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178 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
— Certo, marchese. Ci provvederemo per un paio di mesi.
— Credete che duri tanto il nostro viaggio?
— Non si sa mai quanto tempo è necessario in queste regioni dove s’incontrano mille pericoli. Ma basta; al lavoro, chè voglio offrirvi a colazione degli squisiti sanguinacci di prateria.
— Volete che vi aiuti? — chiese Gaspardo.
— Perdereste il vostro tempo inutilmente e guastereste la pelliccia.
— Intendete di conservare le pelli? — chiese il marchese.
— Valgono dei bei dollari, señor, e riparano dal freddo e dall’umidità meglio di due coperte di lana.
— Ma come farete a conciarle?
— Col sistema indiano.
— Ne so quanto prima.
— È un’operazione facile e molto comoda. Basta stendere la pelle per terra, col pelo di sotto e strofinarla internamente con una mistura composta di cervello di bisonte ed acqua.
— È singolare! E questo è tutto?
— No, perchè diventi morbida, dopo ventiquattr’ore si pulisce la parte interna con la lama d’un coltello o con una spatola di legno, per levare tutti i pezzi di carne che possono essere rimasti attaccati, quindi esporla ad un lento fuoco che dia molto fumo. Dopo questa operazione, la pelle si conserva per molti anni senza soffrire.
— Ingegnosi gl’Indiani!
— Non dico di no, marchese. Al lavoro! —
Con una destrezza meravigliosa che denotava una lunga pratica, servendosi del coltello scorticò uno dei due bisonti, gli aprì la gola per strappargli la lingua che pesava non meno di sei chilogrammi, gli levò la gobba facendo una profonda incisione circolare; poi, servendosi della scure, aprì l’enorme massa, cominciando dalle spalle e spezzando le costole alla loro congiunzione colla spina dorsale. Ciò fatto levò un pezzo d’intestino che era coperto di un fitto strato di grasso, lo pulì per bene in un torrentello, lo rovesciò e lo riempì di pezzi di lingua e di gobba ben triturati e di sangue, legandolo alle due estremità.