Il Novellino/Parte terza/Novella XXVIII
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NOVELLA XXVIII.
ARGOMENTO.
ALLO ILLUSTRISSIMO DON FRANCESCO D’ARAGONA.1
ESORDIO.
Ancora che tu, illustrissimo Signor mio, da la adolescentia a la fiorita età non se’ ancora pervenuto, cognoscendo il tuo grande ingegno essere bastevole non che a intendere le rude e mie materne lettere, ma de le altrui ornate ed elegantissime dare ottimo e perfettissimo giudicio, non ho voluto restare di la seguente novella mandando te dare notizia di alcuna scelleranza de l’imperfettissimo genere femineo, a tale che con la tua presente prudentia al tempo debito ti possi e sappi di loro insidie e tradimenti guardare2. Vale.
NARRAZIONE.
In Marsiglia città nobilissima, non dopo molto l’incendio datole per la felice recordatione del divo Principe Re Alfonso d’Aragona3, fu uno strenuo cavaliero, ricco e di virtù chiaro, giovine, e bello a maraviglia, nominato Misser Pietro d’Orliens. Il quale essendo fieramente innamorato d’una bellissima giovane chiamata Ambrosia, figliuola d’un gran barone suo compatriota, ed essendo per mezzo di comuni amici tale amore in matrimonio convertito; de che il cavaliere condotta madonna Ambrosia in casa con gran cerimonie e suntuosa festa, e onorevolmente vestitala, parendogli assai più che l’usato bella, e i suoi costumi e gesti oltre modo piacendogli, in mille doppii si moltiplicò il suo amore verso di lei, in tanto che qual ora non era con la sua Ambrosia ogni contentezza e piacere in somma tristizia si convertia. E ancora che di molte ricche e care gioie e d’altri ornamenti fosse stata più che il dovere fornita, e di molte brigate di servitori e maschi e femine accompagnata, nondimeno di quello che a le donne unicamente piace, e che per onestà il taceno, lui fuori di modo ne la facea stare contenta. E in tale giocondissima vita la donna dimorando, senza avere mancamento de cosa alcuna per minima grande che fosse, avvenne che tra le altre brigate de casa, che il cavaliere per suo gran piacere tenea, si era un nano di tanta orribilità e trasformata apparenza che a niuna umana forma se avrebbe possuto assomigliare, del quale madonna Ambrosia ne pigliava di continuo mirabile diletto, e a le volte con le brigate di casa il faceano volteggiare e fare de molti e diversi atti, come i nani sogliono fare, e in maniera che tutti ponea in gioco e festa. In tale travagliare la donna si venne accorgendo che la mostruosa bestia di mirabile coda era fornita: de che la nostra Ambrosia ancora che avesse sì degno e bello marito e che più che sè medesimo l’amava, e con tante altre notevoli parti quante di sopra ho dette, e trattassela sì eccellentemente, pure lei avendo solo consideratione che possono assai più due che uno a satisfare anzi ad infastidire la sua insatiabile libidine, le venne un desio si sfrenato e fiero di voler provare se il nano le avesse saputo fare il salto schiavonesco sopra il suo morbido corpo come in sul duro terreno faceva, che tutta se ne struggea. E perchè rade volte da tale prava generatione sono sì fatte cose pensate, che come prima possono non le mandano ad effetto, la vile ribalda non lassò passare molte ore che volse di tale nefando pasto la sua golosa voragine satisfare; e come che alle volte la fiera bestia molto la noiasse, pure da sfrenata rabbia assalita, di ritrovarsi ogni dì più fresca col nano a la cominciata battaglia erano tutti i suoi pensieri. Continuando dunque costei in tale detestanda libidine, accadde che di ciò si venne accorgendo una mora nera antiqua, la quale un lunghissimo tempo col patre del cavaliero e poscia con lui era con grande amore dimorata, a la quale ogni mancamento di onore e contentezza che il suo missere avesse ricevuto più che perdere la propria vita avrebbe noiato. Si deliberò, se vero fosse, prima morire che comportarlo; pure come a vecchia e pratica propose volersene prima del tutto certificare, e dopo al suo patrone il palesare. E un dì che il cavaliero era andato fuori la città per suo diporto a caccia di sparvieri, e lei estimando che la donna con tale destro averia continuato a buon giuoco, le si occultò sotto al suo proprio letto, ove attenta stando conoscette che la donna con arte dava onesto commiato a le brigate de la casa, e la vide sola col nano entrarsene in camera, e serrata la porta, li sentì forse per non perdere tempo senz’altro contrasto salire sopra il letto e cominciare il loro solito lavoro. La vecchia mora uscita d’agguato, e vedendoli a la scapestrata fare un novo ballo di personaggio, e talvolta la donna cavalcare sopra il rospo alla giannetta, fu di tanto insopportabile dolore afflitta e da fiera ira accesa, che senza altra consideratione vedendo ad un lato de la camera una lancia che il cavaliero per li porci salvaggi adoperava con pesante ferro aguzza e tagliente, e quella presa e montata sopra il letto senza essere da coloro sentita, buttata con gran furia la lancia tra li reni de la donna e sopra quella premendose, non solo lei, ma anco il Nano trapassò insino a li panni del letto: i quali senza possersi da la lancia sviluppare l’uno sopra l’altro abbracciati in breve spazio se morerono. La mora dopo il fatto alquanto raffreddata le parve avere fatto meno che bene a procedere a la vendetta la quale a lei non si aspettava, pure serrata la camera senza moverli come giacevano, manda spacciatamente un fante al cavaliero, che se volesse vedere la moglie viva subito venesse, attento che per un certo sopravenutole dolore sopra core stava per morirse. Il fante trovato il cavaliero, e fatta l’ambasciata, e da lui con rincrescimento non piccolo ascoltata, lasciato ogni altro affare de continente entrò in cammino; e gionto a casa, l’amorevole e fedele serva fattaglisi incontro senza altrimenti fargli motto in camera il condusse, e gli mostrò la orrenda operatione de la sua sopra ogni altra cosa amata moglie, e con grandissimo dolore da passo in passo gli ricontò come il fatto era già processo, e come lei da soperchia tenerezza del suo onore mossasi era lassata trascorrere a commettere il doppio omicidio. 11 cavaliero vedendo il fatto che de le parole della cara serva gli rendeva evidente testimonio, quanto e quale fosse il suo interno dolore travaglio e tristizia di mente, pensando a un tempo avere perduto con l’onore e l’eterna contentezza insieme una sì bella e da lui tanto amata moglie, non bastando a ciò la mia penna, ciascuno che non è fuora d’intelletto ne potrà fare giudicio, lui che a ogni ora li parea che l’affannato core in più parti gli se volesse spezzare. Doppo che con lacrime e rammarichi ebbe alquanto al dolore satisfatto, in sé tornando, e cognoscendo che in ciò rimedio non avea loco, pensò come a prudente almeno al suo onore reparare; e subito mandato per lo padre e fratelli de la donna, e fattili in camera entrare, e fattali de’ due sì degni amanti la punitione col peccato insieme cognoscere, affermò lui, da dolore e fiero sdegno vinto, essere stato l’omicida e punitore di tanto orrendo e quasi inumano eccesso. I quali dopo avuto, e con ragione, dolore vedendo come il fatto manifestamente parea, non seppero se non con somma lode il cavalier commendare; il quale per dimostrare una severa e rigida vendetta e castigamento, de continente fè i due corpi morti pigliare così infilzati de la lancia come erano, e sopra un somaro posti a un eminente loco fori la città per pasto de uccelli e altre rapaci fiere gli fè buttare, i quali insino alle nude ossa furono divorati.
MASUCCIO.
Non si potrà con tanta lode la vecchia mora commendare per avere il ruinato onore del suo caro Missere con caritativo amore in parte pontellato e l'oltraggio vendicato, quanto e meritamente la giovane donna e cristiana potrà da ciascuno essere biasimata, attento che con tanta vile operatione denigrò la sua ottima fama e l'onore di più e diversi parentati. Pure avendo avuto pertanto piacere uno solo condegno castigo, di più oltre morderla mi rimango; e nei delitiosi liti partenopei ritornandomi, ove tante e si diverse mirabili palestre de continuo si fanno, diremo di un’altra più industriosa che avventurata femmina nella giostra approvata, la quale volse non che uno ma tre corritori in una medesima notte liberare.
- ↑ Francesco d’Aragona duca di S. Angelo, quarto figliuolo di Re Ferdinando, nacque nel 1461. Contrasse e non consumò matrimonio con Isabella del Balzo figliuola di Pirro Principe di Altamura, la quale poi fu sposata dal fratello Federico d’Aragona. Morì nel 1486.
- ↑ E questa novella era da mandare ad un adolescente?
- ↑ Re Alfonso guerreggiando contro Renato d’Angiò, che chiamato ultimo erede da Giovanna II gli contendeva il regno, prese e bruciò la città di Marsiglia. E Masuccio anche celiando in novella non lascia di ricordare i gesti de' suoi Aragonesi.