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capitolo iv. — a bordo dell’albatros. 31

ritti lungo i bracci delle manovre, pronti a far virare di bordo il legno al primo comando del mastro d’equipaggio.

Due altri invece si tenevano sulla coffa dell’albero di maestra, tenendo in mano un cannocchiale.

Uno era giovane ancora, poiché non dimostrava più di ventisette o ventotto anni, e portava in capo un berretto da capitano; l’altro era una specie di Ercole, alto un metro e novanta centimetri, grosso, muscoloso, col viso coperto di peli lunghi; e che, malgrado il ventaccio, aveva il petto mezzo nudo e il capo scoperto. Questa specie di orso poteva avere quarantacinque anni, come poteva averne anche sessanta.

Di quando in quando il più giovane puntava il cannocchiale verso il sud, e interrogava attentamente la nera distesa dell’Oceano per parecchi minuti, poi faceva un gesto d’impazienza.

— Ancora nulla, capitano Nunez? — chiese l’Ercole.

— No, mastro.

— Che gli sia toccata qualche disgrazia?

— Non ne so più di te, Mumbai.

— Che abbiamo sbagliato il giorno?

— No, mio caro, la memoria mi serve bene. Oggi è proprio il 14 aprile, e dovrebbe giungere questa notte.

— Che abbia trovato dei gravi ostacoli?

— È possibile.

— Ha degli uomini fidati e risoluti con sé?

— Bah! Ne dubito.

— Se avesse preso quattro dei nostri che hanno pratica di simili affari!...

— Gli avevo fatto la proposta, ma ha rifiutato, — disse il capitano.

— Forse diffida di noi?

— Pare che non volesse farci sapere dove si trova il marchesino. D’altronde, meglio così.

— Che si tratti d’una vendetta, capitano?

— Può essere; ma da parte di chi? Ecco il punto oscuro.

— Non conoscete quella famiglia?

— Di nome, niente di più.