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capitolo iv. — a bordo dell’albatros. | 35 |
— Fra un mese conto di sbarcare il marchesino sulle sponde della laguna della Madre, a meno che non sopraggiungano dei malanni. Voi sapete che non si sa mai se si arriva, e quando si arriva, in porto.
— Lo so.
— Vi aspetta qualcuno alla foce del San Fernando?
— Quattro indiani.
— Quattro indiani! Cosa hanno da fare le pellirosse col figlio della marchesa d’Araniuez y Mendoza?
— Ecco quello che io stesso ignoro, capitano, e che forse non sapremo mai. Ho ricevuto l’incarico di rapire il marchesino da un cacciatore di prateria mio amico, ma non mi disse il motivo.
— Non sono curioso, signor di Chivry – disse lo spagnolo, sorridendo. – Ma, ditemi, dovremo custodire il marchesino?
— È necessario.
— Nella sua cabina?
— Sì; poichè è tale giovanotto da creare dei gravi imbarazzi, se gli si accordasse un po’ di libertà.
— Un mese in cabina!... È una prigionia dura, signor di Chivry.
— Devo condurlo assolutamente al Rio San Fernando – disse il francese marcando ogni parola. – Mi capite... assolutamente!
— Si ribellerà.
— Se sarà necessario, lo legheremo.
— Avete ampi poteri, a quel che pare. —
Il francese non rispose, ma fece un cenno col capo che voleva significare un’affermazione.
— E chi ve gli diede questi poteri?
— Quel cacciatore. È solida la porta della cabina?
— Senza una scure non si può sfondare.
— La finestra guarda?...
— Sul mare.
— È larga?...
— Un po’ più d’un sabordo di batteria, avendovi un tempo collocato un cannone da caccia.
— Non salterà in mare il giovanotto?