Il Re della Prateria/Parte seconda/7. Una emigrazione di bisonti

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Capitolo Settimo.

Una emigrazione di bisonti.



Era tempo! L’immensa mandria di bisonti stava per investirli. L’avanguardia, composta di parecchie centinaia di maschi, armati di robuste corna, non era che a poche centinaia di passi, e si avvicinava galoppando disordinatamente attraverso le alte erbe, facendo tremare il suolo ed emettendo dei muggiti profondi.

Dietro a quella si vedeva avanzarsi il grosso della truppa in una massa serrata, composta di migliaia di femmine, di piccoli e di altri maschi, i quali occupavano le ali per tenere indietro le bande di lupi che galoppavano, ululando, in tutti i sensi, cercando d’isolare qualche capo di selvaggina.

Il numero di quei grossi ruminanti era tale, che fin dove giungeva lo sguardo, si vedeva una massa confusa muoversi e rimuoversi, facendo un baccano da assordire.

Quantunque i viaggiatori sapessero che i bisonti, se non sono assaliti, non sono pericolosi, pure nel vedere avanzarsi di galoppo tutte quelle masse di carne dalle teste villose e tanto solide da sfidare le palle dei fucili e nell’udire quel concerto di muggiti, si erano arrestati, colpiti da un senso di vero terrore.

— Si direbbe che io ho paura, — disse il marchese a Sanchez, che forse era il solo che si manteneva tranquillo e che guardava [p. 171 modifica]serenamente l’immensa schiera di ruminanti. — Non avevo mai veduto uno spettacolo simile!

— Lo credo, señor, — rispose il messicano. — Bisogna venire in queste praterie per assistere a simili colossali emigrazioni.

— Ma dove vanno tutti questi animali?

— Verso il nord-est in cerca di nuovi e più ricchi pascoli. Verso il sud-ovest non si trova ora più un filo d’erba.

— Ci assaliranno?

— No, ma non è prudente trovarsi sul loro passaggio.

— Se avessero l’intenzione di darci addosso, che marmellata farebbero di noi!

— Lo credo, ma abbiamo i nostri cavalli che non si lasceranno raggiungere da quei pesanti animali. Andiamo, señor, gettiamoci fuori di via e lasciamoli passare; faremo fuoco sulla retroguardia. —

I cavalli ed i muli, che non potevano più star fermi, e che mandavano nitriti di spavento, sentendo allentare le briglie, si diedero a precipitosa fuga verso il sud, più non badando nè al morso, nè ai colpi di sperone; ma pareva che l’intera prateria fosse coperta di bisonti, poichè percorsi sette od ottocento passi si trovarono dinanzi ad un’altra immensa banda, che pareva chiudesse tutto l’orizzonte.

Sanchez, che galoppava in testa a tutti, con una violenta strappata rattenne il proprio cavallo, che s’impennava sferrando calci.

Carramba! — esclamò. — Che questi dannati animali ci abbiano già chiuso il passo?

— Ancora dei bisonti? — disse il marchese, che lo aveva raggiunto.

— E delle centinaia.

— Dove andiamo?

— Cerchiamo di raggiungere l’avanguardia e di sorpassarla.

— Verso l’ovest non è libera la via? — domandò Gaspardo.

— Temo che questa seconda banda l’abbia chiusa. Al galoppo, caballeros, e lavorate di sprone, o giungeremo troppo tardi. —

Stava per allentare le briglie, quando si arrestò bruscamente, gettando una sorda esclamazione.

— Che cosa avete? — chiese il marchese. [p. 172 modifica]

— Comincio a temere che qualche grave motivo spinga innanzi queste mandrie. Non vedete come affrettano la corsa?

— Che siasi incendiata la prateria verso il sud-ovest? — chiesero gli arrieros, che faticavano a mantener ferme le mule.

— Qualche cosa di peggio, — rispose il messicano. — Mi pare di aver udito delle grida.

— Dove?

— Verso il sud-ovest.

— Che gli Indiani caccino i bisonti? — chiese il marchese.

— Lo credo, señor; orsù al galoppo!... —

I nove cavalieri fecero un brusco voltafaccia e si slanciarono verso il nord, passando fra due immense colonne di ruminanti, le quali tendevano a rinchiudersi. Tutti quegli animali parevano in preda ad un vivo terrore e galoppavano disordinatamente senza fermarsi un solo istante a brucare le grosse e succolenti erbe della prateria.

Sanchez, che diventava sempre più inquieto e che di frequente volgeva il capo verso il sud, per meglio ascoltare i fragori che venivano da quella parte, animava i suoi compagni incitandoli a spronare ed a frustare. Egli sentiva per istinto che un pericolo ben peggiore li minacciava.

Avevano percorsi altri mille passi, quando si trovarono addosso all’avanguardia dei ruminanti, la quale si era collegata colla colonna che veniva dal sud.

— Siamo chiusi nel mezzo! — esclamò il messicano, impallidendo.

— Che cosa dobbiamo fare? — chiese il marchese, che era in preda ad una viva apprensione.

Sanchez non rispose. Si era chinato verso terra ed ascoltava.

Fra i muggiti dei ruminanti, aveva udito distintamente delle grida umane.

— Abbiamo gli Indiani alle spalle, — disse. — Ho udito le loro grida.

— Verso il sud? — chiesero i compagni.

— Sì, e si appressano.

— Bisogna fuggire, — disse il marchese. [p. 173 modifica]

— Lo so, — rispose Sanchez.

— Saranno molti?

— Forse una tribù intera.

— Ma come fuggiremo, se siamo ormai accerchiati?

— Non vi è che un mezzo: caricare l’avanguardia ed aprirci il passo a colpi di fucile.

— Ma dobbiamo attraversare tre o quattrocento animali.

— Forse si sbanderanno.

— E non si rivolteranno?

— Forse, ma tutto dobbiamo tentare. Gli Indiani ora sono più da temersi dei bisonti.

— Avanti adunque! [p. 174 modifica]

— Tenete pronte le armi e avanti di galoppo! — gridò Sanchez.

Cacciarono gli sproni nel ventre dei cavalli e dei muli, e si rovesciarono sull’avanguardia, urlando e scaricando le armi nel più folto dei ranghi.

I bisonti, che dovevano essere già spaventati, udendo quelle grida e quelle detonazioni, si sbandarono da tutte le parti causando una confusione indescrivibile e precipitandosi addosso alle teste delle due colonne.

Sanchez, il marchese e tre mulattieri trovato dinanzi a loro un varco, vi si cacciarono dentro scaricando le loro pistole sugli animali più vicini, attraversarono l’avanguardia e fuggirono verso il nord-ovest, arrestandosi ai piedi di un’altura. Gaspardo e gli altri scomparvero in mezzo alla massa degli animali e più non si videro.

— Siamo salvi! — esclamò Sanchez, balzando da cavallo e salendo l’altura.

— Non ci raggiungeranno i bisonti? — chiese il marchese.

— No, poichè piegano verso il nord-est.

— Ma... e i nostri compagni? Non siamo che in cinque.

— Saranno usciti dall’altra parte.

— Che siano stati uccisi?

— No, señor. I bisonti fuggivano dinanzi a noi e non pensavano a rivoltarsi.

— Ma dove si saranno diretti?

— Lo ignoro; li ritroveremo più tardi.

— Purchè non cadano nelle mani degl’Indiani!

— Speriamo che sfuggano a quei pericolosi cacciatori. Se udremo degli spari, accorreremo in loro aiuto.

— Li vedete gl’Indiani?

— Non ancora, ma non devono essere molto lungi. Odo le loro grida.

— Che ci scoprano?

— La notte è oscura, e per di più passeranno lontani. Tuttavia appiattiamoci fra le erbe e ricarichiamo le armi. —

Intanto i bisonti continuavano a sfilare sempre correndo, piegando verso il nord-est. Le loro colonne procedevano fitte, [p. 175 modifica]occupando tuttavia una vasta estensione di terreno, poichè erano composte di parecchie migliaia di capi.

Impiegarono più di mezz’ora a passare dinanzi all’altura e sparvero in direzione dei monti Telescopio, inseguiti da vicino da parecchi cavalieri, che perseguitavano la retroguardia a colpi di lancia.

Quantunque la notte fosse oscura, essendosi la luna velata, Sanchez ed i suoi compagni riconobbero, dalle penne svolazzanti, quei cavalieri.

— Non mi ero ingannato, — disse il messicano. — Gli Indiani inseguivano i bisonti.

— E dove li spingono? — chiese il marchese.

— Verso il luogo dove si troverà appiattata l’intera tribù.

— Che Indiani sono? Yuta forse?

— È probabile, poichè si sono estesi verso l’Utah, dacchè sono stati costretti ad abbandonare la California. Potrebbero però essere anche Navajoes, i quali abitano presso le frontiere del Nuovo Messico e dell’Arizona.

— E perchè no Apaches? Mi hanno detto che le loro tribù occupano un vasto territorio.

— È vero, ma l’Apache si trova di là del deserto d’Amargoza o più oltre ancora, dopo il Rio Virgin, lungo la riviera Verde ed il San Giovanni.

— In guardia! — esclamarono in quel momento gli arrieros, che erano scesi dall’altura.

— S’avvicinano degli altri bisonti forse? — chiese il marchese.

— No, dei cavalieri.

— Saranno i nostri compagni, — disse Sanchez.

— Infatti non sono che quattro, — aggiunse il marchese.

— Ohe! Gaspardo! — gridò Sanchez.

I quattro cavalieri che erravano per la pianura senza una direzione precisa, udendo quella chiamata, volsero gli animali e galopparono verso l’altura.

— Siete voi, Sanchez? — chiese Gaspardo, che precedeva i compagni.

— Siamo noi, — rispose il messicano. — Dove siete fuggiti? [p. 176 modifica]

— Ci siamo salvati verso l’est, — rispose il brasiliano. — I bisonti, dopo il vostro passaggio, avevano richiuso le file e ci mandarono a gambe all’aria. Ci volle non poca fatica a rimetterci in sella ed aprirci un passaggio. Fortunatamente quegli animalacci non mi sembravano di cattivo umore.

— Avete nulla di rotto, almeno?

— Non credo.

— Avete veduto gl’Indiani?

— Ci sono passati a soli dugento metri.

— Erano molti? — chiese il marchese.

— Una trentina, signore.

— Vi hanno veduti?

— Erano troppo occupati nello spingere i bisonti, per pensare a noi.

— Avete veduto degli animali in terra? — chiese Sanchez. — Dobbiamo averne uccisi alcuni.

— Due o tre; ma se non ci affrettiamo, i lupi s’incaricheranno di mangiarli.

— Non lasceremo a loro tempo. In sella, caballeros, ed andiamo a raccogliere i morti. —

Abbandonata l’altura, si slanciarono in mezzo alla prateria ridiventata deserta e si fermarono presso ad una banda di lupi che stavano assalendo, con vero furore, due grandi bisonti, due maschi, che erano caduti alle prime scariche dei viaggiatori. Scacciarono quei predoni di prateria e balzarono a terra. Mentre gli arrieros s’occupavano a rizzare le tende, Sanchez, il marchese e Gaspardo s’avvicinarono ai due ruminanti.

Erano veramente giganteschi. Quantunque non siano feroci, anzi un tempo si lasciassero ammazzare a colpi di bastone, incutevano paura colle loro enormi teste villose ed armate di corna corte ma aguzze, le loro gobbe pronunciatissime e coperte pure di lunghi peli ed il loro collo grosso assai, e che dinotava una forza più che straordinaria.

Mentre i buoi hanno tredici costole a ciascun lato ed i bufali quattordici, il bisonte americano ne ha quindici; la sua statura però sorpassa di molto quella degli altri due suoi congeneri. Non [p. 177 modifica]s’incontrano che nell’America del Nord, essendo affatto sconosciuti in quella del Sud; anzi si tengono perfino lontani dalle rive dell’Oceano Artico e del Golfo del Messico. Le loro torme s’incontrano per lo più nelle grandi praterie del centro, nei così detti territori indiani e specialmente nei pressi del Mississippi, ma non scarseggiano nemmeno nelle altre regioni. Molti vivono nel Canadà, all’occidente dei laghi, spingendosi molto al nord, altri nella Luigiana, nell’Arkansas, nel Kansas e nel Nebraska.

Cambiano però sovente territorio, spinti da cause che ancora s’ignorano, ma forse dal desiderio di trovare pascoli migliori. Ma ciò solo avviene quando maschi e femmine si riuniscono, vivendo, per la maggior parte dell’anno, in torme separate.

Le femmine non rimangono però mai sole, poichè alcuni vecchi maschi le accompagnano per proteggerle.

Di solito sono d’umore tranquillo, ma nella stagione degli amori i maschi diventano battaglieri e pericolosi pei cacciatori. Si disputano le femmine ed impegnano fra loro zuffe terribili a colpi di corna, che terminano sempre colla morte di uno o dell’altro avversario, ed allora guai chi osa affrontarli.

Un tempo non temevano l’uomo, quantunque gli Indiani gli abbiano sempre cacciati; ma dacchè comparvero i bianchi colle loro armi da fuoco, sono diventati diffidenti e si sono isolati e non si lasciano avvicinare. Bisogna sorprenderli tenendosi sempre sottovento, perchè hanno l’odorato fino, e per abbatterli non bisogna mirarli al capo, avendo le ossa frontali così grosse da arrestare una palla, per quanta forza di penetrazione abbia.

— Che animalacci! — esclamò il marchese, che girava e rigirava attorno ai due cadaveri. — Anche morti fanno paura.

— E che carne deliziosa ci procureranno, señor, — disse Sanchez, che si preparava a scorticarli.

— Somiglia a quella del bue?

— È migliore, e specialmente la gobba è squisita.

— E volete portare con noi tutta questa carne? Ci vorrebbero altri sei muli.

— Sceglieremo i pezzi migliori e faremo del tasaio.

— Volete seccarla? [p. 178 modifica]

— Certo, marchese. Ci provvederemo per un paio di mesi.

— Credete che duri tanto il nostro viaggio?

— Non si sa mai quanto tempo è necessario in queste regioni dove s’incontrano mille pericoli. Ma basta; al lavoro, chè voglio offrirvi a colazione degli squisiti sanguinacci di prateria.

— Volete che vi aiuti? — chiese Gaspardo.

— Perdereste il vostro tempo inutilmente e guastereste la pelliccia.

— Intendete di conservare le pelli? — chiese il marchese.

— Valgono dei bei dollari, señor, e riparano dal freddo e dall’umidità meglio di due coperte di lana.

— Ma come farete a conciarle?

— Col sistema indiano.

— Ne so quanto prima.

— È un’operazione facile e molto comoda. Basta stendere la pelle per terra, col pelo di sotto e strofinarla internamente con una mistura composta di cervello di bisonte ed acqua.

— È singolare! E questo è tutto?

— No, perchè diventi morbida, dopo ventiquattr’ore si pulisce la parte interna con la lama d’un coltello o con una spatola di legno, per levare tutti i pezzi di carne che possono essere rimasti attaccati, quindi esporla ad un lento fuoco che dia molto fumo. Dopo questa operazione, la pelle si conserva per molti anni senza soffrire.

— Ingegnosi gl’Indiani!

— Non dico di no, marchese. Al lavoro! —

Con una destrezza meravigliosa che denotava una lunga pratica, servendosi del coltello scorticò uno dei due bisonti, gli aprì la gola per strappargli la lingua che pesava non meno di sei chilogrammi, gli levò la gobba facendo una profonda incisione circolare; poi, servendosi della scure, aprì l’enorme massa, cominciando dalle spalle e spezzando le costole alla loro congiunzione colla spina dorsale. Ciò fatto levò un pezzo d’intestino che era coperto di un fitto strato di grasso, lo pulì per bene in un torrentello, lo rovesciò e lo riempì di pezzi di lingua e di gobba ben triturati e di sangue, legandolo alle due estremità. [p. 179 modifica]

— Ecco i salsicciotti per la colazione, — disse. — Sono deliziosi, señor.

Poi volgendosi verso i mulattieri, che avevano steso delle corde, servendosi dei bastoni delle tende:

— Ora a voi, — disse. — Tagliate le carni in sottili strisce e preparate il tasaio. Alle pelli penseremo più tardi. —