Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/404

390 ATTO TERZO


Leandro, e se viene a rilevare il contrario, m’aspetto di provare il suo sdegno. Leandro, per dirla, non merita di essere sprezzato, ma la poca inclinazione che ho in lui scoperta per me, mi anima a non curarlo; e l’amore che ho per Ridolfo, e la parola datagli, mi consigliano a sostenere ad ogni costo il mio primo impegno. Non so che dire: sia di me quel che destina la sorte. Tutt’i mali hanno fine, ed avran fine un giorno i miei spasimi, i miei batticuori.

Servitore. Xe qua un’altra volta quella siora Costanza de sta mattina.

Isabella. A che torna ella ad infastidirmi? Venga; sentiamo un pò ciò che vuole. (servitore via) Se viene nuovamente a insultarmi sul proposito di Ridolfo, la farò partire mal soddisfatta.

SCENA XVI.

Costanza e la suddetta.

Costanza. Patrona, siora Bettina.

Isabella. Serva sua.

Costanza. La perdoni se son tornada a incomodarla.

Isabella. Padrona. Ha ella qualche cosa da comandarmi?

Costanza. Ho da reverirla per parte de sior Ridolfo.

Isabella. Signora, viene ella a burlarmi?

Costanza. No, la veda, no son capace de burlar nissun.

Isabella. È forse concluso il di lei matrimonio con esso lui?

Costanza. Oh patrona no. No la s’indubita, che nol xe successo, e nol succederà.

Isabella. Mi pareva impossibile che il signor Ridolfo mi usasse un’azione simile.

Costanza. Oh, el xe un galanlomo, no gh’è pericolo.

Isabella. S’è vero quel ch’ella diceva, avrà mancato a lei dunque.

Costanza. La senta, a qualchedun bisognava ch’el mancasse. L’aveva promesso a ela, el m’aveva promesso a mi, l’aveva promesso a una povera diavola de una bergamasca.

Isabella. A un’altra ancora aveva promesso?