Il Re della Prateria/Parte prima/4. A bordo dell'Albatros
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Capitolo Quarto.
A bordo dell’«Albatros.»
La notte era oscura e minacciosa. Un vento freddo, che veniva dall’ovest, sollevava l’Atlantico in larghe ondate, lanciandole contro le rupi, sulle quali si ergono i due forti di San Joao e di Santa Cruz, posti a difesa della baia di Rio Janeiro.
Pel cielo correvano masse di vapori neri come il fondo d’un barile di catrame, e laggiù, verso il lontano orizzonte, si udiva ad intervalli brontolare il tuono.
Malgrado che il porto fosse a due soli passi, una svelta nave, dall’alta alberatura coperta di vele, bordeggiava lentamente fra l’isola di Tucinha e i due forti, procurando di non scostarsi troppo dal faro, che indicava l’entrata della baia.
Era un bel brick di milledugento tonnellate, con la carena stretta, con lo sperone acuto, un vero legno da corsa, che con un buon vento doveva filare come una rondine marina. Dai suoi sabordi si vedevano spuntare le nere gole di quattro grossi pezzi d’artiglieria, e sul suo cassero se ne scorgeva un altro, più grosso e più lungo.
Trenta uomini, seminudi malgrado il freddo e scalzi, ma tutti robusti, con certe braccia da piegare una sbarra di ferro e certe facce sulle quali leggevasi un coraggio a tutta prova, si tenevano ritti lungo i bracci delle manovre, pronti a far virare di bordo il legno al primo comando del mastro d’equipaggio.
Due altri invece si tenevano sulla coffa dell’albero di maestra, tenendo in mano un cannocchiale.
Uno era giovane ancora, poiché non dimostrava più di ventisette o ventotto anni, e portava in capo un berretto da capitano; l’altro era una specie di Ercole, alto un metro e novanta centimetri, grosso, muscoloso, col viso coperto di peli lunghi; e che, malgrado il ventaccio, aveva il petto mezzo nudo e il capo scoperto. Questa specie di orso poteva avere quarantacinque anni, come poteva averne anche sessanta.
Di quando in quando il più giovane puntava il cannocchiale verso il sud, e interrogava attentamente la nera distesa dell’Oceano per parecchi minuti, poi faceva un gesto d’impazienza.
— Ancora nulla, capitano Nunez? — chiese l’Ercole.
— No, mastro.
— Che gli sia toccata qualche disgrazia?
— Non ne so più di te, Mumbai.
— Che abbiamo sbagliato il giorno?
— No, mio caro, la memoria mi serve bene. Oggi è proprio il 14 aprile, e dovrebbe giungere questa notte.
— Che abbia trovato dei gravi ostacoli?
— È possibile.
— Ha degli uomini fidati e risoluti con sé?
— Bah! Ne dubito.
— Se avesse preso quattro dei nostri che hanno pratica di simili affari!...
— Gli avevo fatto la proposta, ma ha rifiutato, — disse il capitano.
— Forse diffida di noi?
— Pare che non volesse farci sapere dove si trova il marchesino. D’altronde, meglio così.
— Che si tratti d’una vendetta, capitano?
— Può essere; ma da parte di chi? Ecco il punto oscuro.
— Non conoscete quella famiglia?
— Di nome, niente di più.
— Ma quel fratello fuggito molti anni fa e che mi avete accennato...
— Cosa vorresti dire, Mumbai?
— Che ne so io? — disse il gigante, crollando il capo. — Sapete dove si trovi quel fratello del marchesino?
— Non mi sono mai occupato di lui, e poi non era suo fratello dal lato paterno.
— Appunto per questo sospetto...
— Oh!... — esclamò il capitano Nunez, alzandosi in piedi.
— Vedo un fanale laggiù! — esclamò Mumbai, che si era pure alzato.
— Lo vedo anch’io.
— Che sia il francese?
— Non ti pare che quel fanale sia molto basso?
— Mi sembra che sfiori l’acqua.
— Non può essere che la scialuppa del francese, — disse il capitano, puntando il cannocchiale verso il sud, dove si vedeva brillare, fra le fitte tenebre, un punto luminoso che pareva solcasse l’orizzonte con estrema rapidità.
— Ohe! — gridò il gigante curvandosi verso la coperta della nave. — Virate di bordo e mettete il brick in panna.
— Carrai! — esclamò Nunez, abbassando il cannocchiale. — È tanto buio da non poter distinguere bene; ma quel fanale, o punto luminoso che sia, si dirige da questa parte. —
Infatti lo spagnolo non s’ingannava. Il punto luminoso si dirigeva precisamente verso il faro, dinanzi al quale si trovava il legno negriero. Dietro si scorgevano talvolta delle scintille che tosto si spegnevano e dei riflessi rossastri che subito si dileguavano.
Dieci minuti dopo, il capitano e il mastro distinsero una massa oscura, che fendeva le larghe ondate dell’Oceano e che manovrava in modo da accostarsi alla nave negriera.
— Ohe! Della scialuppa! — gridò il capitano.
— Ohe! Della nave! — rispose una voce che veniva dal mare. — Appartenete all’Albatros?
— E di Cadice, signor di Chivry, — rispose il capitano Nunez.
— Gettate una scala! —
Il capitano e il mastro scesero in coperta, e fecero gettare la scala e una gomena. La scialuppa, che si trovava a soli pochi metri, virò di bordo e venne a cozzare contro il fianco della nave negriera.
— Siate il benvenuto, signor di Chivry, — disse lo spagnolo, curvandosi sulla murata.
— Grazie, signor Nunez, — rispose il francese.
— Portate il carico?
— Sì, ma dorme come un orso grigio in pieno inverno.
— Occorre un paranco?
— È inutile; bastano le mie braccia. —
Il signor di Chivry si caricò d’un corpo umano, che pareva addormentato o svenuto; con una mano s’aggrappò alla scala e salì sulla nave, senza mostrare la menoma fatica.
— Portatelo nella cabina che gli avete destinata, — disse, porgendo quel corpo inerte al mastro.
Poi, volgendosi al capo della scialuppa, che lo aveva seguìto:
— Queste sono le duemila piastre pattuite. Andate e dimenticate ogni cosa, se vi preme la pelle.
— Nessuno parlerà, Eccellenza, — rispose de Aguiar, inchinandosi profondamente.
— Sgombrate! — gridò il capitano Nunez.
De Aguiar si affrettò a discendere, e l’imbarcazione prese rapidamente il largo, scomparendo fra le tenebre.
Il signor di Chivry la seguì fino che potè collo sguardo, aggrottando parecchie volte la fronte, poi, volgendosi verso il capitano Nunez, che pareva attendesse i suoi ordini, gli disse seccamente:
— Partiamo!
— Pel Golfo del Messico?
— Sì.
— Winther! — gridò, volgendosi verso il timoniere. — La barra all’orza e fila al largo, e voi ai bracci delle manovre e virate di bordo.
— La rotta? — chiese il pilota.
— Il capo San Rocco, per ora. —
L’Albatros virò di bordo quasi sul posto, filò lungo la penisola che chiude, verso oriente, l’ampia baia di Rio Janeiro, e avvistato il capo Firio, girò al largo, balzando agevolmente sulle spumeggianti onde dell’Oceano Atlantico.
Il capitano Nunez guardò la bussola per accertarsi della rotta, diede alcuni comandi al mastro che era risalito in coperta, poi si avvicinò al signor di Chivry, che era seduto sul cannone da caccia, tenendosi la fronte stretta fra le mani.
— Ebbene, signore? — gli chiese.
— Ah! siete voi, capitano? — disse il francese, rialzando il capo e guardandolo distrattamente.
— Siete soddisfatto?
— Pienamente, capitano.
— È riuscito bene il colpo?
— Meglio non poteva andare.
— È proprio il marchesino?
— Non c’è da dubitarne.
— Saremo inseguiti?
— Non lo credo. Nessuno mi vide uscire dalla laguna delle Anitre e nessuno mi vide salire sulla vostra nave.
— Ma i servi del marchese?...
— Quando si saranno accorti della sua sparizione, io era già molto lontano. Mi avranno inseguito, ne sono certo; forse a quest’ora tutta la polizia di Porto Alegre è in moto; ma nessuno conosce i rapitori, come nessuno ha qualche sospetto.
— Ma i vostri arruolati?
— Non parleranno, siate certo. È nel loro interesse di serbare il silenzio, vi pare? —
Il capitano non rispose; pareva che pensasse a qualche cosa.
— Bah! — disse poi, crollando il capo e alzando le spalle. — Se c’inseguiranno, troveranno pane pei loro denti. Ho della gente risoluta e dei buoni cannoni.
— Vi dispiace esservi mischiato in quest’avventura?
— No, signor di Chivry. Ho fatto un buon affare, e sono contento di averlo concluso.
— Quanto impiegheremo a giungere a destinazione?
— Fra un mese conto di sbarcare il marchesino sulle sponde della laguna della Madre, a meno che non sopraggiungano dei malanni. Voi sapete che non si sa mai se si arriva, e quando si arriva, in porto.
— Lo so.
— Vi aspetta qualcuno alla foce del San Fernando?
— Quattro indiani.
— Quattro indiani! Cosa hanno da fare le pellirosse col figlio della marchesa d’Araniuez y Mendoza?
— Ecco quello che io stesso ignoro, capitano, e che forse non sapremo mai. Ho ricevuto l’incarico di rapire il marchesino da un cacciatore di prateria mio amico, ma non mi disse il motivo.
— Non sono curioso, signor di Chivry – disse lo spagnolo, sorridendo. – Ma, ditemi, dovremo custodire il marchesino?
— È necessario.
— Nella sua cabina?
— Sì; poichè è tale giovanotto da creare dei gravi imbarazzi, se gli si accordasse un po’ di libertà.
— Un mese in cabina!... È una prigionia dura, signor di Chivry.
— Devo condurlo assolutamente al Rio San Fernando – disse il francese marcando ogni parola. – Mi capite... assolutamente!
— Si ribellerà.
— Se sarà necessario, lo legheremo.
— Avete ampi poteri, a quel che pare. —
Il francese non rispose, ma fece un cenno col capo che voleva significare un’affermazione.
— E chi ve gli diede questi poteri?
— Quel cacciatore. È solida la porta della cabina?
— Senza una scure non si può sfondare.
— La finestra guarda?...
— Sul mare.
— È larga?...
— Un po’ più d’un sabordo di batteria, avendovi un tempo collocato un cannone da caccia.
— Non salterà in mare il giovanotto?
— Bah...! Ritengo che non avrà voglia alcuna d’annegarsi a di farsi mangiare dai pescicani.
— Venite, — disse di Chivry alzandosi.
— Dove mi conducete?
— A vedere il marchesino.
— Dormirà ancora?
— Fino a domani mattina.
— Gli avete somministrato qualche cosa?
— Un potente narcotico.
— Andiamo, signor di Chivry. —
Lasciarono il ponte del veliero e scesero nel quadro di poppa, che il mastro aveva illuminato.
Il negriero attraversò il salotto, che era ammobiliato con un certo gusto e adorno di moltissime armi, fra le quali si distinguevano parecchi tromboni, delle splendide carabine indiane arabescate e adorne di fregi d’argento e di madreperla, delle scimitarre con lama larga e d’un acciaio così fino da lasciar vedere le vene del metallo; poi si arrestò dinanzi ad una porta chiusa con due grossi catenacci e si mise in ascolto.
— Dorme ancora, — disse volgendosi verso il francese che lo aveva seguìto, senza pronunciare una sola parola.
— Lo credo, — rispose questi, — gli ho fatto inghiottire la terza dose di narcotico, ieri mattina.
— E non soffrirà.
— Bah! Il giovanotto è robusto. —
Il capitano Nunez tirò i catenacci ed entrarono in una cabina abbastanza comoda, fornita d’un ampio sabordo che metteva sulla poppa del legno e ammobiliata con un lettuccio, una tavola ed alcune sedie.
Il francese guardò in ogni angolo per assicurarsi che non vi fossero armi, poi alzò gli occhi sul lettuccio, sul quale stava sdraiato il giovane marchese.
Era questi un bel giovanotto di sedici o diciassette anni, di statura piuttosto alta, svelta, ma robusta. Si comprendeva a prima vista che oltre ad avere un’agilità straordinaria, era dotato anche di una forza superiore ai giovanotti della sua età.
Aveva il volto leggermente abbronzato, incorniciato da una folta e lunga capigliatura nera come l’ebano, le labbra vermiglie socchiuse ad un sorriso, l’arcata delle sopracciglia d’una esattezza ammirabile e la fronte spaziosa. Quantunque dormisse profondamente, in tutto l’insieme dimostrava una energia così spiccata, che il capitano Nunez ne fu colpito.
– Bel ragazzo. Carramba! – esclamò. – Ma temo che ci procurerà non poche noie, signor di Chivry.
— E perchè? — chiese il francese, aggrottando la fronte.
— Perchè è tal tipo, da non rassegnarsi ad una prigionia forzata.
— Bisognerà che si rassegni.
— Ci darà da fare, signor di Chivry, ve lo assicuro. —
Il francese non rispose. Girò lentamente sui talloni e uscì colla fronte aggrottata e le braccia strettamente incrociate.
Pareva che un pensiero profondo in quel momento lo tormentasse.