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capitolo viii. — il deserto d’amargoza. 185

Il marchese ed i suoi compagni, in preda ad una viva ansietà e ad una grande tristezza, si sdraiarono presso le tende, in attesa del suo ritorno.

Gli animali, sfiniti per la fame e per la sete, nitrivano sordamente accanto a loro, rompendo il grande silenzio che regnava nel deserto.

Passarono parecchie ore d’angosciosa aspettativa, ma il messicano non ritornava. Erasi spinto più lontano in cerca d’acqua e di erbe, o il suo cavallo, sfinito per le precedenti marce, era caduto a mezza via per non più rialzarsi? Il marchese, che diventava sempre più inquieto e che non era stato capace di chiudere gli occhi, tendeva sempre gli orecchi sperando di udire un lontano galoppo, ed aguzzava gli occhi credendo di vedere disegnarsi sull’orizzonte l’ombra del messicano; ma nulla udiva e nulla vedeva.

Cominciava già a disperare, temendo che Sanchez fosse stato ucciso dagli Indiani o che gli fosse capitata qualche disgrazia, quando udì in lontananza un lontano galoppo.

S’alzò di scatto e vide un cavallo che s’avvicinava di galoppo, portando in sella una massa che pareva enorme. Poco dopo udì una voce allegra gridare:

Caballeros, Dio è con noi! —

Era Sanchez, il quale portava, dinanzi e dietro alla sella, due ammassi di erbe e gli otri ben gonfi.

— Siamo salvi! — esclamò il marchese. — Cominciavo a temere che vi fosse toccata qualche disgrazia.

— Ritorno sano e salvo, señor, — rispose il bravo messicano, balzando a terra. — Credo di aver percorso venti chilometri sempre di galoppo e temo di avere il cavallo rattrappito.

— Fin dove vi siete spinto?

— Fin sulle rive del Mudoy.

— Scorre acqua nel fiume?

— No, è asciutto e coperto di alti strati di sale.

— Ma l’acqua che portate?...

— Ho trovato le piante che vi dissi.

— Si ringrazi Iddio. E degli Indiani, nessuna traccia ancora?

— Non ne ho veduti sulle sponde del fiume.