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388 | ATTO TERZO |
Traccagnino. (Si raccomanda a Brighella che gli trovi alloggio, perchè non vuol più stare in strada con quella donna.)
Brighella. Adesso; aspettè. (a Traccagnino) La sappia, signor, che sta povera donna, muggier de quel galantomo...
Leandro. Come! quella signora è moglie di Traccagnino? (con calore)
Rosina. Non è vero niente.
Brighella. No m’aveu ditto vu, che la xe vostra muggier? (a Traccagnino)
Traccagnino. (A Rosina) No m’aveu ditto vu, che diga che son vostro mario?
Leandro. Che imbroglio è questo, signora Contessa?
Brighella. Contessa?
Leandro. Sì, la conosco benissimo. È una dama vedova, è milanese. È la contessa di Buffalora.
Brighella. Nè dama, nè vedua, nè contessa de Buffalora. (a Leandro)
Rosina. (Oh poveretta mi! el pettolon1 xe scoverto).
Leandro. Signora, giustificatevi, che ci va della vostra riputazione.
Rosina. Signore, compatite; ho avute le mie ragioni per tenermi occulta. Tra voi e me saprò giustificarmi perfettamente.
Leandro. Ma costui non è il vostro servo?
Traccagnino. (In collera: che si maraviglia, che non è servo e non è costui. Ch’è un galantuomo, buon bergamasco, nato buon ciabattino onorato, e che ora vuol fare il mercante, e che pregato da Rosina si è accompagnato con lei per farle carità, e per l'onor della patria.)
Rosina. (Sia maledetto co m’ho intriga con costù).
Brighella. E sia ditto a so onor e gloria, i l’ha scazzadi dalla casa dove che i giera, e i se raccomanda perchè ghe trova un alozo. Onde se sior Leandro gh’ha della premura per siora contessa de Buffalora e per sior conte Batocchio, el pol darse l’onor de trovarghe un palazzo sul Canal grando.
Leandro. Sì, Brighella, deridetemi, che avete ragione di farlo. Io non insulterò una donna qualunque siasi, malgrado le di lei imposture: perchè alle donne son solito portar rispetto, e costei
- ↑ Mancamento, errore celato, magagna non saputa, spiega il Goldoni: vol. II, 270 e 362.