Il Novellino/Parte terza/Novella XXX
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innamorata con nova intermessa conseguì il suo desiderio
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NOVELLA XXX.
ARGOMENTO.
ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE GERONIMO DE SANSEVERINO, PRINCIPE DI BISIGNANO.1
ESORDIO.
Non meno per gratitudine dei ricevuti da te beneficii, Serenissimo Principe, che per cognoscerti non che vago ma desideroso avere di mie ruzze novelle alcuna notitia, a scriverti la presente e al numero de le altre aggregarla sono tirato e astretto. Vorrailo come al minimo dono con lieta mente, benignissimo Signore, e con bona grazia pigliare; a tale che con le altre insieme leggendola, per esservi il tuo dignissimo nome con eterna memoria celebrato, possi per tale recompensa il fabricatore di quella al numero dei tuoi piccoli servitori ascrivere e accompagnare. Vale.
NARRAZIONE.
Tra le notevoli palestre, e mirabili cacce, e suntuose feste in Napoli de continuo celebrate per lo gloriosissimo Re nostro signore Don Ferrando, un giorno tra gli altri avvenne che una donzelletta quasi unica in bellezza e di prime nobili tra sue partenopee, avendo per addietro più volte considerata la formosità e leggiadria e del volto e del corpo del mio serenissimo signore Principe di Salerno, e da molti molte volte sentito mirabilmente commendare sue singolari virtù, e allora forse più che mai piaciutole, in maniera di lui si innamorò che un solo ponto non possea né sapea se non sopra del piaciutole Signore pensare. E avendo col suo travagliato intelletto molte e diverse vie cercate come avesse possuto con gran onestà la vittoria di tale degna impresa ottenere, e tutte difficili trovandole, più volte le andò per lo capo seguire il consiglio di alcune altre donne, le quali non possendone a le battaglie d’amore resistere mandano a richieder li giovani da loro amati a l’amoroso duello; ma pur lei avendo alquanto del prudente estimò che grande stimamento saria di sé e di sua impresa,2 le occorse con uno strano e astuto modo lo indurre a cogliere li primi frutti del suo non coltivato giardino. E catato3 il tempo che il Signore in altra regione all'esercitio della caccia vacava, si fè un prete molto domestico di casa sua venire del quale ottimamente fidare se possea, e gli ordinò quello che a fare avea; il quale la matina seguente se n’andò al mirabile palagio che detto signore fa nella Reale Porta costruere4, dove trovato un fra Paulo cappellano5 ed intimo servitore del Signore, a lui di lui stesso con acconcia maniera dimandò; al quale egli rispose: Io sono esso; seguitò colui: Una gentile donna domani de bona ora nella cotale chiesa ve vorria parlare. Al quale il frate con piacevole viso disse di andarvi al suo comando; e al preso tempo lietamente v'andò. Ove trovata la gentile madonna che l’aspettava, lassata la compagnia, in una cappella col frate tiratasi, così gli cominciò a dire: Fra Paulo mio, essendo tu prudente e tanto privato del tuo Signore, mi pare che da debito di ragione mi sia permesso per conservatione del suo e mio onore, ed ancora per rassicuramento di me medesima, ogni mio secreto a te scoprire, non altrimente facesse al mio patre spirituale. E prima che più oltre vada io desidero sentire da te, e sì te scongiuro per l’amore e fede che tu porti al tuo Signore, che con verità me servi e dichi se certe lettere che dimostrare te intendo sono de mano de detto tuo Signore scritte. E ciò dico per cagione che da un certo tempo in qua un giovine che tenemo in casa per maestro de’ miei fratelli me ha portate molte e diverse lettere da parte del Signore Principe le più appassionate e condite d’amore che per ferventissimo amante a donna si scrivessero mai, e tutte se terminano che gli doni e tempo e maniera de compita udienza. II che non meno l’imbasciatore che l’imbasciate me àveno6 l’intelletto travagliato che non ne posso reposo alcuno pigliare, e me fanno de la vita mia non poco dubitare: il dubbio si è ch’io sospetto che detto maestro sia stato da alcuno dei miei maggiori fratelli contaminato7 volendo forse di me e di mia fermezza fare ultima prova; e ciò estimo che una volta con loro e l’altra brigata di casa ragionando del valore e virtù d’alcuni gran maestri, e chi di loro proponea uno, e chi un altro, de che io aiutata dalla verità e pur dall’amore che naturalmente senz’altra cagione gli porto, in sul ragionare riscaldandomi dissi che Lui era non solo l’onore de la Corte, ma il lume e specchio de la nostra Italia: alle quali parole uno de’ miei fratelli rivolto m’impose che tacessi, e da allora in qua mai con bono volto me ha guardata. Per la cui cagione sopra tale pensare mi confondo in maniera che sonno e cibo ne ho in gran parte perduto. Da l’altro canto talvolta dico, potrebbe mai egli essere che costui dicesse il vero, e che il Signore amandomi per averlo alcuna volta più che il dovere guardato, se avesse mosso a scrivermi con tanta passione. Lo che quando così fosse, ancora che meno pericoloso sia, pur me doleria in sino al cuore, attento che io vorrei che lui usasse da bon cavaliere, e che el suo amore si trovasse col mio conforme, il quale ho in maniera moderato che non passa i termini dell’onestà; perocché non mi sono tanto fuori di me lassata trascorrere che io non conosco l'onore doversi a ogni sensualità anteporre. E con queste e altre assai simili parole con grandissima arte ordinate gli mostrò le dette lettere con le quali si crese dare maggior fede a la sua ordita e ben composta favola. Fra Paulo, ancora che come a prudente e in simili battaglie più volte con vittoria esercitato avesse lo intrinseco volere de la donna inteso e cognosciuto, però de passo in passo de’ suoi ragionamenti era ammirato e confuso remasto come in tanto giovenile e femineo spirito tanto artato sapere e con tanta astutia fosse albergato; tuttavia essendosi più volte accorto che quando lei nominava il Signore di più colori si cambiava il viso, comprese non meno che grande e fiera essere la sua passione; per la cui cagione propose col suo medesimo vento se avere in tale abbonazzato mare da navigare, e così le rispose: Donna mia, avendomi per vostra umanità fatto degno di scoprirmi vostri secreti, vi potete rendere sicura che non meno per conservatione del vostro onore che di quello del mio Signore, questa cosa passarà tra me con tanta taciturnità quanta voi ed io stimiamo la ponderosità del fatto la ricerca maggiore. Li vostri dubbii sopra fortissime ragioni fabbricati sono da commendare, e da non doverli senza maturo pensiero trapassare; pure, come che per impossibile non se possa tenere che vostri fratelli a tale anteveduto fine tale fatto avessero tramato, io non me posso persuadere che loro essendo pur prudenti avessero voluto porre lo onore loro in mano d’uno scolare di strana natione, attento che molti altri modi e molto più cauti a doversi di ciò rassicurare aveano. Ma lassando di questo il vero e il falso a beneficio di natura, e a noi medesimi tornando, dico che tali lettere non furono mai dal mio Sigaore scritte, e quando ciò fosse io me ne maraviglierei per cagione che lui ha per usanza di mai ad alcuna donna di sua mano scrivere in tanto fosse di lei fieramente preso, persin che del suo amore non ha fatto esperienza; e tutte lettere e imbasciate nel principio di suo innamoramento son fatte e tramate per mezzo d’un suo privatissimo camerero; sì come del certo tengo questo essere de mano de quello, però che me pure cognoscere tale scolare, e visto l’ho più volte tener stretta pratica con detto camerero. Ed a questo credere non senza ragione me induco, però che più volte col mio Signore di belle donne ragionando, lui con alcun sospiretto, non con tutta la forza lassatosi uscire dal petto, ave proposta voi innanzi ad ogni altra; e ancora che le parole sue sieno rare, poche, e sentitose, pure più volte secretamente mi ha detto Voi sola sete da lui unicamente amata. Parmi adunque, ancora che il vostro provvedimento non abbia del mio consiglio bisogno, che voi me donate licenzia che io possa questa cosa con tutte vostre dubitationi insieme al mio Signore intimare: e ciò non per lettere né per ambasciata, ma io medesimo essere il messaggiero; però che lui domane o l'altro deve arrivare in Salerno, e io per servire e voi ed esso non mi sarà grieve l'andarvi, e cavatone quel vero costrutto che cavar se ne pote, subito me ne ritornerò; e trovata la cosa come non dubito trovare, allora potrei con voi medesima consigliandomi togliere quel partito e dare tale indirizzo che il vostro cognoscimento per lo migliore vi persuade. E acciò che possiate sapere presto la risposta e non tenere il fatto in tempo starete attenta, che qualora io passarò di casa vostra, e chiamerò il cotale giovine che vi sta dirimpetto, sappiate io essere ritornato, e la matina seguente ne ritroveremo in questo loco. La donna che tenea per fermo avere il frate uccellato, e parendole che il suo avviso averia intero effetto, fra sè medesima godea si forte che essere le parea del cielo coronata; e da poi la fatta conclusione del frate gli disse: Io ti supplico che come tu del mio dubitare mi hai in parte rassicurata, così del resto me facci certa, e di quanto de le parole del tuo unico e caro Signore potrai trahere me ne fa capace, a tale che il travagliato spirito si possa alquanto quietare. E partitisi de’ loro ragionamenti, ognuno lieto ma per diversi rispetti se ne ritornò a casa sua. Dove come volse la fortuna (molto più favorevole nei cominciamenti de le imprese de detto Signore, che nella fine conservarle illese) il frate trovò novelle che il Principe era in cammino per ritrovarsi il venente prossimo dì in Napoli. Al quale Fra Paulo fattosi incontro con gran piacere gli recontò la istoria de l’astutia e partito preso da la innamorata giovene. Il Signore non meno con maraviglia che con piacevolezza ascoltandolo, come che tale giovene rade volte avesse vista, nè meno di sue bellezze si ricordasse, pure parendogli per debito amare chi l’amava, rispose che tramasse in maniera che come prima si potesse lo essere insieme loro fosse concesso. Il frate lietissimo e pronto al servire, come prima fu ismontato rattissimo se n’andò innanzi la casa di colei, e dato il preso segno, dalla quale con mirabile piacere inteso, la seguente matina all’ordinato loco se ne venne, ove trovato il frate, le disse: Il mio Signore caro se te recomanda, il quale al tuo piacere pur iersera arrivò in Napoli: al quale recontato per lungo quanti e quali furono nostri ragionamenti, non ho possuto da lui altra risposta trahere se non che ve prega e scongiura per lo intero amore che tanto tempo te ha portato e porta, e per quello che meritamente a lui portare devite, vi piazza questa sera donarli modo de compita udienza, a tale che senza fidarse de uomo che viva vi possa lui medesimo scoprire quello che con forte serraglio ha tenuto e tene nel suo passionato core.8 La giovene che con tanta gloria le parole ascoltava che non le pareva capere tra la pelle, mille anni ogni ora parendole de venire a l’ultima conclusione di amore, dopo alcuno debile negare rispose contentarsi, e a non partire preso tra loro discreto ordine, dove, e come, e in quale ora aveano da retrovarse all’amorosa battaglia.. ..9 al suo unico e carissimo signore che la risposta aspettava si ritornò prestamente. Al quale ogni cosa a lungo riferito, quando ora loro parve, il signore con sue brigate al prepostato loco se condusse: dove trovata la vaga damigella di soavi odori ripiena, con le braccia aperte e con gran festa il ricevette, e dapoi infiniti baci dati e ricevuti al signore, montati in barca, racconciato il timone e fatta vela, ancora che nell'arte marinaresca non fosse molto esperta, pur quanto dal tempo loro fu concesso per lo mare d’amore navigaro; e al debito termine al porto con piacere condotti, la donna al Signore con le braccia teneramente avvinghiatogli il collo, disse: Dolcissimo Signore mio, se io sola, col mio provvedimento insieme, sono stata cagione di qui per questa volta condurti, a me medesima rendere ne debbo gratie; di quanto per lo innanzi farete con effetto dimostrazione di amarmi, e a Voi e ad amore ne resterò obbligata; e però altro non me resta a dire se non che de continuo me te recomando. Lo illustrissimo signore Principe con dolci e affettuose parole confortatala, con piacere e festa si divisero. Come e quale tale amore si continuasse, chi il vole sapere ne faccia processo.
MASUCCIO.
Retrovandomi uno di questi dì tra una brigata di donne, tra le quali ve ne erano alcune che studiavano nel Maestro delle Sentenze, con le quali ragionando de lor imperfettissime scelleragini, innate malizie, astutie, e cattivitati, quante nelle passate mie novelle se conteneno, tutte come cagne arrabbiate me se voltaro incontro rimproverando lo mio scrivere, dicendo che anco gli uomini, che se tengono e deveno essere de maggiore perfectione e fermezza che le donne, se lassano di continuo da la sensualità vincere e trabocchevolmente cascare, e sopra ciò venendo con meco a tante inoneste e strette particolarità, che non che a modeste donne, ma a lascivi uomini sarebbero state d’avanzo. Di che Masuccio, che non avea lassata la lingua in pegno al Giudeo, dopo che con un fiume di proprii e convenienti adiettivi quasi in rima posti, loro ebbe dichiarata la scrittura, disse, che quando gli uomini cascassero in più detestande scelleragini (che saria quasi impossibile) che le femmine, offenderiano solo le leggi e l’onore loro medesimo, e non se ne veneria a infettare e contaminare la massa di più parentati, privandoli non solo dell’onore presente, ma in ciò facendo negra e oscura la fama di quelli con perpetuo nome e eterna memoria di tutti li discendenti, si come noi vedemo de continuo avvenire quando una ribalda femmina vuole satisfare a sua sfrenata e temeraria volontà. E che ciò sia vero le leggi me ne rendono aperto testimonio, le quali permettono a colui che trova la moglie o la figliuola adulterare la possa senza pena alcuna uccidere; lo quale privilegio vedemo non essere a le femmine concesso quando a sì fatti casi se abbattessero. Il che loro senza posserne a le mie vere ragioni opponere, assai peggio che bestie, come da vero sono, rimasero. Nondimeno come che de’ fatti loro nella passata Terza Parte non ne abbia a bastanza nè quanto vorrei parlato, pur volendo alla Quarta pervenire, da loro cupo pelago del tutto il navigare lassando, di altri e pietosi e anco piacevoli ragionamenti col volere del mio redentore Cristo Iesù sarà il mio novellare.
- ↑ Questi era gran Camerlingo, e fu principale nella Congiura de’ Baroni. V. Porzio lib. I. cap. XV. Ebbe in moglie Mandella Gaetani (Raimondella) che si salvò coi figliuoli: egli fu ucciso con gli altri baroni nel 1487 nelle prigioni di Castel nuovo, e la catena d’oro che egli portava al collo fu riconosciuta al collo del carnefice che se la prese e se ne adornò.
- ↑ Non s’intende, e forse manca qualcosa. Io correggerei così; lei avendo alquanto del prudente, e stimando che non grande stimamento ec.
- ↑ catato, che si dice ancora capato, da captatus, scelto, colto.
- ↑ Di questo mirabile palagio esiste la facciata, ridotta a facciata di chiesa, che è il Gesù Nuovo. Una donna dei Sanseverino verso la fine del Cinquecento lo diede ai Gesuiti.
- ↑ Fosse quel Paolo Ferrillo, frate agostiniano, che era l’occhio del Principe di Bisignano, e fu involto nella Congiura, e incarcerato, e le sue deposizioni si leggono nel Processo?
- ↑ invece di hanno, ed è forma più vicina al latino habent.
- ↑ contaminato per indettato.
- ↑ Questo dare ora del Voi ed ora del tu è naturale e popolare.
- ↑ Manca qualche cosa, certamente la parola il frate.