Il bel paese (1876)/Serata VIII. - Le Caverne di Vallimagna

Serata VIII. - Le Caverne di Vallimagna

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Serata VIII. - Le Caverne di Vallimagna
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SERATA VIII


Le caverne di Vall’Imagna.

Le Prealpi italiane, 1. — Bellezze delle Prealpi, 2. — Ponte Giurino, 3. — La Cornabusa, 4. — La Caverna del Dàina, e le stalattiti, 5. — La Tomba de’ Polacchi, 6.


1. «Che vi dovrò raccontare stassera?» domandai al mio piccolo uditorio radunato come al solito nella solita sala. «Di Alpi dovete esserne satolli fino all’indigestione. N’è vero?».

«Oh no» rispose Giannina, non so se per sè sola o anche per gli altri. «Ma giacchè sembri disposto a condurci altrove, per mettimi di farti una domanda, che conservo in petto da molto tempo. Che cosa sono le Prealpi, che tu hai nominato più volte, e che non trovo accennate ne’ miei libri di geografia?».

«Prealpi non è nome che appartenga alla geografia classica, e molto meno all’antica. Fu creato piuttosto modernamente dalla geografia fisica e dalla geologia. Questo nome vorrebbe dire in genere i contrafforti delle Alpi, le montagne che sorgono fra le colline di Torino, per esempio, del Varesotto, della Brianza, del Bergamasco, del Bresciano, del Vicentino, e i colossi alpini che formano proprio la cresta delle Alpi, lo sparti-acque della grande catena che separa l’Italia dalla Francia, dalla Svizzera e dalla Germania. Quelle montagne, talora già ben distinte topograficamente, lo sono ancora meglio per la loro costituzione geologica. Sono principalmente montagne calcaree e dolomitiche, appartenenti a un’epoca media.... Voi non intendete certamente abbastanza il senso di queste parole; ma s’io volessi entrare in argomento, non ne uscirei nè per giorni nè per settimane. Accontentatevi di sapere che i geologi, studiando le formazioni, cioè [p. 137 modifica]le diverse masse di terreno, di cui il globo si compone alla superficie, giunsero a conoscere che esse appartengono a diverse epoche successive e a distinguerle con nomi diversi secondo che vi si incontrano reliquie di animali che vissero nei diversi tempi. Alcune appartengono ad un’epoca primitiva, lunghissima, detta protozoica, che significa dei primi viventi1; altre ad una seconda epoca pure lunghissima, che si chiamò paleozoica, cioè degli antichi viventi. Vengono poi l’una dietro l’altra la mesozoica, la cenozoica, la neozoica, ossia dei viventi d’un’età media, nuova e nuovissima. La serie delle epoche è chiusa finalmente dall’antropozoica, che è l’epoca nostra, ossia l’epoca dell’uomo2. Che nomi! n’è vero? Le grandi Alpi appartengono specialmente alle epoche antiche, voglio dire alla protozoica ed alla paleozoica. Le Prealpi sono in genere montagne mesozoiche, ossia come dissi, dell’epoca di mezzo. Le colline poi rimangono divise su per giù fra l’epoca mesozoica e l’epoca cenozoica che vuol dire epoca recente, epoca nuova. In via topografica poi le Prealpi disegnano, dalla parte dell’Italia, quasi un arco interno concentrico, cioè parallelo al grande arco descritto dalle Alpi. Costituiscono, direi, un primo spalto interno di questa grande fortezza, che difende l’Italia dal Nord-Europa. Le Prealpi, quasi ovunque, si accostano assai alle Alpi, e le due catene si toccano e si fondono in una colle rispettive basi. Vi ha tuttavia un lungo tratto dove esse formano davvero una catena affatto a sè, rimanendo separate dalle Alpi, per via di una grande depressione, ossia di una gran valle parallela alle due catene che essa disgiunge. Quando si parla delle Prealpi s’intende propriamente quella parte di esse che anche geograficamente appare affatto distinta dalle Alpi. Essa comprende le montagne che sorgono a Nord delle provincie di Como, di Bergamo e di Brescia, fra il lago di Como e il lago di Garda, e quella gran valle che le disgiunge dalle Alpi, è la valle dell’Adda, ossia la Valtellina, diretta su per giù da ovest a est, parallelamente all’asse, cioè nella direzione delle due catene. Le vere Prealpi, ossia le Prealpi lombarde cominciano ad ovest, dove l’Adda sbocca alla estremità settentrionale del lago di Como, col gruppo del Monte Legnone e continuano verso est col Pizzo dei Tre Signori, col Corno Stella, coi Pizzi del Diavolo e di Cocca, e più in là colle montagne che separano la Val Camonica dalla Valtellina, fino al monte Gavia, dove le Prealpi si [p. 138 modifica]riuniscono alle Alpi, per mezzo di quella grande cortina che si spicca dalle Alpi direttamente da nord a sud, e vanta le aspre cime del Corno dei Tre Signori, e dei monti Tonale, Airo, Adamello, ecc. Come contrafforti dei grandi gruppi menzionati, corrono in linea a loro parallela le grandi montagne dolomitiche, come le due Grigne, il Resegone, l’Aralalta, l’Arera, la Presolana, il Guglielmo, il Muffetto, ecc....

2. » Le Prealpi, principalmente le calcaree, più esposte a mezzodì e più basse delle Alpi, raggiungono di rado i limiti delle nevi perpetue, se ne eccettuate quella cortina che vi ho detto, e i pizzi che rispondono immediatamente sulla Valtellina. Non sono per conseguenza caratterizzate nemmeno dalla vegetazione alpina che dà alle Alpi quell’aspetto loro particolare di durezza e di severità. Mancano perciò alle Prealpi i due tratti principali che improntano il paesaggio alpino così sublime e pittoresco. Per compenso sono ricche di altre bellezze tutte particolari. Si rimarca anzi tutto in esse il contrasto, di effetto così maraviglioso, fra quelle creste dentate, ignude come scheletri, bianche, che si colorano di quelle tinte così rosse e gialle al sorgere e al tramontare del sole, così azzurre, così aeree nelle giornate serene; e il verde perenne, di cui la perenne ubertà copre i fianchi e i piedi delle montagne, tutte rivestendo le colline, sicchè le aride cime pajono spiccarsi come da una ghirlanda di erbe e di fiori. Chi vuole il ridente, il molle, il tranquillo, il temperato, insomma delizie e amenità, non va sicuramente a cercarle nelle Alpi, ma nelle Prealpi, specialmente nella zona inferiore, dove regnano primavere ed estati che non trovano molto da invidiare a quelle dei paesi più meridionali. È questa la regione dei laghi azzurri, dei limpidi torrenti, dei boschi ombrosi, dei prati fioriti, dei pingui colti, dei giardini incantati, delle viti, degli ulivi, e più in alto dei castagni e dei faggi».

«Dev’essere dunque assai bello il viaggiare nelle Prealpi»: riflettè la Marietta.

«E come! Non vedi come traggono in folla alle nostre belle contrade Inglesi, Tedeschi, Americani, stranieri d’ogni paese, a cercarvi la salubrità dell’aria, la mitezza del clima, i molli incanti della natura, che sono negati ai loro paesi? Perchè le sponde del lago Maggiore e del lago di Como sono tutte tempestate di villette graziose, di sontuosi palazzi, di magnifici alberghi? Nè meno ridenti, benchè meno abitate, sono le sponde dei laghi di Lugano, d’Iseo e di Garda. Per sventura ne è troppo [p. 139 modifica]poco visitata e conosciuta la parte montuosa. Le Alpi, specialmente le Svizzere, attirano i viaggiatori più arditi, e quelli che si dilettano di forti impressioni e di bellezze severe. Alle Prealpi rimangono i meno arditi, vorrei dire i più pigri: e questi che discendono in Italia, più che la faticosa ginnastica del corpo e dello spirito, amano i molli ozî, le tepide aurette, l’olezzo dei fiori, i profumi degli aranci. Tutti poi appena dalla sommità delle Alpi veggonsi disteso a’ piedi sfumare nel lontano orizzonte questo giardino di natura che si chiama Italia, sentono vive destarsi le reminiscenze della storia e dell’arte le quali non parlano men forte che le naturali bellezze. Eccoli pertanto correre difilati a Firenze, a Roma, a Napoli, a ingolfarsi nei quadri, nelle statue, nei magnifici monumenti, nelle stupende rovine, testimonî di quelle miracolose civiltà che si succedettero dagli Aborigeni agli Etruschi, dagli Etruschi ai Romani, dai Romani ai comuni del medio evo, da questi sino a noi. Ma almeno tra gli Italiani ci dovrebbe essere una classe media, che senza perigliarsi sui precipizî vertiginosi delle Alpi, e senza poltrire negli ozî delle città e delle ville, si innamori delle forti camminate, dell’aria libera e stuzzicante, del sole nascente osservato dalla vetta di una montagna, delle rupi pittoresche, delle verdi vallate, della cordiale bonarietà dei nostri montanari; che s’innamori insomma delle nostre Prealpi. Oh! i più bei giorni della mia gioventù io li ho passati in queste care valli della Lombardia, su quelle cime ineguali indorate dal sole, su quei monti al cui piede si distende l’ubertoso piano, che sfuma tra le nebbie leggere del lontano orizzonte, ove si disegnano talvolta, come nubi sospese nella zona più bassa dell’atmosfera, le creste ondeggianti dell’Apennino».

3. «E qual’è», domandò la Giannina, «la più bella delle valli lombarde?».

«La più bella?... Io direi che la più bella è quella che si è visi tata per l’ultima. Io, per esempio, mi porto così vivamente scolpita nella fantasia quella ove ho passato appena l’anno scorso3, alcuni bellissimi giorni, che essa mi sorride come la più vaga. Non vorrei però ostinarmi a sostenere che lo sia veramente».

«Non hai detto», osservò la Camilla, «di che valle intendi parlare».

«Della Valle Imagna. Non sai che l’anno scorso ho passato una parte dell’estate a Ponte Giurino». [p. 140 modifica]

«Se non so nemmen dove sia», ripigliò la Camilla.

«Non me ne meraviglio. Ponte Giurino non si mostra nemmeno sulla gran carta dello Stato maggiore austriaco4, o almeno non vi si trova al suo posto. Eppure è un sito così bello! Bello, dico, come stazione, per godervi il prospetto della Valle Imagna, e come punto di partenza per piacevoli escursioni. Pigliate una carta di Lombardia, e troverete la Valle Imagna nella provincia di Bergamo, col suo confluente nel Brembo, su per giù a cinque miglia dalla città fra levante e tramontana. Dove la via maestra taglia il fiume, passando dalla destra sulla sinistra, là quasi nel cuore della valle, a un chilometro circa dal ponte, v’è un albergo di buon augurio; in faccia una farmacia; dei mulini giù basso; qualche casetta più su.... infine Ponte Giurino. Se fosse in Lapponia, o in seno alle steppe della Russia, le carte lo segnerebbero come una grande città; nella popolosa Lombardia è un loghicciolo, che appena comincia a far capolino nel rumoroso regno della fama per le sue fonti solforose, sorelle ed emule5 delle celebri fonti di Sant’Omobono, che sgorgano in fondo alla valle. Ma di acque cotali, che là si dicono tanto più buone quanto sono più puzzolenti, voi non volete saperne. Invano vi descriverei il capace e comodo alloggio, il sentiero che conduce alle fonti difeso da ombre impenetrabili al sole di agosto, le rupi ad anfiteatro, e il bosco ove i beventi alternano i lunghi sorsi colle ciarle, coi passeggi, coi giochi.... Belle cose! ma l’idea di quell’acqua ve le attossica tutte. E pensare quanto tesoro di sovrumana pietà la natura nascose in seno a quelle fonti di sì diversa natura, disseminate in tutte le regioni del globo, spregiate per tanti secoli, ora rintracciate e raccolte con cura così gelosa! Forse facendole così disgustose e nauseanti, volle natura, maestra di virtù tanto sapiente, insegnarci che di solito una cosa è tanto più salutare quanto meno diletta. Basta.... non più acque putride! non più prediche stucchevoli. Parliamo delle bellezze di Ponte Giurino. E’ mi pare ancora d’esser là alla finestra di quel confortevole albergo, posto quasi in grembo a una rupe, dove vedeva ritte di fronte le brulle vette dell’Albenza, sorrette da pareti verticali di nudi strati calcarei, quasi [p. 141 modifica]da ciclopico muraglione. Le sue fondamenta si celano sotto i colli prativi, sparsi più in basso di folte macchie di castagni, di noci, di querce, che sempre più si allargano, si addensano, si fondono in una sola boscaglia di vari aspetti, fino al breve piano ove serpeggia l’Imagna, di cui sentiva lo scroscio. Spingendo lo sguardo su a destra, verso il fondo della valle, scorgeva una gola angusta, nera, profonda, assai più piccola della Via-Mala, ma più pittoresca; uno dei cannoni del Rio-Colorado, L’Imagna a Ponte Giurino. in miniatura6. Due rupi fantastiche, ritte sull’ingresso della gola, sembrano gli stipiti, smossi e rosi dai secoli, di un’antica [p. 142 modifica]saracinesca. Spumeggiando ne sbuca il torrente, e tosto, smesse le ire, serpeggia tranquillo nell’angusto piano, e or si asconde, e ora appare, con lene mormorio, tra le file dei pioppi, che la sete perenne tiene avvinti ai margini delle perenni correnti. Talora il vento, soffiando nelle folte chiome, imitava il suono del torrente, e le due voci si confondevano in una. Vedeva allora le foglie sempre inquiete, agitarsi, rimescolarsi, arruffarsi, presentare e sottrarre cento volte nello stesso istante un nembo di specchietti quasi metallici ai raggi del sole, che guizzano, danzano ripercossi come sulle onde di un laghetto increspato dallo zefiro. Spesso, facendo una passeggiatina d’un quarto d’ora all’ingiù, vedeva la valle stringersi di nuovo, e di nuovo accostare gl’irti petti le rupi. Il ponte con ardita curva, quasi sospeso nell’aria, unisce le due sponde. L’Imagna si rintana un’altra volta come strizzata entro una seconda Via-Mala, quasi studiando il passo tra punta e punta, tra scoglio e scoglio.... La sua voce langue.... svanisce.... Le sue acque, prima di terso cristallo, quando non biancheggino spumeggiando, si tingono di verde cupo, poi di livido e di nero. Giù in fondo, tra le tenebre non mai snidate dal giorno, un alternare quasi di specchi d’inchiostro, e di sprazzi di neve. Così sfugge l’Imagna, impaziente di raggiungere il Brembo, col Brembo l’Adda, coll’Adda il Po, col Po il mare, ove le acque, pellegrine da lungo tempo nei campi dell’atmosfera, in seno alle valli, e nelle viscere della terra, per mille diverse vie ritornano all’usato convegno.

Oh come è bella questa valle! quasi una conca ellittica7, scavata in seno alle montagne, colle sponde di lividi calcari, e il [p. 143 modifica]fondo di neri schisti, che pajono carbone, ma riccamente coperta di boschi, di prati, di colli; e su quel manto di lieta verdura, rotto da severe bizzarre rupi, spiccano gli sparsi casolari, i paeselli, le chiese, le torri. Quando il cielo è azzurro, la valle somiglia ad un vaso di smeraldo storiato, con un coperchio di zaffiro trasparente.... Ma via.... Fa egli bisogno di andare nella Valle Imagna per udire lo scroscio de’ torrenti, per contemplare limpidi cieli, aeree montagne, pittoreschi dirupi, e boschi e prati La Valle Imagna non è che un tocco sulla gran tela delle nostre Prealpi, che la natura dipinse con tanto amore.... Oh le nostre valli lombarde! se l’una è bella, l’altra è più bella, e la terza più bella ancora.... Invece adunque di una descrizione, che riuscirebbe scolorita e monotona, sarà più utile che vi intrattenga di ciò che ha di speciale, di proprio quella piccola valle. Potrei dirvi, per esempio, che quelle rupi ignude sono banchi di corallo, che quegli strati di calcaree sono letti di conchiglie marine8, e tante altre cose, perchè io ho percorsa la Valle Imagna in lungo e in largo; ho salito quasi tutti i suoi gioghi, varcati i suoi calli. Quante ricchezze per lo studioso della natura! Ma invece di viaggiare a cielo aperto, viaggeremo sotterra».

«Cioè?».

«Sotterra, dico, poichè quella bellissima valle vanta un mondo sotterraneo. Io non conosco altro luogo in Lombardia, ove in si breve spazio, si celino tante caverne. Tane un giorno di belve feroci, o dalla fantasia delle età più barbare popolate di spettri e di paure, non sono altro ora che silenziosi recessi ove più forte ragiona il sentimento di Dio e della natura.

4. » Di tre caverne soltanto vi parlerò. Sono finora le sole visitate dai curiosi, e dovrei aggiungere dai devoti, per l’uso a cui fu ridotta la prima di esse, la Corna-busa9, da cui piglio le mosse.

» Partendo da Ponte Giurino, ascendiamo, a ritroso dell’Imagna, la strada maestra fin sotto a Ceppino, una terricciòla in alto, sulla destra del fiume, a cui giungiamo, attraversato il ponte per erta salita. Là, di fronte, una rupe ignuda, uno degli sproni dell’Albenza, e lassù a mezz’aria, appiccicati allo scoglio come un nido di rondini, una casa, un campanile. Vi si giunge [p. 144 modifica]per una specie di viale faticoso, a chiocciola. La via ben tenuta, e i tabernacoli, benchè non ancora dipinti, distribuiti sui gomiti di essa, vi dicono tosto che vi avviate verso un Santuario. Se Madonna della Corna-busa nella Valle Imagna. ne dubitate, ve ne accerteranno le persone che incontrate per via. Forse una pia madre, che lasciò il bambino sorridente nella culla, in cui le era già parso di vedere una tomba, e viene a sciogliere il voto pronunciato tra le ineffabili angoscie del cuore [p. 145 modifica]materno. Forse la figura sparuta di un montanaro, il cui viso semispento vi narra la dura lotta vinta dalla robustezza sulla violenza del morbo. Forse un paralitico, un rattratto, sorretto o portato, sul cui volto fiso là in alto, brilla pure un raggio di speranza.... Ma che ci entra, direte voi, tutto questo colla caverna?

» Ormai ci siamo.... Ecco la casa, ecco il campanile.... ci sarà dunque una chiesa.... Le campane suonano a messa.... ma la chiesa dov’è? La chiesa è la caverna, o se meglio vi garba, la caverna è la chiesa. Una bella novità architettonica, nevvero? questo tempio è assai più antico di tutti i templi del globo; fu costrutto dalle mani stesse della natura, chi sa quanti secoli prima che l’uomo imparasse a curvare la fronte sotto le volte de’ templi!

» La rupe che volge la fronte alla valle, dalla parte ov’è l’edificio si tronca bruscamente ad angolo retto, e presenta un’altra fronte verso il fondo di essa. Questa seconda fronte è affatto a picco, e scavata nel mezzo da un antro quadrato, dell’altezza di forse dieci metri, largo il doppio. La caverna è nuda, e vi si contano i grossi strati calcari, sovrapposti con breve inclinazione, che ne formano le pareti, a somiglianza di gigantesco bozzato. Un grosso banco calcareo vi si appoggia tutto d’un pezzo, in figura di immenso architrave, formando la volta, o meglio il soffitto di quel grande pertugio, e sostenendo una pila di innumerevoli strati, regolarmente sovrapposti che formano tutta la rupe. Là in fondo, alla profondità di forse quindici metri, si erge un tabernacolo, aperto sul davanti, e protetto da una cancellata di ferro. Sotto il tabernacolo un altare coll’antico simulacro della Madonna della Corna-busa, in grande venerazione presso le semplici popolazioni della Valle Imagna e delle valli circonvicine.

» La religione in ciò che ha di lieto, o di terribile, si accordò sempre con quanto la natura ha di più bello o di più severo. La religione de’ sensi, cioè il paganesimo popolò di ninfe e di fauni i boschi e le valli: ora la religione dello spirito, cioè il cristianesimo, predilige anch’essa i luoghi più incantevoli della natura, per esercitarvi il suo culto. Ciò vi appare in modo singolare nelle montagne, ove su ogni vetta più cospicua trovate una croce, su ogni poggio più delizioso una chiesa e in ogni sito più ombroso e solitario un tabernacolo. Qui un antro severo è dedicato al culto della Vergine, figurata nella mistica colomba che si cela nei fessi della rupe10, come dice il testo della Cantica, [p. 146 modifica]scritto a grandi lettere sulla facciata del tabernacolo. In nessun altro luogo forse, vi sentireste meglio nascere in cuore quel sentimento religioso, vago, indeterminato, ma pure profondo, che si accorda così facilmente colle tenebre, col silenzio, colla solitudine. Voi quì siete liberi di imaginarvi la grotta di s. Paolo eremita, le solitudini della Tebaide, le catacombe....

» Fantasie! è vero; ma ci resterà pur sempre qualche cosa il sentimento della religione che si associa a quello della natura. Se Dio ha il suo tabernacolo nel sole, e la terra per isgabello a’ suoi piedi, il suo sguardo penetra anche negl’imi abissi, e anche là ci vede e ci ascolta.

» Il geologo del resto non ci trova altro che una semplice caverna. Io la credo formata al modo stesso di quasi tutte le caverne calcaree. Essa non è altro infine che parte di una vasta spaccatura della montagna. L’abbondante stillicidio, anzi le vere sorgive, che si scorgono in fondo alla caverna, dietro l’altare, condotte ad arte a formare un bel getto perenne a modo di fontana saliente, sull’ingresso dell’antro, possono considerarsi come indizî di una crepatura che s’interna, Dio sa quanto, nella montagna, e ne raccoglie lo stillicidio. Ma la crepatura non appare evidente nell’antro stesso. Nell’atto che la montagna si spaccava da cima a fondo, una porzione degli strati aderenti alla destra parete, sdrucciolò sul piano superiore della sinistra, e rimase, come dissi, a modo di soffitta sul vano che ne risultò. Mi son spiegato abbastanza?... Allora andiamo avanti.

5. » Dalla severa maestà degli altari discendere ora alla burlevole amenità della cantina è un bel salto davvero. Ma che volete? Anche Dante sapeva acconciarsi


............. nella chiesa
Co’ santi, ed in taverna co’ ghiottoni11.


La seconda caverna, a cui vi voglio condurre, è una cantina. Si trova a Rota-fuori, che dista da Ponte-Giurino un’ora e mezzo di comoda strada. È un ameno villaggio, posto a cavaliere di un verde sperone, che spiccandosi dalle basi del Resegone, divide in due il fondo della valle, creando la Valsecca a ponente e la vera Imagna a levante. La Torre di Rota-fuori, ritta nel punto più eminente, potrebbe servire di faro alle due valli.

» Gli archeologi non avranno per ora a far troppo consumo [p. 147 modifica]della loro vena inventiva, per accertare l’etimologia della nuova caverna che, dal nome dello scopritore e proprietario, signor Angelo Dàina, oste, pizzicagnolo, tabaccajo, e non so quant’altre cose di Rota-fuori, si chiama semplicemente caverna del Dàina.

» Previa una buona colazione in compagnia di allegri amici, a un desco a cui un inglese non avrebbe rifiutato il titolo obbligato di comfortable, accesi i moccoli, infilammo un certo bugigattolo, e giù giù per una specie di rompicollo a scalini, fin dove l’arte cede la mano alla natura, che completa col più bizzarro degli spechi l’edificio della più bizzarra cantina. L’ingresso del naturale sotterraneo è guardato da un esercito di bottiglie, distribuite in file e pelottoni, ad arma carica s’intende, e in atto di presentat’arm. Ma l’esercito si tiene, come dissi, ai confini. Il proprietario ebbe il talento non comune di rispettare e far rispettare il vago ordito della natura, a cui essa attende certamente da molti secoli, e che l’uomo di solito rompe, sciupa in un giorno, senza cavarne partito.

» Ho visto tante caverne con le stalattiti, ma nessuna mai parlando da naturalista, che mi offrisse un aspetto così originale. Parlo della forma singolare delle stalattiti, e specialmente, delle stalagmiti. Richiamatevi alla fantasia le Quarantore, specialmente in campagna, ove il buon villano conta con trionfo le centinaja di ceri ardenti, lieto d’aver vinto alla prova il villaggio vicino. Vi ricordate di quella specie di disordine simmetrico, di quell’effetto bizzarro prodotto da tante candele ritte sui loro candelabri, di tanti moccoli lagrimosi che spuntano in fissi in ogni dove, di quella specie di boscaglia, di alberelli ritti, bianchi, sfrondati? Ebbene, alcun che di somigliante vi presenta lo sfondo di quella caverna. Le stalattiti, per solito veramente coniche, qui sono quasi assolutamente cilindriche. Ma il più singolare è che la stessa forma presero le stalagmiti: le quali presentano altrove quella di una irregolare incrostazione, ondosa, irta di cumuli, di cuniculi, o dove il lavoro è più fortunato, strascichi, panneggiamenti, conche e bacini. Il vedere quelle stalagmiti spiccarsi dal suolo, come le stalattiti pendono dalla vôlta, le une e le altre in forma di bianchi cilindri, la è cosa che fa specie. Non fo che ripetere la similitudine; imaginatevi dico, un bosco di ceri, quali pendenti dalla vôlta, quali nascenti dal suolo a cento a cento, di tutte le lunghezze, di tutte le grossezze, dal candelino al cereo pasquale, modesto e nano però, non raggiungendo nessuno un metro di altezza. Dal più piccolo, in forma di [p. 148 modifica]tubetto, del calibro e della trasparenza di una penna d’oca che gocci intinta nell’acqua, tu giungi per mille gradazioni alla mazza robusta, compatta, nodosa, di vero alabastro, da cui l’opposto lume traspare ancora con una luce sfumata d’aurora. Il naturalista avrebbe certo da scrivere qualche pagina intorno a quelle forme eccezionali, ma voi potete accontentarvi di due parole. La persistenza dello stillicidio sugli stessi punti, la sua lentezza, la tranquillità, spiegano abbastanza come le concrezioni risultino quasi cilindriche: tuttavia nol sono a tal segno da smentire totalmente la forma caratteristica di quei geniali prodotti della sotterranea natura. Infine sono coni di angolo così acuto da simulare a chi li guarda la forma di cilindro.

» Il naturalista può fare un’altra osservazione nella caverna del Dàina. Anche i bambini sanno che le stalattiti sono il prodotto delle acque in cui è sciolto il carbonato di calce, ch’esse depongono nell’atto che svaporano nell’interno. Benchè l’acqua trasudi anche attraverso la roccia compatta, che è sempre più o meno porosa, lo stillicidio avviene di preferenza, come è naturale, ove la roccia sia fessa. Le stalattiti seguono perciò, di via ordinaria, le fessure e le vanno saldando; rappresentano cioè, con termine accademico, le suture e, con parola popolana, le costure della caverna. Quì il fenomeno è parlante. La caverna infatti è formata di strati calcarei, che si fendono facilmente, e mostransi in tutta la valle divisi in prismi quadrati irregolari, mediante un sistema di crepature che s’incrociano, disegnando quasi una rete a maglie quadrate. Or bene, quel bosco di cilindri stalattitici, a prima vista così disordinato, si risolve quasi in tanti filari paralleli, incrociati da altri che li intersecano ad angolo retto, e rivelano così colla loro disposizione quel sistema di fenditure che nascondono col loro corpo.

» Un’ultima osservazione e basta. — Ogni grotta in cui si metta il piede per la prima volta, può essere uno di quei meravigliosi cimiteri di belve, ove d’un tratto il geologo si trova vivo in un mondo che fu12. Anche in questa caverna adunque mi chinai tosto a guardare e frugare, e fui tanto fortunato da poter estrarre [p. 149 modifica]alcune ossa dal fango che mi parve liberato di fresco dalla crosta stalagmitica che lo ricopriva. Non ho ancora istituito quei confronti, da cui risulterà se la scoperta abbia, come credo, qualche importanza.

6. » Usciamo finalmente dalla seconda caverna per visitare la terza. Essa è qui presso. Discesi per cinque minuti sotto l’osteria in un borro coperto di verdi tappeti, sul pendio dello sperone che guarda oriente, eccoci alla porta di una casa colonica, ove troviamo le chiavi della Tomba dei Polacchi, e i custodi che ci faranno da guida».

«Tomba dei Polacchi!...» disse ridendo la Giannina. «Che ci ha ella a fare la Polonia colla Valle Imagna?...».

«Indovinalo grillo! Gli è come d’un burroncello che incide la montagna tra l’Albenza e il Resegone, per cui discende in Valle Imagna chi viene dal lago di Lecco, e lo dicono il Ponte degli Spagnuoli. Per poco che si cammini di questo passo, ti trasformano la Valle Imagna in valle di Giosafatte. Forse quando l’Imagna era nei dominî della Serenissima13; forse quando i lanzichenecchi invadevano la casa di don Abbondio, il quale intanto, per questione di sicurezza personale si dilettava di studî topografici proprio sull’opposto pendio dell’Albenza, dove era il castello dell’Innominato, forse allora.... vattel’a pesca!... sento che mi farei più onore narrandovi la storia della Valle Imagna di uno, due, dieci milioni d’anni più addietro. Mette conto al geologo l’occuparsi di avvenimenti che rimontano soltanto a qualche centinajo d’anni? Dunque la Tomba de’ Polacchi è una caverna che si chiama Tomba de’ Polacchi, e noi scendiamo a visitarla.

» Dalla casa colonica che v’ho detto, con guide, moccoli e rami fessi di piante resinose, che faran lume, si discende ancora attraverso i prati, ove lo sguardo è tosto colpito da un fenomeno singolare, benchè non nuovo a chi abbia appena bazzicato alquanto pei paesi montuosi. Mi ricordo di averlo osservato più volte in Lombardia; ma l’ho notato specialmente nel Giura, dove costituisce uno dei tratti caratteristici di quella tipica orografia, da cui i geologi pigliarono a prestito fino il linguaggio che esprime [p. 150 modifica]i rapporti generali tra l’orografia e la geologia. I celebri valloni14 di quella catena (o altipiano ondulato, come meglio si chiamerebbe) che si assomigliano a grandi barche a fondo piatto15, lunghe fino a sette miglia, spesso non hanno emissario. Chiusi perfettamente da un orlo di rupi, rivestito di folti boschi, che si rileva all’ingiro appunto come fanno le sponde di una barca, si dovrebbero trasformare ben presto in altrettanti laghi. Ma ciò non avviene. Perchè? Dove se ne va l’acqua che vi piove in abbondanza? Essa trova sui margini del vallone certe fosse a forma di imbuto, dette emposicux, e vi si perde, scendendo nelle viscere della montagna, precisamente come il vino nella botte. La montagna funge davvero l’ufficio di una gran botte, secondo gli studî del signor Desor, professore di Neuchâtel, e dalle spine naturali di essa sgorgano centinaja di metri più basso le sorgenti, che bagnano abbondantemente i piedi degli altipiani. Tornando a noi, nel discendere verso la caverna si osservano non uno nè due, ma una serie numerosa di quegli imbuti del diametro di 5 a 20 metri, e della profondità di 3 a 10, ove l’acqua pluviale si raduna, improvvisando talvolta de’ laghetti, che ben presto scompajono. Quegl’imbuti, distribuiti regolarmente sopra una linea di forse 400 metri, dicono al geologo una lunga spaccatura lineare, per cui l’acqua si perde in seno alla montagna. La loro esistenza, come la loro forma, è un effetto della erosione, che da secoli vi esercitano le acque affluenti sempre verso gli stessi centri. Voi m’intendete al certo; ma già nella caverna c’intenderemo ancor meglio.

» La fila degli imbuti termina con uno più profondo degli altri, in forma quasi di cisterna, in fondo alla quale havvi un pertugio, difeso da un uscio armato di serratura. Aperto l’uscio, si penetra nel pertugio a dorso curvo; ma ben tosto si è ritti sotto la volta alta e spaziosa di un antro bujo affatto. L’acqua sgocciola da tutte le parti, e si ode da lontano il rumore sordo di un sotterraneo torrente. Non possiamo inoltrarci che a patto di passare un piccolo mare di fango, così molle, così [p. 151 modifica]appiccicaticcio che se non riesce a farci sdrucciolare, si vendica facendola da cavastivali. Valicato il pantano, eccovi un saliscendi di scogli, di massi accatastati, che rendono assai malagevole l’andare; ma intanto voi gustate a tutt’agio le mosse ardite, le svolte pittoresche di una magnifica caverna, tutta seni e ridossi, ove le faci agitate, rotate, destano un mondo di ombre fantastiche che sorgono e scompajono, fuggono e si avventano, si intrecciano, si addossano in un rimescolio indefinibile. Tuttavia per quanto si dica di quella caverna, il pennello che volesse ritrarla non sarebbe soccorso che dai trovati più volgari dell’arte. La Tomba dei Polacchi è bella, perchè è una caverna, perchè è vasta, irregolare, accessibile per 150 metri a un dipresso. Vuolsi (cosa molto probabile) che abbia diverse braccia, e si prolunghi assai in altre direzioni, solo che ci reggesse l’animo di infilare carponi in certi buchi. Ma io non mi sentivo in lena di farlo, non essendovi solleticato da nessuna speranza di scoperte paleontologiche16. Del resto non ci ha nulla di singolare. Il primo che s’introdusse in quel piccolo mondo sotterraneo, ebbe certo a godere lo spettacolo di bellissime stalattiti. Ma pensate ora, dopo tanti anni che è visitata da centinaja di curiosi.... Si insozzano di nomi e di insipidi detti i più squisiti monumenti dell’arte; il vandalismo dei brutali ammiratori giunge a smagliare i mosaici di veneranda antichità, a spezzare i marmorei fregi, e fino a decapitare le statue (lo sanno il Duomo di Milano, la Certosa di Pavia, le antichità di Roma, e i monumenti di tutta Italia!), e si rispetteranno le stalattiti? L’uscio menzionato servirà di difesa alle ultime reliquie di quei monumenti della natura. Vi si ammira, per esempio, una stalagmite in forma di colonna acuminata, che si direbbe da lontano un rudere di certi vaghi monumenti del secolo XV, istoriati con sì meravigliosa eleganza. Ma anche qui, come si suole, s’è chiusa la stalla, quand’era scappata la cavalla.

» Infine la caverna interessa sopratutto pel fenomeno che vi ho detto, cioè pe’ suoi rapporti evidenti cogli imbuti già descritti. Voi avete difatti già inteso che la crepatura lineare, indicata da quegl’imbuti, è appunto la caverna. In questo sistema di fognatura naturale gl’imbuti rappresentano le fogne, e la caverna il recipiente di scolo che scarica l’acqua chi sa dove. Dalle vôlte [p. 152 modifica]della caverna, che si svolge precisamente sulla linea degl’imbuti, l’acqua piove tanto più abbondante, quanto più il tempo è piovoso. Un torrentello che sbuca già grosso da un pertugio inaccessibile, e percorre la caverna per un certo tratto, scomparendo per un altro pertugio del pari inaccessibile, come non è certamente alimentato dallo stillicidio che piove entro i limiti accessibili della spelonca, così attesta che la spaccatura si prolunga ben oltre quei limiti attraverso ignote regioni.

» Ma la conversazione si è fatta lunga lunga. A rivederci un’altra sera e in altri siti».

«Dove?».

«Abbiam tempo una settimana a pensarci».



Note

    lasciandovi ciascuna le proprie spoglie successivamente pel corso di secoli. Almeno 300 orsi erano rappresentati dalle reliquie estratte dalla caverna detta Buca dell’Orso, a Laglio, sul lago di Como, e vuolsi che il deposito della caverna di s. Ciro presso Palermo, contenesse i resti di forse 12 000 ippopotami.

  1. Zoon in greco vuol dire vivente, animale, bestia.
  2. Uomo si dice in greco antropos.
  3. Nell’agosto dell’anno 1870.
  4. La carta delle provincie lombardo-venete, dell’Emilia e delle Romagne, pubblicata dallo Stato maggiore austriaco, è incontestabilmente la migliore tra le carte topografiche d’Italia ed una delle più belle che si conoscano.
  5. Raffronto analitico sulle acque solforoso-saline di Valle Imagna, pel dottor Luigi Regazzoni.
  6. È celebre sotto il nome di Via-Mala la gola dell’Alto Reno (Hinter Rhein o Reno posteriore nelle Alpi del Cantone dei Grigioni) che corre da Andeer a Thusis. Gli amatori del bello orrido possono celebrarla come la prima meraviglia di questo genere in Europa. Le pareti si rizzano verticalmente fino a 450 metri dal pelo del fiume, che si vede correre giù basso, o piuttosto nascondersi, in forma di sottil nastro. La Via-Mala è però un nonnulla a fronte dei cannoni d’America. Il nome soldatescamente poetico di cannoni fu dato dagli scopritori spagnoli alle spaventose gole, da cui escono quasi tutti i grandi fiumi d’America, sboccando immediatamente dai monti, ossia dagli sterminati altipiani, alla pianura e quasi al mare. Quelle gole sono veramente tagliate a picco, e ramificate entro la mole degli altipiani, dalla cui superficie discendono di balzo alla profondità di 1800 a 2000 metri e più. Dai piani abitati a quell’altezza si scende, sto per dire, d’un salto al livello del mare. Il gran cannone del Rio-Colorado descritto da Newberry corre 300 miglia, incassato tra due verticali pareti di 960 a 1800 metri (il quadruplo della Via-Mala). Così il Missuri, il massimo confluente del Mississipì, sbocca da un grande cannone di granito nero, fiancheggiato da pareti verticali di 365 metri di altezza. «Nulla di sì tremendo», scrivono gli esploratori Lewis e Clarke, «può imaginarsi che ritragga l’orrida oscurità di queste rupi, che pendono sul fiume, e ti minacciano distruzione. Il fiume, largo 320 metri, si è aperto direbbesi, a viva forza, la via per entro la massa compatta. Per tutta la lunghezza del burrone l’acqua è assai profonda Anche rasente i margini non vi è spazio sufficiente perchè uom possa tenersi ritto tra la corrente e le pareti a piombo. Enormi colonne, strappate alla montagna, giacciono distese allo sbocco, o ributtate sulle sponde».
  7. La Valle Imagna ha veramente la forma di un’ellissi allungata, il cui asse maggiore è diretto da nord-ovest a sud-est. Il Resegone e le sue propagini la chiudono a nord. La catena dell’Albenza dipartendosi dal Resegone, ne forma il lato occidentale; ma, torcendosi verso est, tocca quasi la catena senza nome, che comincia colla montagna di Clenezzo, e formando la sponda orientale, termina colle così dette torri di Pratongone, le quali la congiungono al monte Piacca, che rientra nel Resegone.
  8. La cosa sta veramente così. I coralli fossili che si mostrano in veri banchi a Brumano, Foipiano, Strozza, e le conchiglie che costituiscono quasi per intero gli schisti, formando vere lumachelle, furono da me descritti e figurati nella terza parte dell’opera Paleontologie lombarde. Per chi sa di geologia aggiungo che la Valle Imagna è scavata, quasi per intero, nel terreno dell’Infrabas.
  9. Corna-busa nel dialetto bergamasco vuol dire come rupe cava.
  10. Columba mea in foraminibus petræ. Cantico de’ cantici, capo 2, versetto 14.
  11. Inf., C. XXII.
  12. Le caverne ossifere sono un fenomeno mondiale. In Europa, come in America e nell’Australia, si scoprono nelle caverne accumulazioni di ossami di belve. Le più grandi di tali accumulazioni si formarono evidentemente prima della comparsa dell’uomo colle reliquie di animali appartenenti, per lo più, a specie estinte. In Europa, per esempio, vi predominano orsi, jene, tigri di specie perdute, e di più elefanti, rinoceronti, ippopotami Quei cumuli ingenti di ossami non possono spiegarsi altrimenti che col supporre che una serie di generazioni abitasse la caverna,
  13. La Serenissima Repubblica di Venezia dal 1454 al fine del secolo scorso ebbe l’Adda a confine tra’ suoi dominî e il Ducato di Milano.
  14. Gli abitanti del Giura designano col nome di vallons le valli che hanno la forma quì descritta, distinguendole benissimo dalle cluses (chiuse) e dalle combes (culmine ne’ miei scritti di geologia) valli che hanno ben altri caratteri orografici e geologici. — Orografia propriamente significa disegno dei monti: ma vuol dire la cognizione delle leggi seguite dalle inclinazioni del terreno quando si eleva in altipiani, in colli, in monti. Il Giura (Jura) è una catena di monti che segna il confine naturale tra la Francia e la Svizzera, dal lago di Ginevra al Reno.
  15. I geologi francesi dicono appunto à fond de bateau il ripiegamento degli strati da cui risulta la forma del vallone.
  16. Paleontologia è la scienza dei fossili, cioè degli enti vissuti sul nostro pianeta nelle età più remote.