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392 | ATTO TERZO |
Costanza. Anca mi ghe voleva ben; ma el me xe andà zo dei garettoli1.
Isabella. Converrà ch’io obbedisca mio padre, e sposi quello ch’ei mi vuol dare.
Costanza. E mi bisognerà che me proveda d’una meggio occasion.
Isabella. Non mancan gli uomini, signora Costanza.
Costanza. Ma de boni ghe ne xe pochi.
Isabella. Vien gente, favorite nella mia camera.
Costanza. Che leverò l’incomodo.
Isabella. No, no, ho piacere che mi raccontiate tutto di quell’uomo cattivo.
Costanza. Se la savesse quella della signora Contessa!
Isabella. Andiamo, andiamo; la sentirò volentieri.
Costanza. Cosse da far romanzi. (parte)
Isabella. Il cielo mi vuol più ben ch’io non merito. (parte)
SCENA XVII.
Pantalone e Dottore.
Seguono come in soggetto, poi
SCENA XVIII.
Brighella e detti.
Segue a soggetto. Pantalone e Dottore partono,
Brighella resta.
SCENA XIX.
Dottore conducendo Leandro, Pantalone conducendo
Isabella e Brighella.
Pantalone. Via, sior Leandro xe qua: se ti gh’ha delle rason in contrario, dile liberamente, e sarò mi el primo a farle giustizia.
Dottore. (A Leandro, che parli pure liberamente, che non intende di volerlo maritare per forza.)
- ↑ Vedi: zoso per i calcagni, vol. VIII, 153.