Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 13

Capitolo 13

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CAPITOLO XIII


Rigori politici.


È ormai posto in sodo che i Papi sono mai sempre stati di una clemenza e bontà senili. Io non nego le testimonianze dei signori di Brosses e di Tournon, i quali sostengono che questo governo sia il più dolce di Europa, nel tempo stesso che il peggiore ed il più assoluto.

Intanto Sisto V, che fu gran Papa, fu pure grande carnefice. Cotest’uom di Dio fe’impiccare un Pepoli di Bologna in memoria di averne ricevuto, essendo frate mendicante, un calcio in vece di un frusto di pane.

Intanto Gregorio XVI, nostro contemporaneo, accordò dispensa di età ad un minorenne, affinchè potesse legalmente donar la sua testa al boja. [p. 126 modifica] Intanto il supplizio del cavalletto è stato, da quattr’anni, richiamato in vigore dalla dolcezza del cardinale Antonelli.

Intanto lo Stato pontificio è unico in Europa (escludete Turchia), in cui serbisi il gentile costume di porre taglia sulla testa degli uomini.

Bazzecole! Da altra parte, avvegnachè lo Stato pontificio é, fra tutti, quello in cui i più orribili delitti hanno fortuna di andare impuniti, convengo coi signori di Brosses e di Tournon ch’è sia pure il più dolce di Europa.

Quello che desidero studiar con voi, è l’applicazione di si vantata dolcezza alle materie politiche.

Fa nov’anni che Pio IX è rientrato nella capitale, siccome un padre nella sua casa, dopo averne abbattuto l’uscio. Nè il santo Padre, né i suoi colleghi di esilio nutrivano sensi benevoli e di gratitudine verso i capi della rivoluzione, i quali aveanli scacciati. Prima di divenir preti, si è uomini, e rimane pur sempre un briciolo di quel d’Adamo.

Gli è per cotesto che proclamando l’amnistia consigliata dalla Francia, e promessa dal Papa, ne furono esclusi 283 individui1. Poverelli! È duro che il Vangelo sia cosa vecchia, ed il perdono delle offese uscito di moda! E voi direte, per giunta, che san Pietro troncò a Malco l’orecchio.

La clemenza del Papa ha fatto grazia a [p. 127 modifica]59 di questi esiliati: ma è veramente grazia l’averli richiamati provvisoriamente, quali per un anno, quali per sei mesi? Ed ebbe grazia. un uomo che è collocato sotto sorveglianza della polizia? Ed un infelice cui è vietato lo esercizio dell’antica sua professione, concessogli solo facoltà di morir di fame, non deve spesso rimpiangere il confino?

Mi fu presentato uno dei 59 privilegiati della pontificia clemenza. Era un avvocato; intendiamoci, era stato avvocato fino al giorno della grazia. Narrommi la parte innocua che aveva presa agli avvenimenti del 1848, le speranze fondate nell’amnistia, il dolore di esserne escluso, la sua vita in esilio, le risorse procuratesi dando, come tanti illustri, lezioni d’italiano. «Avrei potuto vivere felice, mi disse, ma un bel giorno il mal della cupola mi serrò il cuore; sentii che avevo a rivedere Italia, o morire. La mia famiglia fece ogni possibile; chè aveva relazione col protetto di un cardinale. La polizia detto le condizioni; accettai, ad occhi chiusi: se avessero voluto cavarmi l’occhio diritto per la grazia di rimpatriare, avreilo fatto all’istante. 11 Papa segnò la grazia, il mio nome apparve in tutti i diarii, affinchè nessuno ignorasse la sua bontà. Ma il foro mi è interdetto; ne posso insegnare italiano in Italia.»

Terminava queste parole, quando la campana suonò l’Ave Maria. Impallidì, prese il suo cappello, usci precipitoso dalla stanza, dicendo: «Sciagurato! ho dimenticato l’ora: [p. 128 modifica]se la polizia arriva prima di me, sono rovinato!»

Gli amici di lui chiarirono il secreto del terrore. Il pover’uomo era sottoposto al precetto, ossia a certo regolamento ordinato dalla polizia.

Bisogna ch’ei sia a casa tutti i giorni al tramonto del sole, e che vi rimanga chiuso fino al mattino. La polizia può entrar di forza nel domicilio a qualunque ora della notte per avverare la sua presenza. Anco in pien meriggio, non lice ad esso, per qualsiasi ragione, uscir dalla città; e la menoma infrazione del regolamento gli aprirebbe la via alla prigione od all’esilio.

Lo Stato del Papa formicola di precettati; gli uni sono malfattori che, per manco di luogo nelle carceri, sono sorvegliati nel loro domicilio; gli altri sono sospetti. Le statistiche non recano il novero di questi infelici; ma tengo da buona sorgente che a Viterbo, cittaduzza di 14,000 abitanti, ve ne ha 200.

L’insufficienza delle carceri dà il bandolo per districare di molti inviluppi. Se il governo volesse incarcerare tutti coloro che lo esecrano fuori de’ denti, non avrebbe nè abbastanza gendarmi, nè carcerieri, nè case all’uopo o prigioni preventive, la cui «protezione e salubrità prolungano la vita di chi le abita2

Pertanto si permette ai cittadini di parlare, [p. 129 modifica]come lor talenta; ma nessuna parola va perduta in uno Stato sopravvegliato da preti. 11 governo ha catalogo di coloro che mal gli desiderano: ne prende vendetta quando può; ma non corre dietro ad essa. Adocchia le occasioni, paziente, perchè credesi eterno.

Se il temerario che ha parlato occupa modesto impiego, la commissione depurativa, senza strepito, gli dà erba cassia, e lo depone delicatamente sul lastrico.

Se è dovizioso, si aspetta che alcuna cosa gli occorra, puta, un passaporto. Uno de’ miei amici di Roma aspetta da nove anni il permesso di viaggiare. Egli è ricco, operoso: la sua industria è di quelle che approdano allo Stato; un viaggio all’estero completerebbe le sue cognizioni e coadiuverebbe le sue bisogne: novelle! Da nove anni dimanda udienza al capo della sezione dei passaporti, e nessuno gli ha dato risposta.

A parecchi altri, i quali chiedevano facoltà di condursi in Piemonte, hanno ripetuto: « Andatevi, ma non rivenite mai più. » Non li hanno esiliati: a che far pompa d’inutili rigori? Ma, in cambio del passaporto che concedevasi loro, hanno dovuto sottoscrivere una dichiarazione di volontario esilio. I Greci dicevano: «Non è dato a tutti andare a Corinto.» I Romani han modificato il proverbio: «Non è dato a tutti andare a Torino.»

Un altro de’ miei amici, il conte X...., aveva causa pendente da più anni nanti l’ [p. 130 modifica]infallibile tribunale della Sacra-Rota. La faccenda non era sfidata, avvengadiochè egli avesse perduto e vinto alternativamente sette od otto volte nanti gli stessi giudici; ma fu, dal giorno che mi si strinse in amicizia.

Che se i malcontenti non si limitano alle parole, ed osano attuare alcuno de’ loro pensieri, la è bella e spacciata per essi.

Un accusato politico, tradotto innanzi la Sacra-Consulta (che qui, come ai tempi degli antichi imperatori, sono sacre anco le stalle! ), vien difeso da un avvocato che non ha scelto, contro testimonii che mai non vide.

Rado avviene nella capitale, sotto gli occhi dei Francesi, che il rigor delle condanne tocchi gli estremi. Si contentano di confinar la gente, di sottecchi, in una fortezza a vita. Le carceri dello Stato, altre sono sane, altre malsane: in queste la reclusione perpetua non ha lunga durata.

La fortezza di Paliano e delle più sane. Racchiudeva 250 detenuti, tutti politici, quando vi andai in aria di girellone. Gli abitanti del paese mi narrarono che nel 1856 gl’infelici tentarono fuggire: ne spensero cinque o sei a fucilate in sul tetto, come passeri. Gli altri non avrebbero che otto anni di galera, per delitto di fuga, se fossero giudicati secondo il diritto comune. In buon punto però è stata disseppellita una vecchia disposizione del cardinal Lante, in forza di cui, se a Dio piace, ne sarà guillottinato qualcuno.

Di là dell’Apennino poi la dolcezza del [p. 131 modifica]Governo è affatto implacabile. I Francesi non sono là; e l’armata austriaca ha uffizio della polizia reazionaria per conto del Papa. Ivi, sotto il regime della legge marziale, l’accusato senza difesa è giudicato dagli uffiziali, giustiziato dai soldati. Il maltalento di alcuni messeri in uniforme colpisce o uccide. Un giovane accende del fuoco di bengala; vent'anni di remo. Una donna impedisce al fumatore di accendere lo zigaro; venti colpi di staffile. In sette anni Ancona ha veduto 60 esecuzioni capitali, e Bologna 180. Il sangue scorre; e il Papa se ne lava le mani. Non ha egli sottoscritta la condanna. Gli Austriaci di tratto in tratto gli arrecano un uom fucilato, nel modo stesso che un guardaboschi arreca al signore un lupo ucciso ne’suoi boschi.

Si dirà forse che il governo dei preti non è responsabile dei delilli commessi pel suo servizio?

Anche noi abbiamo contezza del flagello che è l’invasione straniera. Soldati che non parlavano la nostra lingua sonosi per più anni attendati ne’ nostri dipartimenti. Il re che ci avevano imposto era uomo nè grande, nė energico, anzi neppure uomo eccellente; ed aveva alcunché di sua dignità lasciato nei carrettoni dei nemici. Ma gli è certo che nel 1817 Luigi XVIII avrebbe amato meglio discendere dal trono che lasciare ai Russi ed ai Prussiani il diritto di fucilare legalmente i suoi sudditi. [p. 132 modifica] Il signor di Rayneval assicura che «il santo Padre non ha mai ommesso di raddolcire il rigor delle sentenze.» Ed io mi chieggo qual sorta di addolcimento abbia potuto aggiungere alle fucilate austriache. Ha forse raccomandato che le palle fossero avviluppate nella bambagia?

  1. Le vittorie della Chiesa, per D. Giacomo Margotti, 1857
  2. Proemio della Statistica, pubblicato, nel 1887, dall’eminentissimo cardinale Milesi.