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186 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
— Sedete e riposatevi, chè dovete essere stanco.
— Lo credo, señor. —
Gli arrieros, dopo di essersi dissetati senza riguardo, abbeverarono le povere bestie e diedero ad esse da mangiare, avendo il messicano recato una grossa provvista di foraggi freschi e buoni.
Il 10 dicembre i viaggiatori lasciavano quel luogo, che per poco non diventò la loro tomba, e ripartivano per guadagnare le sponde del Mudoy.
Animali ed uomini, ben riposati e ben pasciuti, procedevano più rapidamente del solito, essendo ormai certi di non correre più il pericolo di morire di sete, dopo le scoperte del messicano.
L’11, verso il mezzodì, giungevano sulle rive del fiume, il quale, quantunque fosse asciutto e coperto solamente da un alto strato di sale che fiammeggiava sotto i raggi del sole, pure era contornato da boschetti di palme nane, di cactus a bocce, grossi cespi di verdura, somiglianti, per la loro forma, ad alveari irti di spine, ma che tagliati a fette, gli animali mangiano avidamente contenendo un umore acqueo abbondante. Crescevano pure delle splendide graminacee, alte due metri e più, dei nocciuoli e pochi ontani.
Si arrestarono un giorno per dare riposo agli animali e per provvedersi di carne fresca, essendo gli scoiattoli numerosi, poi ripresero l’interminabile cammino per raggiungere le rive del Rio Virgin.
Il 13 attraversarono l’estremità meridionale dei monti Mormon, che si estendono a mo’ di semicerchio, toccando quasi, colle loro ultime colline, il Rio Virgin e il Rio Beaverdam, e la sera del 14, stanchi per la lunga traversata, giungevano sulle sponde del sospirato fiume.
Il deserto d’Amargoza era stato attraversato.