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nesse la seconda vivanda avanti che avesse la prima assaggiata: pure erano già sonate tre ore, e la loro cena non era incominciata. E in questi termini sentero piccare l'uscio: il genoese molto impaurito disse: Ei mi pare che l’uscio nostro sia tocco. La giovene rispose: Tu di’ vero, e certo io dubito che sia mio fratello; ma non temere che io provvedere che non te vederà: e però esci per questa fenestra, e poniti a sedere a questo arvarello de erbicciole1 che è qui, che io vederò chi è, e quello che vole dire, e ne lo manderò presto. Il genoese più timido che caldo d’amore, come che una minuta pioggia facesse da freddissimo vento menata che molti per neve l’avrebbeno giudicata, pure fe’ quanto per Viola gli fu ordinato; la quale serratogli dietro, e, per estimare chi era colui che aveva picchiato2, occultata la cena, se ne venne all’uscio; e certificata che era l’importuno frate, alquanto turbata gli disse: Tu sei molto presto venuto, e non hai servato l’ordine te donai: trista me che per non aspettare un poco de tempo vorrai che io sia morta. E con queste ed altre simili parole pur gli aperse; il quale entrato, senza cerimonie di baci come il genoese fatto avea, rattissimamente a non serrar l’uscio le do-

  1. Arvaro dice il popolo meglio che alvaro. È un piccolo erbario fatto di fabbrica, entro cui si tiene qualche pianta, o alcune erbicciuole. Si vede nei cortili e su per le logge. Invece di teste il popolo usava l'arvaro, che spesso era pensile innanzi alla finestra, e la feminuccia vi tenea ruta, menta, basilico, petrosino. Innanzi dunque la finestra della Viola era un arvaro; e io ne ho veduto simili in alcuni paeselli, ed erano sopra tavole, e da uno pendeva una bella ciocca di garofani.
  2. Innanzi dice piccato, toccato leggermente; qui dice picchiato senza determinazione.