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176 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
— Ci siamo salvati verso l’est, — rispose il brasiliano. — I bisonti, dopo il vostro passaggio, avevano richiuso le file e ci mandarono a gambe all’aria. Ci volle non poca fatica a rimetterci in sella ed aprirci un passaggio. Fortunatamente quegli animalacci non mi sembravano di cattivo umore.
— Avete nulla di rotto, almeno?
— Non credo.
— Avete veduto gl’Indiani?
— Ci sono passati a soli dugento metri.
— Erano molti? — chiese il marchese.
— Una trentina, signore.
— Vi hanno veduti?
— Erano troppo occupati nello spingere i bisonti, per pensare a noi.
— Avete veduto degli animali in terra? — chiese Sanchez. — Dobbiamo averne uccisi alcuni.
— Due o tre; ma se non ci affrettiamo, i lupi s’incaricheranno di mangiarli.
— Non lasceremo a loro tempo. In sella, caballeros, ed andiamo a raccogliere i morti. —
Abbandonata l’altura, si slanciarono in mezzo alla prateria ridiventata deserta e si fermarono presso ad una banda di lupi che stavano assalendo, con vero furore, due grandi bisonti, due maschi, che erano caduti alle prime scariche dei viaggiatori. Scacciarono quei predoni di prateria e balzarono a terra. Mentre gli arrieros s’occupavano a rizzare le tende, Sanchez, il marchese e Gaspardo s’avvicinarono ai due ruminanti.
Erano veramente giganteschi. Quantunque non siano feroci, anzi un tempo si lasciassero ammazzare a colpi di bastone, incutevano paura colle loro enormi teste villose ed armate di corna corte ma aguzze, le loro gobbe pronunciatissime e coperte pure di lunghi peli ed il loro collo grosso assai, e che dinotava una forza più che straordinaria.
Mentre i buoi hanno tredici costole a ciascun lato ed i bufali quattordici, il bisonte americano ne ha quindici; la sua statura però sorpassa di molto quella degli altri due suoi congeneri. Non s’in-