Il Quadriregio/Nota
Questo testo è incompleto. |
◄ | Libro quarto - XXII | Glossario | ► |
NOTA
I
Il poema frezziano, composto tra la fine del sec. XIV e il principio del XV, ebbe non meno di trenta trascrizioni e non piú di dieci ristampe.
È inutile che io parli di cinque trascrizioni, che sono o irreperibili o assolutamente perdute; né vale la pena di tener conto di due brevissimi frammenti di codici, che si trovano uno a Firenze e l'altro a Oxford. Gli altri ventitré, per la maggior parte, furono redatti nel sec. XV, e tra essi quelli di data certa sono sette, cioè:
1° il cod. 989 della Biblioteca Universitaria di Bologna, col titolo Liber de Regnis, con l'attribuzione a Niccolò Malpigli a principio e con la data del 1430;
2° il cod. Conv. Soppr. C. I. 505 della Nazionale Centrale di Firenze, col titolo aggiunto Quatriregio del decursu della vita umana, con l'attribuzione a «Federico vescovo della cittá de Foligni» e con la data del 1449;
3° il cod. Ashb. 565, della Laurenziana, con in fine l'indicazione di Libro de quatro reami, la stessa attribuzione precedente e la data del 1461;
4° il cod. Cappon. n. 70 della Naz. Centr. di Firenze, col titolo Libro de' regni, adespoto e con la data del 1464;
5° il cod. Ashb. 372 della Laurenziana, col titolo precedente, adespoto e con la data del 1469;
6° il cod. Magliab. II. II. 35 della Naz. Centr. di Firenze, col titolo precedente, adespoto e con la data del 1474;
7° il cod. Class. n. 124 di Ravenna, col titolo precedente, adespoto e con la data del 1476. del 1476.
Appartengono anche al sec. XV i seguenti 12 codici del Quadr. senza data, cioè:
1° il cod. Ottobon. 2862 della Vaticana, con in fine l’indicazione Liber de quattuor regnis e l’attribuzione a Federico vescovo di Foligno;
2° il cod. Palat. 343 della Naz. Centr. di Firenze, col titolo marginale Quatriregio del decursu della vita umana, con l’attribuzione precedente;
3° il cod. Class. n. 231 di Ravenna, col titolo Libro di regni e con l’attribuzione precedente;
4° il cod. Ashb. 1287 della Laurenziana, col titolo Quadriregio del decurso della vita umana e con l’attribuzione precedente;
5° il cod. Riccard. 2716, col titolo Libro de’ regni e senza nome d’autore;
6° il cod. Magliab. II. II. 34, col titolo precedente e adespoto;
7° il cod. 1346 della Biblioteca Pubblica di Lucca, col titolo moderno Quadriregio e con uguale attribuzione a Federico Frezzi;
8° il cod. ora Cora di Torino, col titolo Federghina, giá posseduto dal Convento di S. Michele presso Venezia;
9° il cod. 1454 dell’Angelica di Roma, col titolo Liber magistri Federici;
10° il cod. Canonic. n. 37 della Bodleiana di Oxford, col titolo Libro de Regni e adespoto;
11° il cod. 10424 del British Museum di Londra, col titolo precedente e adespoto;
12° il cod. Hamilton 265 della R. Bibl. di Berlino, col titolo precedente e adespoto.
Appartengono al sec. XVI:
1° la trascrizione Gaddiana contenuta nel cod. XXXII, plut. LXXXX della Laurenziana, col solito titolo Libro de Regni, senza nome d’autore e con la data d’un esemplare precedente perduto (1493);
2° il cod. Segniano XIX della stessa biblioteca fiorentina, col titolo suddetto e senza data.
Appartiene al sec. XVII la trascrizione contenuta nel cod. C. X. 16 della Comunale di Siena, col titolo Quadriregio, con l’erronea attribuzione a Ludovico Frezza e mutila in fine.
In ultimo, appartiene al sec. XVIII il cod. Palat. 344 della Naz. Centr. di Firenze, col titolo Libro de Regni, adespoto, senza data ed esemplato sull’Ashb. 372.
Naturalmente, fra tutti codesti codici, i piú importanti sono quelli redatti nel 400, di cui occorrerebbe stabilire la genealogia, per poter rintracciare il piú antico e il piú vicino all’autografo frezziano, che non si conosce; ma l’impresa è per molte ragioni difficile, e non so se troverá mai uno studioso di buona volontá, che se l’assuma e l’assolva.
Quanto poi alle stampe del poema, la serie cominciò alla fine del sec. XV con la Perugina, fatta da Stefano Arns, nel 1481, in caratteri gotici, intitolata Quatriregio del decurso della vita umana, esemplata sul cod. Palat. 343 e fornita dell’attribuzione a Federico vescovo di Foligno: bella, ma non poco scorretta. La seconda è quella apparsa nel 1488 a Milano pei tipi di Antonio Zarotto, anch’essa in caratteri gotici, con lo stesso titolo e con la stessa attribuzione, e quindi figlia legittima della Perugina precedente. Seguí quasi certamente un’edizione fiorentina senza data e senza nome d’impressore, in caratteri rotondi, con titolo e attribuzione uguali alle altre, ma con indizi di affinitá maggiore alla Perugina e con qualche notevole novitá, di cui non si può stabilire la provenienza. La quarta ristampa si ebbe nel 1494 a Bologna per opera di Francesco De Regazonibus, che non fece altro se non ricalcare le orme dell’anonimo editore fiorentino, e di suo aggiunse soltanto il titolo isolato nel r. della prima carta: Libro chiamato Quatriregio del decorso della vita umana in terza rima.
Alle quattro edizioni quattrocentesche tennero dietro tre altre nel primo 500, e sono: quella impressa nel 1501 a Venezia da Piero da Pavia e discendente dalla Bolognese, quantunque presenti molti errori tipografici ed abbreviature in piú; quella uscita a Firenze nel 1508 per cura intelligente di Piero Pacini da Pescia, col titolo Quatriregio in terza rima volgare, cioè del Reame temporale e mondano di questo mondo etc., in caratteri rotondi e con la stessa attribuzione delle altre, ma anche con molte pregevoli silografie e con molti utili richiami in margine, e assai piú corretta e moderna della Fiorentina senza data, che l’editore sembra abbia tenuto presente; e la seconda ristampa veneziana del 1511, fatta da editore ignoto, scorrettissima e con indizi manifesti di discendenza diretta da quella del 1501.
Dopo codeste edizioni, il poema giacque dimenticato per piú di due secoli, e solo nel 1725 apparve una nuova ristampa pei tipi di Pompeo Campana di Foligno, in due volumi e col doppio titolo di Quadriregio o poema de’ quattro regni di monsignor Federigo Frezzi etc., che, condotta con metodo affatto nuovo, pur non rispondendo a tutte le esigenze della critica moderna, superò tutte le altre. Di essa, che fu l’unica edizione del poema nel 700, dirò meglio in séguito. Basterá qui ricordare che, quando si volle nel secolo successivo ridare alla luce il Quadriregio, non si fece che riprendere il testo folignate e ripresentarlo quasi tal quale sotto una veste tipografica piú moderna. Cosí si ebbero i due Quadriregi, pubblicati nel 1839 dall’Antonelli di Venezia e inseriti, con lievi differenze, nella doppia collezione in formato diverso del suo Parnaso classico italiano.
II
III
Gli editori del 1725, come ho giá detto, non si contentarono di riprodurre il testo di una delle vecchie ristampe del poema, e per la prima volta ne costituirono uno nuovo, che riuscí molto diverso e migliore. A questo giunsero con l’esame del cod. Palat. 343 (allora Boccoliniano), dei due codd. Class. 124 (allora Estense) e 231, del cod. Bol. Univ. 989 (allora Beccariano), nonché delle edizioni precedenti (meno la Milanese, che non conoscevano), e specialmente della Perugina, facendo conoscere agli studiosi anche le varianti non accettate. Ma quel lavoro critico, certamente faticoso e in gran parte lodevolissimo, se piacque agli eruditi del tempo, non poteva accontentare in tutto e per tutto quelli di epoca piú a noi vicina, che vedevano in esso troppo ingentilito l’aspetto linguistico del poema rispetto alla rozzezza dialettale delle precedenti edizioni, e vi trovavano ancora molti luoghi oscuri, una punteggiatura spesso inesatta e altri difetti minori. Se quell’edizione insomma ha maggiore importanza delle altre, non può avere il valore di definitiva, anche per il limitato numero di codici consultati dal Canneti, che piú direttamente degli altri si occupò della critica del testo.
Ciò posto, sarebbe stato conveniente, nell’apprestare una nuova ristampa del Quadriregio, non curarsi piú che tanto della Folignate e procedere alla formazione d’un nuovo testo su altri manoscritti autorevoli. Ma questo avrebbe imposto una fatica tutt’altro che lieve (si tratta di 12101 verso!); né lievi sarebbero state le difficoltá per riunire e consultare in un luogo solo il maggior numero possibile di codici appartenenti a tante biblioteche italiane e straniere. Miglior partito, quindi, mi è sembrato quello di riprendere ora come base del nuovo il testo del poema edito nel 1725 e correggerlo col soccorso di altre lezioni non esaminate o non apprezzate da quegli editori, e coll’uso dei mezzi suggeriti dalla moderna critica filologica. E questo è ciò che io ho fatto scrupolosamente libro per libro, canto per canto, verso per verso.
Fra i codici del Quadriregio ancora inosservati e tuttavia importanti ho scelto quello segnato Conv. Soppr. C. I. 505 della Nazionale Centrale di Firenze e l’Ashb. 372 della Laurenziana, che sono dei piú antichi e meglio redatti. E li ho tenuti presenti dal principio alla fine del poema, ma specialmente in quei luoghi, in cui il Canneti accenna alle varianti dei codici da lui consultati. Per i luoghi poi piú oscuri e dove non credevo sufficiente codesto materiale a stabilire una lezione persuasiva, son ricorso anche ad altri manoscritti, e precisamente agli Ashb. 565 e 1287 e all’Angel. 1454. Ciò però non vuol dire che in molti altri casi, in cui il Canneti non ci ha dato le varianti dei quattro codici da lui esaminati, io non abbia fatto appello anche ad essi, com’era necessario.
Alla collazione dei codici suddetti ho creduto opportuno aggiungere quella di qualche antica ristampa. E poiché il Canneti non aveva tenuto conto della Milanese del 1488, pensai subito di metterla a profitto io; ma, oltreché questa non differisce, come ho detto dianzi, dalla Perugina, è anche rarissima, e credo che in Italia non si trovi che la copia posseduta dall’Ambrosiana di Milano. Piú vantaggioso, certamente, sarebbe stato tener presente la Fiorentina del 1508; ma anche questa è divenuta molto rara e di difficile consultazione. Dato quindi lo scarso valore della Fiorentina senza data, della Bolognese e delle due Veneziane, del 1501 e del 1511, non restava che servirmi della Perugina, che, per quanto giá studiata dal Canneti nel 1725, poteva essermi utilissima e illuminarmi su molte cose da lui trascurate. Infatti essa conserva piú genuina la forma dialettale delle parole umbre e quella umanistica delle parole derivate dal latino, e, pur essendo irta di errori d’interpretazione e di stampa, pur mancando di qualche terzina e di ogni segno d’interpunzione, pur avendo versi incompleti o troppo lunghi e rime inesatte, offre ancora una quantitá notevole di varianti, oltre quelle giá notate dal Canneti. Io l’ho esaminata con grandissima cura e me ne sono valso in numerosi luoghi, che qui indicherei, se non dovessi impormi una certa brevitá. Ho tenuto anche conto delle scarse correzioni apportate al testo del poema dalle due edizioni del 1839, che non sono però neanch’esse prive di nuovi errori.
A tutti codesti testi mss. e stampati devo se in molti luoghi il senso è stato chiarito o semplificato con l’uso prudente delle varianti, con l’inversione delle parti di alcune frasi, con l’aggiunta di qualche parola, che nella edizione folignate non si trova, e con la soppressione di altre, che il Canneti aveva creduto di conservare o d’inserire. Ecco un elenco sommario di versi, che hanno subito piú o meno notevoli cambiamenti di codesto genere:
Libro I, cap. I, vv. 9, 26; cap. III, v. 142; cap. IV, v. 147; cap. VI, v. 52; cap. VII, v. 59; cap. VIII, vv. 117, 151, 153; cap. IX, vv. 48, 109, 122, 148; cap. XI, vv. 24, 30, 133; cap. XII, v. 70; cap. XIII, vv. 21, 73, 87, 107; cap. XIV, v. 27; cap. XVI, v. 95; cap. XVII, vv. 28-29, 32, 72, 108; cap. XVIII, vv. 25, 26, 33, 107.
Libro II, cap. I, v. 121; cap. II, vv. 58, 66; cap. III, vv. 52, 57, 61, 104, 126, 141, 147; cap. IV, vv. 6, 15, 70, 82, 93, 104, 134; cap. V, vv. 26, 88; cap. VII, vv. 109, 137, 157; cap. VIII, vv. 49, 65, 68, 71, 81; cap. IX, v. 116; cap. X, vv. 17, 29, 149; cap. XI, vv. 34, 44;
cap. XII, vv. 53, 60, 143; cap. XIII, vv. 49, 144; cap. XIV, vv. 4, 12, 75, 118; cap. XV, vv. 35, 39, 99; cap. XVI, vv. 5, 39, 41, 50, 66, 90, 143, 152; cap. XVII, vv. 38, 51; cap. XVIII, vv. 16, 98; cap. XIX, vv. 22, 100, 102, 120, 170.
Libro III, cap. I, v. 119; cap. II, v. 70; cap. III, v. 28; cap. IV, vv. 19, 24, 36, 43, 54, 59, 99; cap. V, vv. 48, 55, 67, 82, 86, 122;
cap. VI, vv. 10, 65, 74, 147, 157; cap. VII, vv. 17, 45, 69, 142, 152, 160; cap. VIII, vv. 3, 91; cap. IX, v. 126; cap. X, vv. 45, 70; cap. XI, v. 99; cap. XII, v. 39; cap. XIII, vv. 131, 155, 167, 168; cap. XIV, v. 76; cap. XV, vv. 27, 37; cap. XV, v. 157.
Libro IV, cap. I, vv. 26, 47, 132; cap. II, vv. 17, 24, 40, 45, 59;
cap. III, vv. 42, 61, 92, 93; cap. IV, vv. 16, 71, 73, 79, 120, 135;
cap. V, vv. 84, 100; cap. VI, vv. 72, 89, 93, 130, 150; cap. VII, vv. 40, 56, 122, 175; cap. VIII, vv. 59, 63; cap, IX, vv. 21, 76, 101, 105; cap. X, vv. 31, 33, 36, 61, 63, 125, 149; cap. XI, vv. 12, 16, 38, 66, 84; cap. XII, vv. 19, 33, 48, 52, 91, 158; cap. XIII, vv. 3, 16, 62, 74, 99, 141; cap. XIV, vv. 23, 26, 29, 130; cap. XVI, vv. 23, 87; cap. XVII, vv. 7, 8, 19, 27, 65, 140, 153; cap. XVIII, vv. 2, 61, 116, 138, 146; cap. XIX, vv. 50, 57, 61, 123, 132, 140; cap. XX, vv. 18, 29, 36, 49, 76, 87, 104, 160; cap. XXI, vv. 38, 84, 100, 110, 148;
cap. XXII, vv. 17, 26, 35, 71, 77, 83, 93, 106, 113, 136.
L’elenco sarebbe molto piú lungo, se avessi voluto tener conto di tutti i versi, nei quali furono soppressi molti «e», «io», «e’» ed «in» (davanti a «pria»), di cui le edizioni del 1725 e 1839 son piene, e che ho ritenute inutili e ingombranti o che non erano nei testi precedenti. Cosí non vi ho compreso quelli, nei quali tutti i pronomi «le» sono stati cambiati in «gli» e gli articoli e i pronomi «il» hanno ceduto il posto ad «el», secondo i testi mss. e stampati piú antichi, né quelli in cui sono state ritoccate le rime.
Piú numerosi mutamenti ho introdotti nel Quadriregio per ciò che riguarda la forma, ora dialettale ora umanistica delle parole. Sotto questo aspetto si dirá che il poema frezziano ora riappare invecchiato in paragone delle ultime ristampe, che avean cercato di ringiovanirlo rispetto a quelle piú antiche. Ma che importa ciò, se esso, senza ritornare alla rozzezza delle prime edizioni, riacquista un aspetto piú confacente alla sua origine, al luogo, cioè, ed ai tempi in cui fu composto? A me insomma è parso che, date le condizioni del poeta, il quale visse molto tra la sua Umbria e la Toscana in quel periodo di transizione dal sec. XIV al XV, l’opera sua dovesse risentire, piú di quanto non risulti dall’edizione cannetiana, degl’influssi esercitati su lui dal natio dialetto e dall’umanesimo fiorentino. Del resto, se si leggono i codici e le prime edizioni del Quadriregio, vi si trovano moltissime parole dialettali umbre e moltissime altre di forma assolutamente latina; e se le prime sono talvolta frutto e conseguenza delle abitudini dei copisti e dei tipografi, non si può dire lo stesso delle altre. Io non ho preso dai testi consultati tutto ciò che avrei potuto mietere in questo doppio terreno: tanto è vero che qua e lá il lettore potrá incontrare le stesse parole ora riprodotte in una forma ora in un’altra; ma tutte le volte che ho trovato piú testi concordi o quasi nella riproduzione dialettale o latineggiante d’un vocabolo, io l’ho accettato e introdotto nella stampa. Un glossario spiegherá in fondo le parole umbre meno facili a comprendersi, e vi si terrá conto, fin dove sará possibile, delle Dichiarazioni del Boccolini e delle osservazioni del Crocioni sui dialettismi frezziani.
Cosí ho cercato di dare al testo del Quadriregio una forma piú genuina, o, per lo meno, piú corrispondente a quella antica. Inoltre ho tolto il maggior numero di maiuscole inutili; ho disteso molte forme verbali e mutato molte «e» in «ed»; ho stabilito una punteggiatura piú esatta e meno capricciosa; ho curato, per quanto ho potuto, l’ortografia delle parole e l’esattezza metrica dei versi, che spesso sciolgono i dittonghi ed escludono l’elisione, ed ho corretto tutti gli errori tipografici sfuggiti agli editori del 1725 e del 1839.
Dopo ciò che son venuto dicendo fin qui, ben pochi sono i versi del poema frezziano che in questa edizione abbiano conservato in tutto e per tutto l’aspetto che avevano nelle ultime. Esporrò ora alcune osservazioni ed avvertenze che riguardano versi e terzine speciali.
Libro I, cap. III, v. 8: Ho conservato la lezione della Folignate, sebbene nella Perugina se ne abbia un’altra: «che tu non l’abbia avuta al tuo desire»; v. 126: Ho tolto il secondo «con» della Folignate, perché non è necessario e del resto non si trova nella Perugina.—Cap. VI, v. 109: Noto che nella Perugina invece di «Alconia» si legge chiaramente «Meonia». Il Canneti, non registra questa variante ed io, per essermene accorto troppo tardi, non so se si trovi anche in qualche codice; ma si può ritenere per certo che almeno nel cod. Palat. 343, che serví a quella prima edizione, non manchi.—Cap. VIII, v. 47: Aggiungo un «e», che, se non è estremamente necessario, non sta male e del resto si trova nella Perugina.—Cap. XVIII, v. 22: Della doppia lezione «quarta-quinta» parla lungamente l’Artegiani nel suo commento del 1725 (cfr. Quadr., vol. II, pagg. 28-29). Il suo ragionamento molto persuasivo mi ha indotto a conservare la lezione «quarta» della Folignate, confermata anche dal cod. Conv. Soppr. c. I. 505 della Naz. Centr. di Firenze, sebbene io abbia letto «quinta» nel cod. Ashb. 372.
Libro II, cap. I, v. 101: È chiaro che qui si parla della leggendaria Arianna. La forma «Adriana», che io prendo dalla Folignate, si trova giá nella Perugina e forse anche nei codici osservati dal Canneti, che non aggiunge varianti. A me è toccato di leggere nei codici anche «Andriana» e «Dadriana». Del resto, il Petrarca scriveva «Adrianna» (cfr. Trionfo d’Amore), da cui forse viene la forma frezziana.—Cap. VI, vv. 16-21: Ho tolto la «e» al v. 19, sebbene si trovi anche nei testi da me consultati, ed ho punteggiato diversamente dal Canneti tutto il periodo, per renderlo meno oscuro e piú spedito.—Cap. X, v. 6: Ho cambiato il «nullo» in «nulla», sebbene i testi confermino quella lezione, perché essa non ha senso.—Cap. XI, v. 20: Il verbo «pon» sembra una corruzione di «son», che darebbe maggior chiarezza al concetto; ma io non l’ho mutato, perché esso può accordarsi con uno solo dei soggetti precedenti, e perché è scritto proprio «pon» nei testi da me veduti.—Cap. XV, v. 153: Non credo si debba leggere «Ser Vagnone», come legge il Canneti, perché bisognerebbe ammettere che quel gran delinquente fosse un signore rispettabile; meglio conservare la forma unita, quale si trova nelle prime edizioni, come se fosse tutto un nome.—Cap. XVI, v. 36: I codici da me visti e la stampa perugina hanno «gani» - «ganni» - «inganni» invece di «Giani» (cfr. su questa questione il mio cit. lavoro Un’accademia umbra ecc., I, 263). Del resto, il famoso traditore di Maganza è ricordato anche altrove dall’autore del Quadriregio (cfr. la pag. 315 di questa ristampa).—Cap. XVIII, v. 11: Sebbene i testi da me visti non abbiano l’articolo «’l» davanti a «sesto», ho creduto necessario aggiungerlo; vv. 115-118: Tutti i testi da me consultati, anche il Class. 124, hanno «Ai miseri» invece di «I miseri», che leggiamo nella Folignate; io ho creduto opportuno di riprender quella costruzione, perché, se non si accorda col verbo «n’han diletto», si collega meglio dell’altra con l’ultimo verso—Cap. XIX, v. 159: Sostituisco «mézze gelse» a «more gelse», perché cosí leggo in due codici e nell’ediz. perugina, e perché, significando in questo luogo «more molto mature», l’espressione è piú propria dell’altra.
Libro III, cap. III, v. 26: Conservo la lezione cannetiana «E ’l sesto prete grande», sebbene sembri piú logico dire «del sesto» ecc.; ma di cinque testi antichi nessuno mi autorizza a fare questo cambiamento; v. 83: Aggiungo una «d’» a principio, senza il consenso dei testi; v. 96: Invece della lezione «chi le è legge», i testi da me consultati hanno «chi lo reggie»-«chi li leggie»-«chi glitegge»: io ho sostituito la prima variante col combiamento del «lo» in «la» come piú logica.—Cap. IV, v. 71: In qualche testo antico manca «addietro», ed io lo tolgo, svolgendo il verbo, che nel testo perugino è «ritraea», e aggiungendo l’articolo «le»; v. 72: L’ultima parola, nel testo folignate, non rima coi versi precedenti; quindi correggo «se n’addette» in «se n’addetta», sebbene la Crusca non registri un verbo «addettarsi».—Cap. VI, v. 161: Correggo «rimettea» in «rimette» senza il consenso del testo perugino, perché questa forma verbale si collega meglio con quella che segue, e anche il verso ci guadagna.—Cap. VII, vv. 7-9: Per l’abbondanza dei «che» e dei «suo» in questa terzina, credo conveniente sostituire a due di queste forme, nel secondo verso, gli articoli relativi ai nomi.—Cap. X, v. 27: Io non credo che in questo verso si debba leggere «bionde danze», come si legge nella Folignate e in alcuni testi antichi: il verso dev’essere guasto: questa lezione non stará per «biondanze»?—Cap. XI, v. 72: Cinque codici da me consultati e la Perugina hanno «agazza»-«aggaza», invece di «aggrada», che si legge nella Folignate: io riprendo la prima forma, sebbene la Crusca non la registri; v. 110: la Folignate ha «fonno» (per «fondo»), le Veneziane del 1839 hanno «sonno», perché gli editori credettero che quello fosse un errore di stampa, mentre il Boccolini giustificava «fonno» nelle sue Dichiarazioni. I codici e la Perugina hanno sempre «sonno».—Cap. XII, v. 1: Conservo il «non», sebbene io non l’abbia trovato né nei codici consultati per la prima volta da me, né in quelli giá studiati dal Canneti, né nella Perugina. Noto che solo il cod. Angel. 1454, fra quanti ne ho esaminati, lo registra.—Cap. X, v. 89: È strano che il Canneti non abbia capito la necessitá di correggere «la man», che ha trovato in qualche testo ed anche nella Perugina, in «l’aman», che io ho letto chiaramente nel cod. Ashb. 372 e non mi son curato di cercare in altri codici: tanto mi pare esatta questa forma per il concetto. Ma piú strano ancora è che neanche gli editori del 1839 si sieno accorti dell’errore.—Cap. XIV, vv. 128-129: Ho chiuso questi versi in parentesi per la forma singolare degli aggettivi e dei verbi, che essi contengono e che non si accordano con quelli dei vv. 127 e 130. L’edizione perugina e il cod. Palat. 343 hanno nel v. 128 forme plurali, che sarebbero accettabili, se poi non seguisse il singolare «voli» nel v. 129.—
Libro IV, cap. I, v. 29: Contiene nelle stampe precedenti un «dolci», che si ripete nel verso seguente: per questo io ho tolto di mezzo questo aggettivo e messo in principio del verso un «e», che non mi pare sia fuori di luogo; v. 60: I testi da me confrontati dánno ragione alla lezione cannetiana «e letizia»; ma il senso diventa piú chiaro, mi pare, spostando la «e»; v. 65: Mi son permesso di allungare «opposto» in «opposito» per dare al verso una piú giusta misura.—Cap. IV, v. 39: Anche qui mi son permesso di aggiungere un articolo, che solo nel cod. Ashb. 372 ho trovato e che mi pare necessario; vv. 112-117: Il plurale verbale dell’ultimo verso, che si legge nei testi antichi forse per attrazione della parola «braccia» del penultimo, discorda col soggetto «pietá» del primo: per questo ho creduto di cambiare «sariano» in «fariale».—Cap. V, v. 13: Sebbene i testi antichi confermino la lezione cannetiana «a lei le», ho tolto il «le», che è un’inutile ripetizione.—Cap. VI, v. 139: Nella Folignate si legge «son le» con una prolessi di «a lei»: nella Perugina abbiamo ugualmente «songli»: io ho tolto il «le» e compiuto il verbo. Cap. VII, v. 144: La lezione folignate «quel testo», che pure si trova nei codici e nelle altre stampe, non si accorda col senso della frase: per questo l’ho ritenuta falsa correzione di «nel testo».—Cap. VIII, v. 27: Invece di «non lor dá» alcuni testi hanno «non lo dá», che è lezione meno chiara: io mi son permesso di invertire le parole della lezione folignate; v. 147: Al Canneti sfuggí la variante della Perugina «nell’arte di Gano», che trovo confermata da due codici e che mi sembra migliore della lezione, da lui accolta, «nell’arte d’ingano».—Cap. IX, v. 50: In tre codici e nella Perugina invece di «Farsaglia» si legge «Tesaglia»: la variante, che non fu registrata dal Canneti, si sarebbe potuta anche accettare, se la lezione folignate non fosse piú determinata; v. 64: La variante «tolosano», giá registrata dal Canneti, si trova anche in altri testi, che egli non vide, e nella Perugina, che non cita; vv. 101 e 110: In nessuno dei testi da me consultati mi è occorso di leggere le varianti errate del cod. Bol. 989 «Niccolò dalla Fava gentile» e «figliuolo» invece di «Mastro Gentile» e «Folegno», su cui si fonda principalmente la rivendicazione cannetiana del Quadriregio a F. Frezzi.—Cap. XII, v. 107: Della opportunitá del verbo «s’attosca» in questo luogo discussero giá il Boccolini (cfr. le sue Dichiarazioni, p. 231) e il Canneti (cfr. la sua Dissertazione, p. 75), che pensarono a una possibile corruzione della parola originaria; ma io non ho trovato alcuna variante che giustifichi quei dubbi; v. 140: Ho cambiato la preposizione «a» nel verbo «ha», che però non ho letto in alcun testo antico.—Cap. XIII, v. 61: Ho ridotto di mia iniziativa «appartien» a «pertien»; v. 77: Negli altri testi invece di «ingegnasi» si legge «si ingegna».—Cap. XIV, v. 132: Non avendo trovato varianti o correzioni al verso oscuro della Folignate «e la vittoria benché ’l mondo affliga», ho creduto di chiarirlo aggiungendo un «è» e separando le due parti di «benché».—Cap. XVI, v. 119: Mi è parso necessario aggiungere un «e», che nella Folignate e nei testi antichi da me consultati manca; v. 140: Il verbo «cresce» della Folignate non dá un senso chiaro; io gli ho sostituito «ci esce», che mi è stato molto opportunamente suggerito dal cod. Ashb. 372.—Cap. XVII, v. 140: Scegliendo la variante « ad ogni pace», che ho trovato in altri quattro codici, invece di «ad ogni parte», ho cambiato di mio l’«ad» in «di».—Cap. XVIII, v. 80: Il Canneti, stampando «il qual lí sopra appresso stava», non vide la lezione perugina «el qual appresso soprestava», che è confermata anche dal cod. Conv. Soppr. C. I. 505 di Firenze, e che io credo sia da preferirsi all’altra.—Cap. XIX, v. 38: Nella Folignate si legge «isgomentaro»; ma nella Perugina si ha «sgomentorono» e nel cod. fiorentino or ora indicato «e sgomentoro», dove par di vedere un resto di «se», che io ho creduto opportuno restituire.—Cap. XX, v. 150: La lezione folignate «degli atti miei lo ’nsegni e lo riveli» non è esatta; e, sebbene essa sia confermata da altri testi, ho ritenuto necessaria la correzione dei due «lo» in «lor».—Cap. XXII, v. 137: È evidente che qui «Zenit», che si legge nella Folignate, si deve compiere in «Zenitte», ed io l’ho fatto senza trovare il consenso dei testi antichi.
Codesto elenco dimostra anzitutto che, se l’editore del 1914 si è permesso di commettere sul testo del Quadriregio qualche coraggioso arbitrio, ciò avvenne soltanto per amore di esattezza e di chiarezza. Inoltre esso dimostra che nel poema restano ancora punti oscuri, che forse anche un esame piú largo dei testi antichi non riuscirebbe a chiarire. Cosí vi restano parecchi versi un po’ zoppicanti, che la collazione dei codici e delle stampe non è bastata a rabberciare: tali sono, per es., i vv. 90 del cap. IV, 19 e 91 del cap. V del libro I; 40 del cap. VIII e 35 del cap. X del libro III; 120 del cap. IV, 39 del cap. XII, 128 del cap. XV, 167 del cap. XVIII, 35 del cap. XXI del libro IV, ed altri. Non sarebbe stato difficile dar loro un’andatura migliore con spostamenti, soppressioni ed aggiunte di parole; ma io non ho voluto farlo e non l’ho fatto.
E basti per il testo poetico. Ora occorre che io dica qualcosa intorno al titolo del poema, alla distribuzione dei capitoli ed ai sommari che li precedono. Chi ha letto l’elenco dei codici e delle ristampe, con cui si apre la presente Nota, avrá visto una certa varietá di titoli assegnati dagli amanuensi e dagli editori all’opera frezziana. Io ignoro se la parola Quatriregio o Quadriregio sia stata proprio coniata dall’autore: i codici piú antichi di data certa ci presentano altre intitolazioni, e, tra quelli del 400 senza data, non sappiamo quale sia il piú vicino all’autografo perduto. Ma sta il fatto che, sebbene quel nuovo vocabolo non sia di buona lega (sarebbe stato meglio dire Quadriregno, come pensava anche il Canneti), esso si trova giá in testa all’Ashb. 1287 e alla prima edizione, e fu accolto anche dai dotti editori del 1725: sarebbe quindi fuori di luogo troncare ora una tradizione letteraria cosí radicata. Per questo io ho creduto conveniente conservare inalterato questo titolo, spogliandolo però del secondo, che ha nella Folignate e che mi sembra inutile.
Molto piú gravi si presentavano le altre questioni. Tutti i codici e le edizioni del Quadriregio, ad eccezione dell’Angel. 1454, assegnano a questo poema non meno di 74 capitoli. Ma, se quel ms. ne ha uno di meno rispetto agli altri, non è detto perciò che questi siano completi. A me, dopo tante letture dell’opera frezziana, sembra ognora piú strano il passaggio dal capitolo 52° al 53°, cioè dal discorso di Sardanapalo, con cui quello si chiude, alla descrizione del viaggio verso il paradiso terrestre, con cui questo si apre: passaggio che contrasta assolutamente, per mancanza di naturalezza, cogli altri precedenti da un regno ad un altro, e che è tanto piú brusco, in quanto nelle prime terzine del cap. 53° si richiamano cose e fatti, che non si trovano prima neppure accennati. Spinto quindi dal dubbio che tra quei due capitoli l’autore ne avesse scritto un altro, che le diverse edizioni non ci hanno tramandato, io ho cercato di rintracciarlo in qualche codice dei piú antichi; ma le mie ricerche sono state vane. Forse quel capitolo si sarebbe potuto trovare in qualcuna delle trascrizioni che sono definitivamente perdute.
Ora questi 74 capitoli, che nelle ristampe sono ugualmente distribuiti, nei codici hanno una ripartizione affatto diversa. Su quindici, che io ne ho potuti esaminare, otto (cioè il Bol. 989, l’Ashb. 565, il Class. 124, l’Ottobon. 2862, il Class. 231, il Magliab. II. II. 34, il Lucch. 1346 e il cod. Cora) assegnano 18 capp. al l. I, 19 al II, 17 al III e 20 al IV; altri sei (cioè il Fiorent. Conv. Sopp. C. I. 505, l’Ashb. 372, il Palat. 343, l’Ashb. 1287, l’Angel. 1454 e il Palat. 344) assegnano 18 capp. al l. I, 19 al II, 15 al III e 22 al IV; ed uno (cioè il Segn. XIX) assegna 18 capp. al l. I, 19 al II, 18 al III e 19 al IV. Mentre quindi codesti codici sono tutti d’accordo sul numero dei capitoli che costituiscono i primi due libri del poema, sono in gran disaccordo su quello degli altri due. E poiché la concorde distribuzione dei capitoli dei primi due libri risponde esattamente alla partizione voluta dal poeta, su di essa non occorre discutere; ma, per ciò che riguarda le ultime due parti, sorgeva necessariamente la questione: Quale delle tre maniere di distribuzione si doveva introdurre nella presente ristampa? Si doveva accettare senz’altro la distribuzione tradizionale delle dieci edizioni, che fa capo a quella del secondo gruppo di codici? Certo la tradizione è un argomento molto valido, ma in questo caso non è decisivo: quante tradizioni non sono basate su errori iniziali? Se quindi questo argomento non fosse suffragato da altri, la distribuzione giá consacrata nelle stampe avrebbe dovuto cedere il posto a quella del primo gruppo di codici, che è rappresentata da un maggior numero di manoscritti. Ma tanto questa quanto quella dell’unico cod. Segniano non si conciliano affatto con la partizione generale del poema, poiché i capp. 16, 17 e 18, che quegli amanuensi includono nel l. III, parlano del paradiso terrestre e del regno della Temperanza, che sono indubbiamente materia del l. IV. All’assurditá di quelle due maniere di distribuire i capitoli degli ultimi due libri del Quadriregio si oppone la razionale esattezza dell’altra, e soprattutto per questo ho seguito anche qui la tradizione.
Quanto ai sommari, è notevole il fatto che giá il Canneti aveva lasciato da parte quelli, sempre uguali, delle stampe precedenti e ne aveva introdotti di nuovi e piú brevi. Donde egli traesse questi sommari, cosí diversi dagli antichi, non ci ha detto in nessuno scritto. Ma è facile supporre che il Canneti, desideroso di pubblicare argomenti chiari e concisi ad un tempo, si servisse soprattutto di quelli che trovava nei due codd. Classensi e che rispondevano meglio degli altri al suo intento, e li adattasse qua e lá al gusto dei suoi tempi: cosí ho desunto da un confronto, che ho potuto fare tra i due codici e la stampa folignate. Forse codesti sommari non sempre soddisfano a tutte le esigenze, perché non sempre ci dicono tutto ciò che i vari capitoli del poema contengono; ma io non ho voluto sostituir loro altri tratti da qualche codice non esaminato dal Canneti, per la semplice ragione che non si sa se il Frezzi abbia lasciato coi versi anche le rubriche, e quale sia, tra le diverse forme che ne abbiamo, la piú antica. Riproducendo però gli argomenti cannetiani, ne ho ritoccato l’ortografia e l’interpunzione e ne ho eliminato le lettere maiuscole non necessarie.
La numerazione marginale dei versi e l’indice analitico dei nomi e delle cose notevoli, che ho aggiunto alla presente ristampa del poema frezziano, ne renderanno, spero, piú facile l’uso agli studiosi.