Il Novellino/Parte terza/Novella XXIX

Novella XXIX - La Viola promette a tre soi amanti: l'uno priva l'altro, e per diversi accidenti l'ultimo resta possessore de la fatta preda

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Novella XXIX - La Viola promette a tre soi amanti: l'uno priva l'altro, e per diversi accidenti l'ultimo resta possessore de la fatta preda
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NOVELLA XXIX.




ARGOMENTO.


La Viola promette a tre suoi amanti in una medesima notte satisfare: va il primo, e dal secondo gli è la preda interdetta: il terzo anda, e dal secondo beffezzato e proibito l’entrare: lui s’accorge dell’inganno e vede la forza, opera l’ingegno, e dell’uno e dell’altro se vendica, e con gran danno del primo e del secondo resta di tale preda ultimo possessore.


AL MAGNIFICO MESSERE JACOMO AZZAIUOLO NOBILISSIMO FIORENTINO.1


ESORDIO.


Improprio e non conveniente saria il mio operare, magnifico e di virtù ornato misser Jacomo, cognoscendote di benigna e gioconda complessione da la natura dotato, se scrivendoti la presente novella, di materia fleumatica malinconica e mesta fosse nè poco nè molto tramata overo ordita. Ricevila dunque con piacere te supplico, chè del certo dal principio insino al fine tutta de jocose piacevolezze la troverai edificata, e in manera che a te e agli ascoltanti di soperchio e continuo riso saranno cagione. [p. 314 modifica]

NARRAZIONE.


II prossimo passato Jennaro fe' un anno che in Napoli fu un bon omo lignaiuolo, il mestiero del quale a niuna altra cosa si estendea che in fare zoccoli, il quale tenea casa a fitto di2 costa a la Sellaria a un larghetto posto dietro la Zecca vecchia, e avendo3 una vaga e bellissima moglie, la quale ancora che come a giovane non fosse punto schifa nè sdegnosa dei vagheggiamenti dei suoi quasi infiniti amatori, pure tra la molta brigata tre ne erano da costei, che Viola aveva nome, più che altri amati e favoriti: l’uno era fabro suo vicino, l'altro un mercante genoese, e il terzo un frate, del nome e abito del quale come che non me ne ricordo pure so che era un esperto e famoso corsalo: a li quali tutti tre senza l’uno de l’altro avea promesso come il marito pernottava fuori di casa satisfarli di loro desiderio. Ove accadde che non passaro molti dì che il marito andò a Ponte a Selece per condurre un somaro carico di zoccoli smarrati, per poscia polirli in Napoli come era già solito fare, per lo cui bisogno dovendovi insino al seguente dì dimorare, fu da tutti tre gli aspettanti tale partire e pernottare saputo. E come che ciascuno di loro da per sé si ponesse in ordine, pure el primo che si representò alle battaglie a l’uscio de la nostra Viola, e forse per essere più fervente amante, fu il genoese, e caramente la [p. 315 modifica]pregò che la notte lo aspettasse a cena e ad albergo, facendole le più larghe promesse come in simili contratti fare si sogliono, de modo che Viola per non tenerlo in tempo gli disse contentarsi ma che venisse tanto di notte che non fosse dalle brigate della contrada veduto. Il genoese lietissimo rispose, Sia col nome de Dio: e da lei partito se n’andò spacciatamente a la Loggia4 o tal volta al Pendino, e comparò due avantaggiati caponi grossi bianchi e lunghi, e con pane fresco, e de più maniere d’ottimi vini, occultamente li mandò in casa de la giovene. Il frate celebrati li divini ufficii, desideroso che la fatta promessa gli fosse osservata, postasi la via tra’ piedi, traversando di molte strate, come famelico lupo s’abattesse in alcuna smarrita pecora da la greggia, pervenne ove era la Viola, e chiamatala le disse che lui intendea per ogni modo venire a stare la notte con lei. Viola che per cosa alcuna il Genoese averia ingannato: e per conoscere il frate temerario e fastidioso molto, non gli averia di contentarlo possuto negare, così confusa non sapea che deliberare; pur come a prudente di subito le occorse con acconcia maniera a tutto provvedere, e al frate con piacevolezza rispose, essere al suo volere presta, ma che non venesse prima de le cinque ore, per cagione che un piccolo suo cognato venea a stare con lei, il quale insino a tale ora non saria addormito; e satisfatto che avesse il suo desiderio se n’andasse subito con Dio. Il frate vedendo che pur era ricevuto, non curando del resto, disse di farlo, e andò via. Il fabro che in Doana era stato insino al tardo occupato al traere de certo ferro, [p. 316 modifica]retornandosene verso casa trovò Viola a la fenestra, e le disse: Pur questa notte che tuo marito non vi è mi potrai ricevere in grazia, e ben per te se il fai altrimenti tieni per fermo ogni tuo disegno da me ti sarà turbato. Viola che molto lo amava, e non poco lo temeva, pensando pur che tempo le avanzava de la lunga notte di tutti e tre li avventori poter liberare, come a li due aveva trovata maniera, cosi propose al terzo, ancora che ultimo fosse, dare recapito, e gli disse: Mauro mio, tu sai come ne sono io male tollerata in questa contrada, e quanto tutte con giusta cagione cercheriano di cacciarmene; e sono di quelle che me fanno la guardia sino a mezza notte, e imperò a tale che loro insidie non me abbiano a offendere, dimora a venire per sino all'alba, a quell’ora che solito se’ levarti, e faraimi segno, che io te aprirò. e staremo un pezzo insieme per questa prima volta, che col tempo provvederemo per migliore cammino. Il fabro canoscendo che lei con colorate ragioni si movea, e che lui pur averia sua intentione, senza altro replicare restò a tale ordine contento. Lo Genoese come notte fu occultamente se n’entrò in casa di Viola, il quale ancora che da lei fosse lietamente raccolto, e più volte baciatisi, nondimeno da la sua infreddata natura non gli essendo concesso senza caldo di letto o di altri argomenti li concupiscibili appetiti svegliare, si pose a cavallo e cominciò a fare sua salatuccia fin che i caponi si penavano5 ad arrostire per mal foco o che altro ne fosse stata cagione, ancora che la giovene tutta si andasse struggendo, dubitando non le [p. 317 modifica]sopravvenesse la seconda vivanda avanti che avesse la prima assaggiata: pure erano già sonate tre ore, e la loro cena non era incominciata. E in questi termini sentero piccare l'uscio: il genoese molto impaurito disse: Ei mi pare che l’uscio nostro sia tocco. La giovene rispose: Tu di’ vero, e certo io dubito che sia mio fratello; ma non temere che io provvedere che non te vederà: e però esci per questa fenestra, e poniti a sedere a questo arvarello de erbicciole6 che è qui, che io vederò chi è, e quello che vole dire, e ne lo manderò presto. Il genoese più timido che caldo d’amore, come che una minuta pioggia facesse da freddissimo vento menata che molti per neve l’avrebbeno giudicata, pure fe’ quanto per Viola gli fu ordinato; la quale serratogli dietro, e, per estimare chi era colui che aveva picchiato7, occultata la cena, se ne venne all’uscio; e certificata che era l’importuno frate, alquanto turbata gli disse: Tu sei molto presto venuto, e non hai servato l’ordine te donai: trista me che per non aspettare un poco de tempo vorrai che io sia morta. E con queste ed altre simili parole pur gli aperse; il quale entrato, senza cerimonie di baci come il genoese fatto avea, rattissimamente a non serrar l’uscio le [p. 318 modifica]donò per una volta plenaria remissione, non per autorità che il generale gli avesse donata ma da sua poderosa natura concessagli: e credendo Viola che quello gli bastasse a farnelo contento ritornare, il vide che montava in casa: di che lei serrato l’uscio seguendolo per le scale, gli dicea: Vattene per l’amore di Dio, che mio cognato non è anco addormito, e del certo ti sentirà. Il frate non curando del suo dire, salito su, e trovato ancora il foco calente, scalfatosi8 un poco, appicciata un’altra volta la Viola cominciò a sonare un novo ballo, con più piacevole melodia che quella che il poveretto Genoese col battere dei denti pel soverchio freddo facea; il quale per le fessure della finestra ogni cosa vedendo, quanto da tale dolore, dal timore d’essere sentito e dal gran freddo che senteva fosse afflitto, ciascuno a sé pensando ne potrà fare giudicio. E più volte del saltare lui avria il partito preso, se non che la oscurità era sì grande che non gli facea l’altezza scorgere, e anco che pur dimorava in speranza che il frate per essere più del dovere satisfatto, e da la giovane de continuo al partirsi sollicitato, se n’andasse. Ma il frate dal piacere della bella giovene riscaldato, senza togliersi la Viola di braccia avendo di più e diversi tratti de’ moderni balli non che a lei ma al Genoese che con poco piacere li mirava insegnati, avea deliberato di mai partirsi di là fin che dalla chiarezza del giorno non ne fosse cacciato. E cosi stando insino alle dieci ore, sentì il fabro che col preso segno inquietava l’uscio di Viola: el che lui alla giovene rivolto disse: chi tocca il tuo uscio? Lei rispose: Egli è il continuo stimolo di [p. 319 modifica]questo fabro mio vicino, il quale né con bona né con rea risposta me l’ho possuto togliere dinanzi. 11 frate che facetissimo era subito gli occorse fare una nova piacevolezza, e rattissimo se ne venne giù a l’uscio, e con sommessa voce, come Viola fosse, disse: Chi se' tu? Lui rispose: Sono io, non mi conosci tu? aprimi, ti prego, che tutto mi bagno. Esso disse: Dolente me, che io non posso per questo uscio che aprendolo fa tanto rumore che ne seguiria scandalo. Lui non avendo dove fuggir l’acqua sollicitava che gli aprisse, che tutto si struggea per amore suo. Il frate che con gran piacere lo tenea in tempo per farlo ben bagnare gli disse: Anima mia, baciami un tratto per questa fessura che è ben larga, per sino a che vedere di piano aprire questa maledetta porta. Il fabro sel crese, e molto lieto a baciare s’acconciò: il frate che fra quello mezzo s’avea cavate le brache gli porse la bocca per la quale si rigetta il soverchio de la sentina: il fabro credendosi appicciare i dolci labbri di Viola, de continente cognobbe e per tatto e per odore ciò che di vero già era, ed estimò quello essere altro cacciatore il quale più sollecito di lui gli aveva tolto il piacere e dipoi in tale maniera il beffeggiasse. Di che subito propose tale ricevuto scorno non passare irremunerato: e facendo vista di mordere e leccare, gli disse: Viola mia, fra questo mezzo che tu vederai di aprirme io anderò per un mantello, che non posso più durare l’acqua. Il frate rispose: Va col nome di Dio e torna presto, ridendo con la giovene in maniera che non si posseano in piedi tenere. Il fabro entrato in bottega fé’ spacciatamente una verga di ferro a modo di spido9 e ben focante lasciò stare, e disse al [p. 320 modifica]garzone: Sta attento, e quando io sputo e tu leggiero te ne vieni a me con questa verga. E ciò detto si ritornò a tenere in trame dell’entrare, e da una parola a un’altra il fabro disse, Baciatemi un’altra volta. Il frate che era più presto a tale volgimento che una scimia, subito gli porge la solita voragine: Mauro dato il segno, al suo garzone, prestissimo gli presentò il focante ferro, il quale recatosi in mano, e preso tempo, gli donò una stoccata presso vallescura che ve lo pose quasi un palmo dentro. Il frate sentendo la fiera percossa fu costretto a buttare un grido che toccò il cielo, e mugliando di continue come un toro ferito10. Tutti i vicini destatisi con lumi in mano si faceano per le finestre, e ognuno dimandava di tale novità la cagione. Il dolente genoese che era in maniera assiderato che poco più gli bisognava stare che convertito in giazzo11 ivi si averiano i suoi giorni terminati, udendo tale rumore, e vedendo tanti lumi per la contrada, e già appressare l’alba, per non essere quivi trovato a modo di ladro posto in vergogna, preso per ultimo partito di buttarsi giù; e pigliato core, e raccomandandosi a Dio così fece. E gli fu la fortuna cosi favorevole che al percotere in terra trovò una pietra sopra la quale dato il piede e voltatosi in maniera che si fraccò una gamba in più pezzi; il quale dal fiero dolore oppresso non meno che il frate fu costretto al gridare fortissimo i suoi oimai. Il fabro correndo al rumore, e trovato e cognosciuto il Genoese, e vista la cagione del suo gridare, alquanto pietoso divenuto, con aiuto del suo garzone con [p. 321 modifica]difficoltà non piccola il menorono in bottega, e saputo da lui tutto il fatto come era andato, e chi era il frate, si cavò fuori e pose silenzio al molto abbaiare dei vicini, dicendo che erano stati due suoi garzoni che si avevano feriti. Ed essendo ognuno quieto, come il frate volse, la Viola chiamò piano il fabro, il quale in casa intratogli e trovato il frate mezzo morto, dopo molti e diversi debatti, col suo fante sel posero in spalla e insino al suo convento nel condussero; e ritornato ne fece il Genoese sopra un somaro portare a la sua stanza. E lui in casa di Viola rientrato essendo omai dì, mangiatisi insieme i caponi, e oltre a ciò satisfatto intieramente al suo desiderio, lietissimo se ne tornò a battere il martello. E così il maestro come ad ultimo corretore fe' restare i compagni con beffe e danno e con dolore.


MASUCCIO.


Di non piccola prudenza potrà essere la nostra Viola e meritamente commendata per avere a tutti tre gli amanti in una medesima notte con acconcia maniera recapito donato; e come che li due con lor grandi interessi12 se ne ritornassero a casa accompagnati donde soli se n’erano partiti, pur lei con la plenaria remissione più volte datale dal venerabile patre restò a insegnare al fabro la nova maniera dei balli, che il Genoese con poco piacere mirandoli avea già imparati. Ma lassando Viola col maestro dell’apparecchiato desinare godere, e in altri più cupi pelaghi navigando, mostraremo appresso [p. 322 modifica]un’altra grandissima astutia e nova pratica per una gentile damigella usata; alla quale essendo da sua difettiva natura la pudicitia e castità vietata, per non stare a beneficio di fortuna e perdere in parte il tempo di sua più fiorita gioventù, lei medesima volse essere la messaggiera a dare con celerità al suo desiderio intero effetto.

  1. Di Giacomo Acciaiolo si parla in una lettera del Re Ferdinando scritta nel 1467 al Protouotario Rocca. V. Codice Aragonese. CI. Gli Acciaiuoli vennero e si stabilirono nel Regno al tempo del Re Roberto d’Angiò. Primo di questa famiglia fu Nicolò Acciaiuoli, uomo di gran valore.
  2. Dice discosto; ma discosto da, non discosto a. E poi discosto non determina, come qui si vuole determinare: però correggo di costa.
  3. Leggi aveva, e la sentenza va bene.
  4. La Loggia di Genova: c'è ancora il luogo ed il nome.
  5. Dice si pelavano, ma erano già pelati, grassi, e bianchi comperati alla Loggia.
  6. Arvaro dice il popolo meglio che alvaro. È un piccolo erbario fatto di fabbrica, entro cui si tiene qualche pianta, o alcune erbicciuole. Si vede nei cortili e su per le logge. Invece di teste il popolo usava l'arvaro, che spesso era pensile innanzi alla finestra, e la feminuccia vi tenea ruta, menta, basilico, petrosino. Innanzi dunque la finestra della Viola era un arvaro; e io ne ho veduto simili in alcuni paeselli, ed erano sopra tavole, e da uno pendeva una bella ciocca di garofani.
  7. Innanzi dice piccato, toccato leggermente; qui dice picchiato senza determinazione.
  8. scaldatosi
  9. spiedo
  10. dice fiero.
  11. ghiaccio.
  12. Qui interesse sta per danno che si riceve come frutto da qualche cosa.