Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
36 | parte i. — l’albatros. |
— Bah...! Ritengo che non avrà voglia alcuna d’annegarsi a di farsi mangiare dai pescicani.
— Venite, — disse di Chivry alzandosi.
— Dove mi conducete?
— A vedere il marchesino.
— Dormirà ancora?
— Fino a domani mattina.
— Gli avete somministrato qualche cosa?
— Un potente narcotico.
— Andiamo, signor di Chivry. —
Lasciarono il ponte del veliero e scesero nel quadro di poppa, che il mastro aveva illuminato.
Il negriero attraversò il salotto, che era ammobiliato con un certo gusto e adorno di moltissime armi, fra le quali si distinguevano parecchi tromboni, delle splendide carabine indiane arabescate e adorne di fregi d’argento e di madreperla, delle scimitarre con lama larga e d’un acciaio così fino da lasciar vedere le vene del metallo; poi si arrestò dinanzi ad una porta chiusa con due grossi catenacci e si mise in ascolto.
— Dorme ancora, — disse volgendosi verso il francese che lo aveva seguìto, senza pronunciare una sola parola.
— Lo credo, — rispose questi, — gli ho fatto inghiottire la terza dose di narcotico, ieri mattina.
— E non soffrirà.
— Bah! Il giovanotto è robusto. —
Il capitano Nunez tirò i catenacci ed entrarono in una cabina abbastanza comoda, fornita d’un ampio sabordo che metteva sulla poppa del legno e ammobiliata con un lettuccio, una tavola ed alcune sedie.
Il francese guardò in ogni angolo per assicurarsi che non vi fossero armi, poi alzò gli occhi sul lettuccio, sul quale stava sdraiato il giovane marchese.
Era questi un bel giovanotto di sedici o diciassette anni, di statura piuttosto alta, svelta, ma robusta. Si comprendeva a prima vista che oltre ad avere un’agilità straordinaria, era dotato anche di una forza superiore ai giovanotti della sua età.