nò per una volta plenaria remissione, non per autorità che il generale gli avesse donata ma da sua poderosa natura concessagli: e credendo Viola che quello gli bastasse a farnelo contento ritornare, il vide che montava in casa: di che lei serrato l’uscio seguendolo per le scale, gli dicea: Vattene per l’amore di Dio, che mio cognato non è anco addormito, e del certo ti sentirà. Il frate non curando del suo dire, salito su, e trovato ancora il foco calente, scalfatosi1 un poco, appicciata un’altra volta la Viola cominciò a sonare un novo ballo, con più piacevole melodia che quella che il poveretto Genoese col battere dei denti pel soverchio freddo facea; il quale per le fessure della finestra ogni cosa vedendo, quanto da tale dolore, dal timore d’essere sentito e dal gran freddo che senteva fosse afflitto, ciascuno a sé pensando ne potrà fare giudicio. E più volte del saltare lui avria il partito preso, se non che la oscurità era sì grande che non gli facea l’altezza scorgere, e anco che pur dimorava in speranza che il frate per essere più del dovere satisfatto, e da la giovane de continuo al partirsi sollicitato, se n’andasse. Ma il frate dal piacere della bella giovene riscaldato, senza togliersi la Viola di braccia avendo di più e diversi tratti de’ moderni balli non che a lei ma al Genoese che con poco piacere li mirava insegnati, avea deliberato di mai partirsi di là fin che dalla chiarezza del giorno non ne fosse cacciato. E cosi stando insino alle dieci ore, sentì il fabro che col preso segno inquietava l’uscio di Viola: el che lui alla giovene rivolto disse: chi tocca il tuo uscio? Lei rispose: Egli è il continuo stimolo di que-
- ↑ scaldatosi