I suicidi di Parigi/Episodio terzo/XIV
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XIV.
L’artiglieria entra in battaglia.
Qualche ora dopo, verso mezzodì, Vitaliana usciva appena dal suo letto d’insonnia, quando la sua cameriera entrò e le annunziò che il principe di Lavandall aspettava in salone, e dimandava con istanza di essere ricevuto per un momento.
Vitaliana non sembrò stupita di quella visita premurosa.
Maria rotolò i capelli della duchessa in una reticella di chenille amaranto, l’avvolse in una saute-du-lit di cashmire bianco, soppannata di raso cilestre, ed andò a pregare il principe di passar nel boudoir.
Il principe di Lavandall non era certo l’uomo a mancare il quarto d’ora che, in tutte le situazioni della vita, danno la vittoria.
Egli aveva osservato Vitaliana la notte precedente ed aveva constatato che una rivoluzione radicale, completa, si era operata in lei.
La duchessa e la donna non erano più le stesse. L’orgoglio aveva parlato; la natura si era svegliata. L’inviluppo che proteggeva ancora la giovane donna e la teneva in istato di fanciulla, s’era squarciato. La farfalla pigliava vento.
Il principe aveva constatato, all’ultima parola che era sfuggita dal seno della duchessa — malgrado lei — quel grido della vita che nasce! Il dramma occulto, cui ogni donna porta nel cuore, arrivava al suo snodamento nel cuore di Vitaliana.
L’era dunque l’ora in cui tutte le porte dell’anima sono aperte. Era l’ora in cui i giovani desiderii provano le loro ali. Era l’ora in cui si ascolta tutto; si comprende tutto; in cui si è generosi. Gli era quindi il momento di portar su la piazza di assalto.
— Vi supplico, madama, di volermi perdonare se mi presento ancora a voi, e se ò insistito per avere l’onore di parlarvi. Gli è che la cosa è di una estrema gravezza. Degnate leggere questo dispaccio.
Era il dispaccio del principe di Tebe, cui aveva letto agli ambasciadori di Prussia e d’Inghilterra, salvo l’ultima frase.
Vitaliana lesse:
«Parto questa notte. Fra quindici giorni re Taddeo IX sarà morto — ciò è infallibile. — E la successione al suo trono si apre. Io non tradirò il mio destino. Fate di ottenere ad ogni costo le carte del duca di Balbek.» ecc., ecc.
— Principe, io non comprendo nulla a codesto, tranne che un re muore oggi o domani, e che il duca di Balbek à delle carte. Di carte ne à tante!
— Io vi spiego tutto di una frase, madama. Il re Taddeo muore domani, a giorno fisso! La sua successione sarà disputata, perchè la legittimità del suo successore è contestata. La regina Bianca passa per adultera: perocchè si è in misura di provare che re Taddeo non poteva essere il padre del figlio della regina. Ora, e’ pare che il duca di Balbek abbia dei documenti che possono decidere la quistione. Il principe di Tebe li desidera. La regina Bianca debbe desiderargli egualmente. Vengo di apprendere che vostro marito li traffica. Egli si appresta a far getto dell’onore di una donna e di una regina; a mettere il fuoco della guerra civile in un regno, se non gli sborsa la somma enorme cui dimanda di quelle carte.
— Ciò è infame, infame! — gridò Vitaliana, alzandosi.
— Sì, madama, l’è orribile, infatti — riprese il principe. Bisogna dunque impedire questo delitto, madama. Noi non sappiamo se la regina Bianca è colpevole o no. Ma ella è donna, ella è madre: e ciò basta. Bisogna proteggere il suo onore. Signora duchessa, voi siete pure donna e madre.
— Che posso io fare, principe? Io sono pronta a tutto.
— Dei documenti come quelli cui possiede il duca di Balbek — continuò il principe — non possono restare fra le mani di un particolare, soprattutto nelle sue. Perchè, madama, bisogna che voi sappiate tutto. Si assicura che il duca fu il complice di quella regina, cui medita di disonorare adesso; che quel figliuolo contestato è il suo; e che la di lui ambascieria qui è il prezzo di quella complicità. Capite voi, madama, un uomo che consegna la donna che si diede a lui e che lo rese padre? Capite voi, madama, un uomo che, per una somma di danaro, mercanteggia l’onore della donna che l’amò ed il destino del figliuolo che la gli diede?
— Dite, principe, dite: che bisogna fare? — gridò Vitaliana, ora pallida, ora rossa.
— Ebbene, duchessa, quelle carte non possono essere in sicurtà che in mani reali. Io vi lascio la dichiarazione di vostro marito contro quelle carte, cui manderò all’imperatore. Lo czar Nicola, padre e cavaliere, sovrano prudente e giusto, saprà meglio di chicchessia che uso farne, e che valore esse abbiano.
— Io comprendo tutto — disse Vitaliana dopo un momento di riflessione — forse anco la catastrofe che mi avvolge. Dovessi io mettere il fuoco al palazzo, voi avrete, principe, i documenti che chiedete. Ma bisogna che io li trovi io stessa — e vi sono tanti cartoni e filze nella cancelleria e nel gabinetto del duca...
— Madama, delle carte come quelle lì non si lasciano esposte nella segreteria e neppure nel gabinetto. Quelle carte sono personali del duca. Esse non possono dunque rinvenirsi che fra le sue carte particolari. Rovistate là dove egli conserva ciò che à di più caro e prezioso. Io fo voto che sia tempo ancora onde risparmiare un disastro ad una nazione, il vitupero ad una donna, la degradazione ad una regina, e l’infamia alla vostra famiglia, duchessa. Ve l’ò detto: documenti per documenti. Potrò allora scrivere all’imperatore: ò barattato questo per quelle... e mi farò perdonare.
— Comincerò le ricerche oggi stesso, principe, e spero che Dio avrà pietà di me. Che ò fatto io per essere messa a queste prove! — gridò Vitaliana, mentre le lagrime nuotavanle negli occhi.
— Addio, duchessa — disse Lavandall, alzandosi. — Io sono ai vostri ordini.
La coppa travasava.
Vitaliana restò un’ora immersa nell’annientamento. Un sospetto aveva sfiorato il suo spirito sulle intenzioni del principe di Lavandall. Ma ella aveva creduto tutto ciò che colui aveva detto contro suo marito.
Si crede anche l’impossibile, anche l’assurdo delle persone che si amano, disprezzano od odiano.
Da tutto quel riflettere pertanto risultava questo: carte per carte! Ora, quelle carte salvavano l’onore di due fanciulli. La madre poteva essere colpevole; il padre poteva essere infame. Dove era la colpa del figliuolo di Bianca e del suo proprio figliuolo? Figlio di un ladro! Oh! una madre metterebbe il fuoco al paradiso per cancellar questa vergogna, impedirla.
Dimandò a vestirsi.
Due ore dopo, il suo lacchè suonava alla porta del conte di Alleux.
Adriano sapeva di già tutto.
Maria lo teneva al corrente, da un anno in qua, di tutto ciò che concerneva la sua padrona.
— Annunziate al signor conte sua cugina, la signora duchessa di Balbek — disse il lacchè al domestico di Adriano.
Vitaliana entrò e si trovò in un largo corridoio, ove si aprivano quattro porte e cominciava la scala che guidava al piano superiore.
Il domestico, interdetto, non sapeva ove introdurre Vitaliana.
Questa, non volendo aspettare in un corridoio, e vedendo da una porta socchiusa alla sua destra, qualche cosa come un salone, vi si cacciò dentro di un tratto.
Era infatti il salone, in cui Adriano aveva fatto l’atelier dei suoi talenti vari. Imperciocchè vi si vedevano accoccate al muro delle panoplie di armi, dei quadri e del briccioli di statue; sur una piccola scrivania dei versi incompiuti, dei libri sfogliati qua e là, e dei giornali; sopra due cavalletti due poveri schizzi di paesaggio; e sur un bel pianoforte a coda, della musica di Mozart.
Vitaliana abbracciò tutto codesto di un solo sguardo, e l’odore del tabacco le denunzò in qualche parte delle pipe cui la non vedeva.
Il divano, anch’esso, era occupato da un altro oggetto delle numerose capacità di suo cugino — cui Vitaliana non avrebbe mai sospettato in casa di un ex-apprendista all’episcopato!
Sul divano si allungava una bella creatura, in veste da camera, come in sua propria casa, coricata sul dorso. I piedi un po’ in aria, ed una sigaretta alla bocca — contemplante con estasi i piccoli nugoli bianchi che ella inviava al cielo come baci della sua bocca rosea.
Al fruscio della veste di Vitaliana, l’odalisca del luogo volse gli occhi, e gli sguardi stupefatti di Vitaliana e di Morella s’incrociarono.
Si riconobbero.
La percossa fu immediata, diretta, a bruciapelo.
Vitaliana restò come immobile, gli occhi devaricati. Morella saltò in piedi.
Ella aveva visto Vitaliana nella carrozza di suo marito, al Bois de Boulogne.
Vitaliana aveva riportato nei suoi occhi l’immagine dei soggetti della festa della notte precedente.
— Or be’! — sclamò Morella, facendosi innanzi, mentre che la duchessa rinculava dolcemente verso la porta.
— Scusi — interruppe Vitaliana. Credevo essere in casa del conte di Alleux.
— Il conte d’Alleux à un’appendice che non ammette intrusioni, madama la duchessa. Che voi venghiate in casa mia, la notte, a reclamar vostro marito, io ve ne so grado. Voi mi affrancate. Ma che vanghiate a farmi concorrenza qui... alto là!
— Madama, andate ad annunziare al conte di Alleux la duchessa di Balbek, sua cugina — disse Vitaliana, fermandosi, di un tono pulito e glaciale.
— Codesta taccola è vecchiottella, madama. Se n’è tanto fatto abuso nei romanzi e nelle commedie! D’altronde, voi siete tutti cugini nel Faubourg.
— Madama, io attendo da cinque minuti, e non ò il tempo di aspettare. Vogliate chiamar mio cugino: ò bisogno di parlargli ed a lui solo!
— Volete che vi accompagni nel suo appartamento, di su, madama la duchessa? Starete colà più confortevolmente. Vi troverete perfino una delle mie saute-du-lit.
Vitaliana, a questa proposizione, divenne pallida e rossa nel tempo stesso. Si sentiva soffocare. Era stata vilipesa come dama, gualcita come donna. Ella volse di botto le spalla a Morella, e si allontanò.
Al punto stesso, Adriano entrò e si trovò viso a viso con le due donne.
Di un colpo d’occhio si accorse che una scena veniva di aver luogo. La sua apparizione subita l’aveva interrotta, ma la bruciava ancora nelle pupille scintillanti di Morella, negli occhi velati di Vitaliana.
Egli portava lo snodamento.
La posizione di Adriano era perigliosa.
La presenza di sua cugina in casa sua, dopo la dichiarazione senza equivoco del suo amore, cui le aveva deposta sulle labbra, indicava ch’egli era forse più complice che colpevole. In ogni caso, la speranza intonava nel suo cuore un inno di trionfo.
La presenza di Morella, in quell’addobbo famigliare, poteva uccidere questa speranza gloriosa, provando a Vitaliana che il suo amore non era, almeno, uno di quelli che si desolano.
La gelosia di Morella poteva ruinar tutto. La gelosia di Vitaliana, se lo amava un sinsino, poteva tutto salvare.
E’ doveva ad ogni modo scegliere e sacrificare una di quelle due donne, per il momento.
Ma le donne come Morella ànno la vita dura e sono armate da capo a piedi! Le donne come Vitaliana perdonano raramente ciò che esse chiamano un simile oltraggio!
— Adriano — gridò Morella, ringhiando. Tu dovevi per lo meno dirmi che ricevevi delle duchesse! Avrei fatto un tocchino di toilette.
— Signora — rispose Adriano di un tono calmo, freddo, ma severo — la duchessa è mia cugina, ed è la prima volta che mi fa l’onore di mettere il piede qui. Ella à probabilmente una ragione straordinariamente grave di parlarmi. Noi dobbiamo esser soli.
In questo mentre, Vitaliana si era ritirata in disparte, e guardava l’abbozzo di una capra sur un cavalletto.
— Tu mi scacci dunque? — gridò Morella impallidendo.
— Vi riconduco, signora — riprese Adriano. Dappoichè la mia casa è stata santificata da quella nobile donna, alcun’altra non vi metterà più il piede oggimai. Ve lo prometto.
— Adriano! — sclamò Morella di una voce soffocata. Io non sono mica in vena di centellar madrigali. Codesta facezia mi disgrada. Mi avevan gittato sotto i piedi il marito di quella donna, senza che io me l’avessi cercato. Ella lo à ripescato. Mille grazie. Che se ne vada. Qui, tu lo sai, non vi è posto per gli angeli. Io ti amo. Ti amo per me, per conto mio. Non ti detti mai un lecco di motivo per lamentarti. Tu sei stato la gioia che à addolcito per un anno il mio dovere o la mia fatalità... Non si manda a bricioli in un istante codesto, senza ragione, solo perchè piace ad una duchessa venire da te. Le duchesse non vanno, d’usanza, in casa dei giovanotti. I cugini non sono così galanti verso cugine cui non amano. Io resto. Io mi difenderò.
— Vogliate perdonarmi, Vitaliana, questo incontro disgraziato. Poteva io prevedere...?
Vitaliana fece un movimento di disgusto e si diresse verso la porta. Adriano le si parò dinanzi e soggiunse:
— Ve ne supplico in nome di mia madre: restate. Io conosco già la ragione che vi conduce qui. Io sono il vostro solo parente, il vostro solo appoggio. Non verrò meno al vostro appello. Se quella donna non ci lascia soli, io suono...
— Come? — gridò Morella.
— Signora — sclamò Adriano — rispettate almeno le ruine cui avete cagionate. Partite.
— Me ne vado — rispose Morella di una voce sorda. Ma ripetimi che tu mi ami, come mel dicevi testè ancora; dimmelo innanzi a quella donna, alla quale, se tu non sei che cugino, non debbe guari importare che tu mi ami e che io ti ami. Io sono gelosa. So che quella donna è virtuosa. Ma io non ò paura che della virtù, io. Il vizio mi rispetta. La virtù è audace, intraprendente, e scava degli abissi alla cheta. La tua cugina è bella, ma ella non ti ama come ti amo io. Ella à dei riguardi a conservare, delle convenienze a rispettare; ella à l’ignoranza del candore. Io ò aperte tutte le mie cateratte; ti amo come una lupa, e non cederò che quando tutta Parigi sarà contro di me, per ella e per te. Salta al mio collo; di’, dimmi che mi ami. Io sono ancora bella: guarda! Non ò che ventidue anni; non avrò oggimai che te solo... Ma parla, parla dunque, ma dimmi....
E Morella apriva le sue braccia, e voleva gittarsi al collo dei giovane conte.
Vitaliana si coverse il viso delle mani. Chi sa? Ella tremava d’esser vista! — di esser vinta!
Adriano indietreggiò, e, senza dir motto, indicò la porta a Morella.
— Tu mi cacci via, dunque? tu mi cacci davvero? — gridò Morella.
— Addio, signora — rispose Adriano, aprendo la porta.
— Una parola ancora — sclamò Morella, appiccandosi al braccio di Adriano. Tu non ignori che io so conservare un secreto. Dimmi che tu l’ami. Io so che agli occhi di certi uomini l’amore, nella donna, è una incompatibilità radicale. Bisogna che una donna vi divori il cuore par segnarvi la sua impronta. Io ti ò fatto lastrico del mio cuore. Mi sono precipitata sopra di te tutta intera, anima e corpo, senza riserbo, senza domani... Non ò più nulla a darti, nulla ad apprenderti... Di’, confessa che tu l’ami, ed io parto. Saprò che ò naufragato come le altre, e mi rassegnerò. Ciò consola talvolta. Non si visitano le tombe per addolcire il dolore della morte? Io non mi getterò mica a traverso di quell’amore. Gli è un goffo modo quello d’incocciarsi innanzi ad un cuore agghiacciato. Io cedo; ma voglio sapere il vero. Tu me lo devi. Tu non mi ài poi comprata, per crederti così in diritto d’agir verso di me come verso di una ganza qualunque. Il mio amore mi à innalzata fino a te, al tuo livello, alla tua taglia. Parla dunque; confessa: Ami tu quella donna?
— Ebbene, sì, da dieci anni — gridò Adriano con collera. Poichè gli è mestieri mandarti via per questa parola, io la pronunzio.
Morella non rispose più verbo. Ella si raddrizzò, e la sua statura parve ingrandita. Ella trascinò il suo sguardo dall’uomo alla donna e dalla donna all’uomo; fece un gesto per ordinare al conte di sgomberarle il passo, ed uscì, la testa alta, lentamente, fiera come regina.
Adriano si sentì meschino.
Vitaliana, alla confessione dell’amore di suo cugino, era caduta accasciata sopra un tabouret.
Essi restarono in quell’attitudine, ed in silenzio, per cinque minuti. Poi, Vitaliana, rialzandosi, come spinta da una molla, gridò:
— Usciamo di qui.
Adriano la condusse nella sala di rimpetto, che era la sala da pranzo, le offerse una sedia vicina al caminetto, e restò in piedi.
— La disgrazia si è abbattuta sopra di me — disse infine Vitaliana. Voi siete il solo membro superstite di mia famiglia. Benchè imperdonabili siano i torti che vi abbiate verso di me, vengo a consultarvi.
— Io so tutto di già — rispose Adriano umilmente.
— Voi non potete saper tutto. Perocchè vi è, inoltre, la premeditazione di un delitto cui vengo di apprendere non sono appena due ore.
— E quale?
— Il signor di Balbek à delle carte che riguardano la successione del re Taddeo IX, il quale muore dimani. Egli à sotto la mira la regina Bianca, con quella carte, e le dice: la borsa o l’onore! Capite voi?
— Ma! e’ bisogna impedire codesto infame mercato — gridò Adriano.
— E come? Mi si offre bene di restituirmi la dichiarazione abbominevole che egli scrisse in casa del principe di Lavandall.
— Quale dichiarazione? — domandò Adriano?
— Allora non sapete proprio nulla! — sclamò Vitaliana.
E gli raccontò la scena del giuoco.
Quindi continuò:
— Ora mi si dice: carte per carte! Ma dove sono le carte del duca di Balbek? Ecco la cosa.
— Nonpertanto bisogna bene ch’esse esistano in qualche sito, dappoichè esistono sì bene ch’egli vuol venderle.
— Sì, esistono, ed io sospetto perfino dove esse siano.
— Ma allora...
— Non ne sono mica sicura, però.
— Insomma?
— Ascolta. Gli era nei primi giorni dei nostri sponsali. Un mattino, io entrai nella sua camera mentre egli si fregiava delle sue decorazioni per andare ad assistere a non so qual matrimonio o cerimonia alle Tuileries. Il piccolo mobile in ebano, incrostato in oro, che è al suo capezzale, era aperto. Mi avvicinai e scorsi, sotto un compartimento semi-aperto, un quadrante in ismalto, ove sono segnate tutte le lettere dell’alfabeto. Andavo a toccarlo, quando il duca si precipitò su di me e mi allontanò con terrore. Io domandai, naturalmente, la ragione di quella grande paura. Allora, egli prese il suo bastone, e dalla borchia toccò una lettera nel quadrante. All’istante, una mezza dozzina di lame d’acciaio, acute come aghi, fine come corde di piano, sprizzarono dal quadrante ed aggraffarono il bastone con una forza da trapassarlo. — Tu vedi! — mi diss’egli. Quei serpentelli avrebbero morsicato al tuo braccio e ti avrebbero inchiodata lì. — Ma allora e’ debbe esservi un segreto di dentro — sclamai io. — Sì — rispose egli, toccando un punto che fece rientrare immediatamente le sei lingue di vipera che avevano ghermito il bastone. — Quel quadrante è una toppa. Per aprirla, bisogna toccare le lettere che formano un nome. — Quale? domandai io. — Quello di Bianca — rispose egli esitando. Io mi accostai allo stipetto, toccai le lettere che componevano il nome, ed una tavoletta rientrò, lasciando in vista un tiratoio. Il duca conservava quivi i suoi crachats, i suoi gioielli, i suoi danari, delle cedole di Banca. Un sacchetto in velluto violetto attirò i miei sguardi. Lo presi. Egli me lo strappò di mano, dicendo: — Sono quivi delle carte di mia madre. E lo rigettò nello stipetto, cui chiuse affatto. Ora, quelle carte di sua madre non sarebbero desse quelle piuttosto di cui egli ora traffica?
— Gli è evidente.
— Ma il mobile, oltre la toppa a segreto, à una chiave che lo chiude di fuori. Io non ò quella chiave, cui il duca porta sempre nelle sue tasche.
Adriano riflette qualche poco, poi disse:
— Vitaliana, io veggo in tutto codesto un viluppo di fatti, di circostanze, di voglie, di non so che, insomma, cui non afferro bene. Egli è impossibile di pigliare una risoluzione istantanea. Bisogna considerare le cose ponderatamente. Il duca è infame e capace di tutto. Ma gli altri non valgono guari meglio. Vi è forse qui dei gonzi e dei gabbatori. I colpevoli sono forse delle vittime. Calma, dunque. Lascia che io mi trovi in mezzo a questo garbuglio di dubbi. Lasciami scandagliare questo abisso, ove non vedo chiaro, per il momento, che una sola naufraga: voi, duchessa; te, Vitaliana.
Adriano provò di pigliar la mano di sua cugina. Ella la ritirò vivamente e si alzò.
— Allora — diss’ella — che pensate voi? Che occorre fare?
— Lasciatemi riflettere, questa notte...
Le labbra di Vitaliana si crisparono. Adriano, che se ne avvide, non distinse se fosse un sorriso o uno spasimo.
La notte!
Che di cose la notte non doveva dessa rammentare a questa donna, sia ch’ella fosse amorosa o gelosa, sia che l’avesse semplicemente osservato la bellezza di Morella e la sua intimità con suo cugino!!
Questi riprese:
— Mi permettete voi, madama, di presentarmi in casa vostra, domani?
Vitaliana riflettè, poi disse:
— Al postutto! perchè io sono venuta qui?
— Grazie! — gridò Adriano raggiante. Io vi porterò domani il resultato delle mie riflessioni, un piano di condotta fermo, e... il mio pentimento, se...
Vitaliana squadrò suo cugino di uno sguardo freddo, severo, disdegnoso, e disse:
— Fate chiamare la mia gente.
— Vitaliana... — sclamò Adriano, cadendo in ginocchio.
— Conte d’Alleux, siete aspettato lì su — osservò la duchessa, ed uscì.
Il suo lacchè l’attendeva nel corridoio.