza. Cosse da far romanzi. (parte)

Isabella. Il cielo mi vuol più ben ch’io non merito. (parte)

SCENA XVII.

Pantalone e Dottore.

Seguono come in soggetto, poi

SCENA XVIII.

Brighella e detti.

Segue a soggetto. Pantalone e Dottore partono,

Brighella resta.

SCENA XIX.

Dottore conducendo Leandro, Pantalone conducendo

Isabella e Brighella.

Pantalone. Via, sior Leandro xe qua: se ti gh’ha delle rason in contrario, dile liberamente, e sarò mi el primo a farle giustizia.

Dottore. (A Leandro, che parli pure liberamente, che non intende di volerlo maritare per forza.) [p. 393 modifica]

Leandro. Io mi riporto a quello dirà la signora Isabella.

Isabella. Starò in attenzione di quello saprà dire il signor Leandro.

Leandro. Signora, in quanto a me mi chiamerei fortunato se fossi degno dell’amor vostro.

Isabella. Sarei troppo ingrata, se mi abusassi della vostra bontà.

Leandro. Mio padre mi fa sperare il dono della vostra mano.

Isabella. Ed io obbedisco di buona voglia al mio genitore, offerendovi la mano ed il cuore.

Leandro. Temo non esser degno di tanta grazia, perciò vi chiedo umilmente una sicura testimonianza.
(Dottore e Pantalone: loro maraviglie mute.)

Isabella. Che poss’io fare per assicurarvi dell’amor mio?

Leandro. Accettare la destra ch’or vi offerisco.

Isabella. Sono prontissima ad aggradire l’offerta, (si danno la mano, e vorrebbero lasciarla.)

Pantalone. Fermeve là. Diseu dasseno? (fa che si tenghino la mano)

Isabella. Io non ischerzo, signore.

Dottore. (A Leandro, se dica anche lui davvero.)

Leandro. Mi pare che così non si burli.

Pantalone. Bravi, sposeve.

Dottore. (Gli fa coraggio.)

Leandro. La signora Isabella è mia moglie.

Isabella. Il signor Leandro è mio marito.
(Dottore e Pantalone si consolano. Brighella anche lui.)

SCENA XX.

Costanza e detti.

Costanza. Me consolo anca mi. Magari anca mi: ancuo ela, e doman mi.

Isabella. Grazie, signora Costanza. Prego il cielo che voi pure siate contenta.

Costanza. Me rallegro del bel novizzo. Altro che sior Ridolfo! L’ha fatto ben a andar via, e de portar la spuzza lontan de qua. [p. 394 modifica]

Pantalone. Xelo andà via sior Ridolfo? (a Costanza)

Costanza. Sior sì, el xe andà in tanta malora.

Pantalone. (Adesso capisso la rassegnazion de mia fia).

SCENA ULTIMA.

Brighella, poi Rosina e Traccagnino, e detti.

Brighella. (Domanda licenza d’introdurre un uomo e una donna suoi patriotti. Pantalone glielo concede. Brighella va alla scena, e fa venire Traccagnino e Rosina.)

Costanza. (Questa xe la siora Contessa che ghe diseva). (a Isabella)

Isabella. (Quella a cui s’era attaccato il signor Leandro?)

Costanza. Giusto quella.

Rosina. Patroni reveriti. Le perdona l’incomodo, e se mai qualchedun avesse pensa mal de mi, vegno a dirghe che son una una donna onorata, e che questo xe mio mario.

Traccagnino. (Che l’ha sposata per amor della patria.)

Brighella. E se pol dir che Traccagnin Batocchio xe veramente un bon patrioto.

Dottore. (Che ora capisce la facilità di suo figlio in sposare Isabella.)

Isabella. Son contentissima di veder consolata questa povera donna, che ingannata anch’ella da un infedele, si è esposta anch’ella a tante peripezie. Spero che il mio caro sposo non mi darà motivi di gelosia, e conducendomi a Bologna seco, mi farà godere quella pace ch’io tanto desidero. Sia lode al cielo di tutto, e lodisi, se lo merita, o si compatisca almeno, il Buon Compatriotto.

Fine della Commedia.


Note

  1. Mancamento, errore celato, magagna non saputa, spiega il Goldoni: vol. II, 270 e 362.
  2. Manca questa indicazione nel testo.
  3. Nelle unghie.
  4. Come una pulce.
  5. Vedi: zoso per i calcagni, vol. VIII, 153.