Il Novellino/Parte seconda/Novella XX
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NOVELLA XX.
ARGOMENTO.
AL SPETTABILE JOAN FRANCISCO CARACCIOLO.1
ESORDIO.
Cognoscendo l’altezza del tuo ingegno, molto virtuoso Joan Francisco, mi persuado che facilmente potrai comprendere quanto e quale siano difficili a investigare le potentie del gran signore Amore, e come di continuo per lui quale2 adoperando si faccia li matti savii, e i discreti stolti ritornare, e gli animosi codardi, e i timidi gagliardi divenire; oltre ciò quasi come a esecutor della fortuna, i ricchi a infima miseria conduce, e i poveri talvolta in istato secondo ripone. E perchè non mi pare di bisogno a te, che dai teneri anni sei stato seguace del poderoso Amore, darte novo avviso del suo imperio, e quante volte molti sagaci e prudenti uomini e donne riscaldati da sua calente fiamma a darsi con le proprie mani acerba e cruda morte si son lasciati trascorrere, sol mi è piaciuto con la presente dimostrarti una sua nuova potentia adoperata sopra a un nostro nobile cittadino non molto savio né molto animoso, il quale d’amore trafitto divenne discretissimo e di più animosità che a umano cuore non si richiedeva, e conseguentemente essendo poverissimo gli fu cagione di, con laudevole fama e prodezza di sua persona, arriccare, e dei suoi molti affanni con felicità godere. Valete.
NARRAZIONE.
Sono già pochi anni passati che in Salerno fu un giovine di nobile e antiqua famiglia, chiamato Giacomo Pinto, il quale benché fosse del Seggio di Portanova, ove comunemente tenemo essere l’academia del senno3 della nostra città, a lui sarebbe stato più proprio e conveniente loco per sua stanza il nostro paese dal Monte, nel quale loro dicono essere la maggior parte de la origine de’ nostri antiqui. Costui come che fosse vacuo di roba, e di senno non pieno, pure avendo alquanto l’animo nobile, s’innamorò di una donna vedova, giovene, e assai bella, suocera d’un nostro Stratico; e non essendo mai più stato innamorato, cominciò a menare questo suo amore si cautamente che fanciullo non era in Salerno che non se ne avesse accorto, e in maniera che in ogni lato e tra gentiluomini e tra donne con mirabile piacere se ne ragionava, e ognuno sopra di ciò lo motteggiava; di che lui trafitto da mai più non provata saetta, de’ motteggiamenti non curandosi, sequea invano con grandissima passione la cominciata impresa. Era tra gli altri del suo seggio, che di sue bestiagini ogni dì pigliava novo piacere, un altro gentiluomo chiamato Loisi Pagano, di grande ingegno, piacevole, e costumato molto, col quale Giacomo unicamente si fidava, e ragionava de la sua fiera passione. Loisi a ogni ora più accorgendosi del cervello travolto di costui, gli occorse di, con questo innamoramento beffegiandolo, fare dare da lui alcuno castigo a un novo Gonnella4 pur salernitano, mai da niuno punito di quanti inganni e bagattelle avea adoperate tutto il suo vivente, facendosi chiamare misser Angelo; e quando come a medico, e quando come a mercatante, ancora che ferraro fosse, discorrendo per Italia, spesso se ne ritornava a casa pieno insino al colmo. E un dì essendo Loisi con Giacomo sopra gli usati ragionamenti, gli disse: Giacomo mio, tu hai poco desiderio d’uscire di pene, avendo cosi facile espediente come tu hai. Tu sai che Missere Angelo è lo più gran nigromante che oggi sia sopra la terra, e io ne posso render testimonio, che di molte imprese mi ha fatto aver vittoria, e lui è pure dal lato di natural madre tuo parente: perchè non vadi da lui, e losingandolo priega che del suo magisterio in ciò ti sia favorevole? Dal che certamente, volendo lui, sarai intieramente satisfatto: e se per avventura facesse prova di volerti porre al numero degli altri da lui beffati, fa che meni le mani in maniera che mai per lo innanzi non pensi di beffare gentiluomo che di te non si ricordi. Giacomo ciò udendo ne fu molto lieto, e gliene rendè infinite grazie; e parendogli quasi avere al suo desiderio intero effetto, disse di fare quanto aveagli ordinato. Loisi con fatica da lui sviluppatosi andò prestissimo a trovare misser Angelo, e gli disse quello che avea tramato per averne qualche dì de grandissimo piacere. Misser Angelo lietissimo della nova caccia postagli tra le mani, senza saper che Loisi non avea minore voglia che lui fosse ben bastonato che Giacomo beffato, a non partire trattarono la maniera di quanto e come intorno a ciò era per loro da eseguire. E non dopo molto Giacomo mandò per misser Angelo, e quasi lacrimando gli discoperse di secreto la sua già divolgata per tutto passione, e poi gli disse: Parente mio, al bisogno se pareno gli amici: io ho nuovamente sentito che tu sei un gran nigromante, per la cui scienza non dubiterò che volendo mi trarrai d’affanni: priegoti dunque per Dio ti piaccia operarti intorno al mio bisogno in maniera che io possa dire non solo da te avere la donna racquistata, ma con quella la vita mia medesima in dono ricevuta. Misser Angelo con piacevole viso gli rispose sè dal canto suo essere apparecchiato a compitamente servirlo, e tra un ragionamento in un altro trascorrendo gli disse: Giacomo mio, io non so come voi siete sicuro, perchè l’animosità vostra conviene esser grandissima. Disse Giacomo: Or che potrebbe egli essere? io vo’ che tu sappi che io anderei insino a l’inferno, tanto mi ha dato Amore grande ardire. Rispose lui: Anco vi è peggio, che vi sarà necessario parlare da viso a viso con un fiero diavolo chiamato Barabas, il quale solo di costringere alle mie voglie ho potestate. Disse lui: Io parlerò con Satanas, che è maggiore, se tu vuoi, e se la necessità il ricerca. Dio il voglia, rispose il nigromante, ma come averemo noi le altre cose che ci sono di bisogno? perchè noi volemo una spata che abbia ucciso uomo. Esso subito rispose: Io ne ho una che fu di mio fratello, che ha morti più di dieci. Disse dapoi: Quello avemo che a me parea il più difficoltoso, le altre cose si troveranno troppo bene: nientedimeno provvedete da ora che si abbiano, quando vel dimando, un castrone nero e ben grosso, e quattro caponi grassi, e aspettamo che la luna sia al scemo, e lasciate fare a me che vi darò la preda trale unghie per moglie o per donna come la volete. Giacomo contentissimo di tale offerta disse che farebbe di avere ogni cosa al dato termine; e misser Angelo da lui partito e con Loisi trovatosi gli riferì tutto l’ordine con Giacomo preso; e a tale che tra loro non cascasse errore, più volte si ridussero insieme anzi che in sul fatto con mirabile piacere seguito poi. E valicati alquanti dì, essendo misser Angelo de continuo da Giacomo sollecitato, gli disse: Parente, io sono inconcio dal canto mio, ma voi trovastivo quello che vi dissi? Maisì, rispose lui, e in ciò mi è stata molto favorevole la fortuna, però che mia cognata avea li più belli caponi del mondo, e io le ne ho fatti portar quattro de’ migliori; e oltre a ciò ho avuto per una strana via un castrone grosso come un toro, nerissimo, e con quattro corna che parea sì orribile a riguardare. Misser Angelo con gran festa gli rispose: Parente, voi parete un altro da poco tempo in qua, e pare che Amore vi abbia aguzzato l’ingegno in maniera che insegnereste l’abaco ai granchi: qual altro uomo avesse saputo trovare tante cose e cosi presto? e io, ponetevi in ordine, che questa notte venerò per voi. E da lui partitosi ordinò con Loisi che quando ora gli parea al loco tra loro ordinato aspettasse: e come notte fu, lui se n’andò in casa di Giacomo, e gli disse: Volemo andare che è già ora? Misser si, rispose lui. E cosi misser Angelo fattasi dare la omicida spata, e a lui acconcio il castrone in ispalla, e un paro di caponi per braccio, si condussero tra certi casalini ruinati, a l’uno dei quali si era Loisi con alcuni altri gentiluomini, per non avere tanta festa solo, occultato. Dove gionto, misser Angelo a Giacomo rivolto disse: Vedete, parente, noi siamo a loco tale arrivati, che senza nostro grieve pericolo non potriamo indrieto retornare, e però state de bono animo: tuttavolta non resto di dirve che per cosa vediate o sentiate, per spaventevole che sia, non vi venisse nominato Iddio o la Madre, né meno vi segniate di croce, che tutti sariamo buttati in gola de Lucifero; ma se pure avete qualche dottanza, come in simili casi suole avvenire, recomandatevi al carriaggio che portò l’asino in Egitto, che vi fu la Madre e il Figliuolo, e così inganneremo quello maledetto da Dio. Lui disse di farlo molto bene. Or via, disse il nigromante, voi direte come udirete dire a me; e quando avremo scongiurato Barabas, e lui gridare, dammi i coduti, subito gli buttate i caponi; e il simile fate del castrone quando cercherà il cornuto. Lui anco disse di farlo molto volentieri. E dati questi ordini, cavò fuori la spata, e con quella fé un gran circolo in terra, e designatovi dentro alcuni caratteri5, e col foco che seco avea portato con certi bossoli di cose fetide fece un orribile profumo, e fingendo di dire suoi incantesimi con strani atti di testa e di bocca, di mano e di piedi, disse a Giacomo: Ponete il piede sinistro dentro il circolo, e ditemi che vi è più caro, vederlo qui dinanzi con la sua orribilità, ovvero sentirlo parlare da questo casalino che ci sta dirimpetto? Il poveretto giovine, che amore e la sua simplicità con grande animosità ivi lo aveano condotto, vedendo il principio del giuoco essere molto spaventevole, cominciò ad aver paura, ed al maestro rispose che a lui bastava d’avanzo a sentirlo parlare; e pure entrò con un piede al circolo, e tremando tutto, non ricordandosi dell’asina di Jerusalem, non vi lasciò santo in cielo a chiamare in suo soccorso. Il maestro accorgendosi che a colui esser gli pareva in altro mondo, gli disse: Chiama tre volte Barabas. Lui temendo del peggio chiamò la prima. Loisi che in diavolo era travestito buttò un folgore con un rumore di scoppietto che da dovero avria dato paura a qualsivoglia cuore umano. Se Giacomo allora avesse voluto essere in casa non è da dimandarne; e confortato dal maestro chiama la seconda volta, e il diavolo ne buttò un altro maggiore, e maggiormente il spaventò. Il maestro che ben si accorgeva che il bestiolo era mezzo morto, non finava di confortarlo, e dirgli: Non temere parente, noi lo abbiamo legato in maniera che non ci può noiare, però chiamate la terza volta. Esso pur per obbedire male volentieri il fece, e sì piano e tremando che con difficoltà si intese; e Loisi buttato il terzo folgore, mise un grido sì orribile che poco vi mancò qui a farlo cascar morto. Disse il maestro: State sicuro, e non dubitate, che egli è nostro prigione, pur sappi che per noi si ha da scongiurare, e però direte con alta voce quanto vi dirò piano. E avendo composta una sua scongiura lo confortava e speronava a dirla; di che Giacomo volendo aprire la bocca gli venne un battimento di denti e di gambe che non si potea in piedi tenere, per la cui cagione da dovero Misser Angelo dubitò de la sua vita, e gli parve per quella volta averne fatto assai, e lui medesimo cominciò a scongiurare Barabas. Loisi che coi suoi compagni erano del gran riso quasi indeboliti, vedendo che il preso ordine a compimento non seguia, per lui non esser degl’ingannati, gridando disse: Dammi i coduti e il cornuto. Disse il maestro: Butta ogni cosa a lui, e fuggi via prestissimo, e non ti volgere indietro per quanto non vuoi morire. Giacomo che esser gli parea da vero nell’inferno, sommamente gli piacque, e buttati i caponi ed il castrone dentro il casalino, diede in gambe che non lo avrebbero gionto i barbarischi che vincono il pallio. E gionto a casa, poco appresso vi venne il maestro, e disse: Che vi pare, parente, di mia nigromantia? state di bon core che un’altra volta avremo nostra intentione. Rispose Giacomo: Vi venga chi male mi vuole, che io non vi torneria per guadagnare l’imperio; e però, parente mio, vedi di travagliarti per altra maniera che io ti resterò in eterno obbligato. Disse il Maestro: Sia col nome di Dio, io tornerò a studiare per vostro amore, che in ogni modo sarete satisfatto. E dopo molti altri ingannevoli ragionamenti se n’andò a casa sua. Loisi fatti pigliare gli animali de la santa oblatione, licentiati i compagni, se n’andò a dormire; e venuto il novo giorno diede ordine con quelli e altre bone robe a fare un onorevole desinare e a Giacomo e a molti altri del fatto consapevoli: e così prestissimo fece; ed essendone in sul desinare parea che a niuno fosse concesso di ridere potersi contenere, ed oltre a ciò cominciamo a chiamare Barabas, e a dirne tanti altri motti in maniera che Giacomo se accorgi essere da tutti in quel desinare beffato. De che Loisi avvedendosene gli parve già tempo che il suo primo e antiveduto pensiero fosse a esecutione mandato, cioè che l’ingannatore fosse de’vecchi peccati da l’ingannato nuovamente punito; e fornito il desinare chiamò Giacomo, e amichevolmente gli ricontò dinanzi a molti di loro brigata quanto misser Angelo per ingannarlo aveva adoperato. Giacomo ricordandosi delle prime parole del suo Loisi lo ebbe per certissimo, e con fellone animo da lui partitosi se n’andò rattissimo a trovare il finto nigromante, e senza altramente fargli motto, il prese per li capilli, e buttatolo a terra lo cominciò fieramente a percuotere con tanti pugni e calci che mirabil cosa furono a l’offeso sopportare; ed essendo in sul fatto riscaldato, prese un sasso, che se da molti con general piacere e gran fatica non gli era strappato di mano, quello saria stato il suo ultimo fatto inganno; e del preso furore in sé tornato, e con tutta sua dappocagine cognosciuta la conditione del fatto, fu da tanta vergogna vinto che non gli dava il cuore più di casa uscire, e per quello si deliberò del tutto de la città assentarse. Venduto un piccolo podere, che più non gli era rimasto, e del ritratto comparatosi cavalli ed armi, fori reame ov’era la guerra si condusse: ove aitato da la fortuna insieme col suo vigorosamente adoperarsi, non dopo gran tempo divenne ricco, e famoso armigero, e discreto a maraviglia. E di tutto essendo stato Amore e misser Angelo cagione, pare che l'uno essendo da Giacomo stato guiderdonato, solo ne resta con le prime parole confirmarci: mirabile incomprensibile e miracoloso si può dire il potere del faretrato Iddio, quanto felici coloro che con lieto volto sono da lui e da la fortuna riguardati.
MASUCCIO.
Da molti molte volte ho sentito ragionare che quando ad alcuno viene meno l'ingegno e per quello da altrui riceve inganno, si suole adattare, per potersi dell’inganno e dell’ingannatore insieme vendicare, senza alcun ordine adoperar la forza a dannificare il compagno; e come che l’ingannato resti pur con le beffe, mi persuado che l’ingannatore con più acerba noia tolleri li ricevuti danni. E che ciò sia vero una parte della passata novella cel dimostra, per cagione che misser Angelo cognoscendo il poco senno del ferventissimo amante si ingegnò con tanta arte ingannarlo; il quale essendo fatto accorto dell’inganno, non bastando a tanto il suo consentimento6, con simile o maggiore beffa vendicarsi, cerca con la forza menar le mani come già fece, e in maniera che se il soccorso fosse stato più tardo da dovero il mandava a tener compagnia a Barabas. E perchè de li casi e potentie d’Amore e di alcune piacevoli e singolari beffe, e di altri nuovi e strani avvenimenti nel discorso de la passata Seconda Parte ne è pur assai ragionato, giudico sia dovuta cosa dovere omai la mia penna altrove volgere; e travagliando col pensiero in quale bersaglio dover le mie arme dirizzare, mi si è ridotto a memoria quando contro de’ finti religiosi a scrivere cominciai fui fieramente da certe donne legiste sputasenno di mormorationi e biasteme crucciato; e ancora che a la loro bestiagine a bastanza avessi risposto, pure per mia promessa loro mi feci debitore di prima che a la mia opera dessi ultimo fine, del loro difettivo e imperfettissimo sesso, con le innate miserie, tradimenti e cattività de la maggior parte di loro, alcuna commemoratione farne. E volendo già di tale debito disobbligarmi, mi si sono parate dinanzi tante e tali inaudite sceleranze, e diabolichi più che umani gesti della sfrenata moltitudine de le malvage femmine, che dal mio proposto cammino mi avevano quasi ritratto; nondimeno più da la ragione forzato che dal fastidioso e molesto dire raffrenato, pur con alquanto rincrescimento a scrivere alcuni lor naturali mancamenti mi conduco.
- ↑ Non so veramente chi sia questo Joan Francesco Caracciolo: se pure non è quel Giovanni Caracciolo Duca di Melfi, al quale è anche intitolata la nov. 48.
- ↑ quale qua è soverchio, e anderebbe tolto.
- ↑ Vuol dire essere gli uomini più ragguardevoli per senno: e la frase ricorda la contemporanea Academia del Panormita e poi del Pontano.
- ↑ Famoso buffone, di cui parla anche il Sacchetti.
- ↑ dice alcune caractole.
- ↑ intendi sentimento, conoscimento.