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darti, nulla ad apprenderti... Di’, confessa che tu l’ami, ed io parto. Saprò che ò naufragato come le altre, e mi rassegnerò. Ciò consola talvolta. Non si visitano le tombe per addolcire il dolore della morte? Io non mi getterò mica a traverso di quell’amore. Gli è un goffo modo quello d’incocciarsi innanzi ad un cuore agghiacciato. Io cedo; ma voglio sapere il vero. Tu me lo devi. Tu non mi ài poi comprata, per crederti così in diritto d’agir verso di me come verso di una ganza qualunque. Il mio amore mi à innalzata fino a te, al tuo livello, alla tua taglia. Parla dunque; confessa: Ami tu quella donna?

— Ebbene, sì, da dieci anni — gridò Adriano con collera. Poichè gli è mestieri mandarti via per questa parola, io la pronunzio.

Morella non rispose più verbo. Ella si raddrizzò, e la sua statura parve ingrandita. Ella trascinò il suo sguardo dall’uomo alla donna e dalla donna all’uomo; fece un gesto per ordinare al conte di sgomberarle il passo, ed uscì, la testa alta, lentamente, fiera come regina.

Adriano si sentì meschino.

Vitaliana, alla confessione dell’amore di suo cugino, era caduta accasciata sopra un tabouret.

Essi restarono in quell’attitudine, ed in silenzio, per cinque minuti. Poi, Vitaliana, rialzandosi, come spinta da una molla, gridò:

— Usciamo di qui.

Adriano la condusse nella sala di rimpetto, che era la sala da pranzo, le offerse una sedia vicina al caminetto, e restò in piedi.

— La disgrazia si è abbattuta sopra di me — disse infine Vitaliana. Voi siete il solo membro superstite di mia famiglia. Benchè imperdonabili siano i torti che vi abbiate verso di me, vengo a consultarvi.

— Io so tutto di già — rispose Adriano umilmente.

— Voi non potete saper tutto. Perocchè vi è, inoltre, la premeditazione di un delitto cui vengo di apprendere non sono appena due ore.

— E quale?

— Il signor di Balbek à delle carte che riguardano la successione del re Taddeo IX, il quale muore dimani. Egli à sotto la mira la regina Bianca, con quella carte, e le dice: la borsa o l’onore! Capite voi?