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— Ma! e’ bisogna impedire codesto infame mercato — gridò Adriano.

— E come? Mi si offre bene di restituirmi la dichiarazione abbominevole che egli scrisse in casa del principe di Lavandall.

— Quale dichiarazione? — domandò Adriano?

— Allora non sapete proprio nulla! — sclamò Vitaliana.

E gli raccontò la scena del giuoco.

Quindi continuò:

— Ora mi si dice: carte per carte! Ma dove sono le carte del duca di Balbek? Ecco la cosa.

— Nonpertanto bisogna bene ch’esse esistano in qualche sito, dappoichè esistono sì bene ch’egli vuol venderle.

— Sì, esistono, ed io sospetto perfino dove esse siano.

— Ma allora...

— Non ne sono mica sicura, però.

— Insomma?

— Ascolta. Gli era nei primi giorni dei nostri sponsali. Un mattino, io entrai nella sua camera mentre egli si fregiava delle sue decorazioni per andare ad assistere a non so qual matrimonio o cerimonia alle Tuileries. Il piccolo mobile in ebano, incrostato in oro, che è al suo capezzale, era aperto. Mi avvicinai e scorsi, sotto un compartimento semi-aperto, un quadrante in ismalto, ove sono segnate tutte le lettere dell’alfabeto. Andavo a toccarlo, quando il duca si precipitò su di me e mi allontanò con terrore. Io domandai, naturalmente, la ragione di quella grande paura. Allora, egli prese il suo bastone, e dalla borchia toccò una lettera nel quadrante. All’istante, una mezza dozzina di lame d’acciaio, acute come aghi, fine come corde di piano, sprizzarono dal quadrante ed aggraffarono il bastone con una forza da trapassarlo. — Tu vedi! — mi diss’egli. Quei serpentelli avrebbero morsicato al tuo braccio e ti avrebbero inchiodata lì. — Ma allora e’ debbe esservi un segreto di dentro — sclamai io. — Sì — rispose egli, toccando un punto che fece rientrare immediatamente le sei lingue di vipera che avevano ghermito il bastone. — Quel quadrante è una toppa. Per aprirla, bisogna toccare le lettere che formano un nome. — Quale? domandai io. — Quello di Bianca — rispose