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182 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
fatto che una breve fermata. Si accamparono verso sera sulle rive del Rio Fornace affluente del Rio Amargoza, ma era completamente asciutto.
Il secondo giorno, dopo una marcia di tredici ore quasi non interrotta, si spinsero fino al Rio Amargoza, il quale attraversa buona parte del deserto, perdendosi fra le sabbie nei pressi dei monti Funeral; ma neppur questo conteneva una sola goccia di acqua, anzi pareva che fosse disseccato da parecchi anni, poichè il suo letto era coperto di polvere asciutta.
Quella scoperta cagionò vive inquietudini ai viaggiatori, essendo assai scarsa la provvista d’acqua che portavano i muli. Sanchez si provò a scavare le sabbie, sperando di trovare sotto di esse qualche sorgente, ma senza frutto.
— Bisogna affrettarsi, altrimenti proveremo le torture della sete, — diss’egli al marchese. — Temo di non trovare acqua che al Rio Virgin.
— È lontano?
— Ci bisogneranno tre e forse quattro giorni di cammino.
— Non vi è alcuna sorgente in questo deserto?
— Sì, una, ma molto al nord, e le sue acque sono veramente deliziose; migliori della soda-water artificiale.
— Acque gazose, adunque.
— Sì, ma più piccanti delle gazose di limone che si vendono nelle birrerie o nei caffè delle nostre città. Gli Indiani chiamano quelle fonti, poichè ve ne sono parecchie, sorgenti medicinali, ed hanno per quelle acque spumanti una venerazione, credendo che nascondano un dio acquatico.
Ve n’è anzi una nella valle Salinas, che abbiamo attraversata la scorsa settimana, la quale gode molta fama e che è assai frequentata dagl’indiani Yuta e anche dai Navajoes. Si chiama la fontana che bolle, e le sue acque sono così squisite, così fresche, e così piccanti da superare tutte le migliori sode che si vendono. Perfino gli animali accorrono dalle più lontane regioni della vasta prateria per dissetarsi colà.
— L’avrei visitata volentieri, Sanchez.
— È lontana, marchese. Ci vorrebbero sei o sette giorni per