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— Annunziate al signor conte sua cugina, la signora duchessa di Balbek — disse il lacchè al domestico di Adriano.

Vitaliana entrò e si trovò in un largo corridoio, ove si aprivano quattro porte e cominciava la scala che guidava al piano superiore.

Il domestico, interdetto, non sapeva ove introdurre Vitaliana.

Questa, non volendo aspettare in un corridoio, e vedendo da una porta socchiusa alla sua destra, qualche cosa come un salone, vi si cacciò dentro di un tratto.

Era infatti il salone, in cui Adriano aveva fatto l’atelier dei suoi talenti vari. Imperciocchè vi si vedevano accoccate al muro delle panoplie di armi, dei quadri e del briccioli di statue; sur una piccola scrivania dei versi incompiuti, dei libri sfogliati qua e là, e dei giornali; sopra due cavalletti due poveri schizzi di paesaggio; e sur un bel pianoforte a coda, della musica di Mozart.

Vitaliana abbracciò tutto codesto di un solo sguardo, e l’odore del tabacco le denunzò in qualche parte delle pipe cui la non vedeva.

Il divano, anch’esso, era occupato da un altro oggetto delle numerose capacità di suo cugino — cui Vitaliana non avrebbe mai sospettato in casa di un ex-apprendista all’episcopato!

Sul divano si allungava una bella creatura, in veste da camera, come in sua propria casa, coricata sul dorso. I piedi un po’ in aria, ed una sigaretta alla bocca — contemplante con estasi i piccoli nugoli bianchi che ella inviava al cielo come baci della sua bocca rosea.

Al fruscio della veste di Vitaliana, l’odalisca del luogo volse gli occhi, e gli sguardi stupefatti di Vitaliana e di Morella s’incrociarono.

Si riconobbero.

La percossa fu immediata, diretta, a bruciapelo.

Vitaliana restò come immobile, gli occhi devaricati. Morella saltò in piedi.

Ella aveva visto Vitaliana nella carrozza di suo marito, al Bois de Boulogne.

Vitaliana aveva riportato nei suoi occhi l’immagine dei soggetti della festa della notte precedente.

— Or be’! — sclamò Morella, facendosi innanzi, mentre che la duchessa rinculava dolcemente verso la porta.