I naviganti della Meloria/16. L'inseguimento

16. L'inseguimento

../15. La vendetta dello slavo ../17. L'inondazione IncludiIntestazione 10 marzo 2018 75% Da definire

15. La vendetta dello slavo 17. L'inondazione
[p. 133 modifica]

XVI.

L’inseguimento.


Il dottore ed i suoi compagni si erano vivamente voltati sperando di scoprire il luogo dove trovavasi lo slavo, ma questi, dopo di aver pronunciato quelle minacciose parole, era nuovamente scomparso. D’altronde la luce delle lampade e delle torce non poteva espandersi fino all’estremità della caverna.

Che cosa aveva intenzione di fare quel pazzo? Qual vendetta maturava il suo cervello sconvolto? Forse padron Vincenzo non aveva avuto torto quando aveva proposto di abbandonare la caverna ed il disgraziato al suo destino, pure tutti rabbrividivano all’idea di lasciarlo solo in quel tenebroso antro, solo nelle viscere della terra.

Anche il lupo di mare sembrava ora commosso.

— Povero uomo! — esclamò. — Il tesoro gli ha scombussolato il cervello!

— Bisogna prendere una decisione — disse Michele. — Noi non possiamo lasciarlo qui. È stato nostro camerata e poi si tratta d’un uomo.

— Cerchiamo di raggiungerlo e di ridurlo all’impotenza — suggerì Roberto. — Siamo in quattro e tutti robusti.

— E dopo? — disse padron Vincenzo. — Sarà cosa difficile condurlo con noi su questa zattera che può appena portarci.

— Pure non dobbiamo abbandonarlo — disse il dottore.

— Sono ora del vostro parere, signor Bandi, però...

— Cosa volete dire Vincenzo? [p. 134 modifica]

— Che l’impresa mi pare pericolosissima. Noi non abbiamo trovato sulla zattera il fucile.

— Temete che lo abbia ancora Simone?

— Sì, dottore.

— La cosa sarebbe grave.

— Tanto più che noi abbiamo le lampade, mentre egli può avvicinarsi a noi senza poterlo scorgere in tempo per difenderci.

— E vorreste abbandonarlo?

— No, dottore, non domando questo. Mi parrebbe ora di commettere un delitto.

— Che cosa fare adunque?

— Io non lo so.

— Aspettare che la fame lo sfinisca? — si chiese il dottore. — Io dubito che abbia con lui dei viveri.

— E se in questo frattempo viene a moschettarci?

— Ci difenderemo come potremo, Vincenzo — rispose il dottore.

— Silenzio! — esclamò in quell’istante Roberto.

— Ritorna!

— Non credo dottore ma... non udite?

All’estremità della caverna si udivano dei colpi sordi che parevano prodotti da un piccone percuotente le rocce.

— Che quel pazzo cerchi il suo tesoro? — disse Vincenzo.

— È probabile — rispose il dottore.

— Se approfittassimo per cercare di avvicinarlo?

— Bisognerebbe però lasciar qui le lampade, altrimenti ci tradirebbero. Avete paura a seguirmi?

— Siamo pronti a tenervi compagnia — dissero i tre pescatori.

— Allora andiamo. Prendete qualche fune e non dimentichiamo le armi. Coi pazzi non c’è da scherzare.

Piantarono una torcia dietro ad una rupe per far credere al pazzo di essersi accampati colà, si empirono le tasche di viveri non potendo sapere quanto avrebbe potuto durare quella caccia all’uomo, presero le due lampade di sicurezza già precedentemente spente e si misero in marcia seguendo le rive del lago sotterraneo.

S’avvidero ben presto però che l’impresa non era così facile come avevano creduto. Non avendo alcun punto luminoso che servisse loro di guida, era assolutamente impossibile tenere una direzione costante fra quella fitta oscurità. Ogni pochi passi l’uno o l’altro piegava a diritta od a manca, quasi senza accorgersene e penavano non poco a riunirsi ai compagni.

Per di più le rive del lago erano così frastagliate ed ineguali, da provocare dei frequenti capitomboli, a rischio di ricevere qualche scarica dal pazzo. Furono quindi costretti ad accendere una delle due lampade per rischiarare un po’ la via. Vincenzo però, l’aveva coperta col suo berretto in modo da poter intercettare, da un momento all’altro, la luce.

Procedendo lentamente e con precauzione, dopo d’aver varcato [p. 135 modifica]numerosi crepacci che parevano avessero servito, un tempo, da letto ad alcuni torrenti, dopo una mezz’ora giungevano all’estremità del bacino.

La caverna però non terminava colà, anzi pareva che si addentrasse assai nelle viscere della terra.

Al di là della spiaggia si vedevano confusamente delle rocce accatastate, poi altre vôlte immense e degli antri oscurissimi che sembravano gallerie.

Il dottore osservò quelle rocce che mandavano dei riflessi lievemente argentei.

— Un altro bacino carbonifero — disse. — Fortunatamente abbiamo le lampade di sicurezza.

— Una nuova miniera? — chiese padron Vincenzo.

— Sì, e forse più estesa dell’altra. Odo dell’acqua a scrosciare in lontananza.

— È vero, dottore. Si direbbe che un torrentaccio scorra qualche miglio da noi.

— Temo che Simone ci faccia correre.

— E dove si sarà cacciato?

— Se la miniera è così vasta, sarà forse lontano da noi.

— Sarà andato a cercare il suo tesoro sulla riva di quel torrentaccio. Roberto da’ la scalata a questa rupe e guarda se vedi nulla sotto quelle vôlte che si disegnano laggiù.

Il giovane pescatore, che era agile come una scimmia, in pochi slanci raggiunse le cime d’una roccia che si alzava di quindici o venti piedi.

— Il fanale rosso! — esclamò, quando fu lassù.

— Quello di Simone? — chiesero il dottore e padron Vincenzo.

— Sì, è lo stesso che abbiamo scorto sulle acque della grande caverna.

— È lontano? — chiese il signor Bandi.

— Molto!

— Ti sembra immobile?

— No, lo vedo oscillare.

— Allora Simone fugge.

— Lo credo.

— Che ci abbia scorti? — chiese padron Vincenzo.

— È probabile — rispose il dottore.

— Lo seguiamo?

— Sì, Vincenzo.

— Ma dove ci condurrà quel pazzo da catena?

— Suppongo che questa caverna avrà una fine.

— Allora avanti!

Scalarono le rupi che cadevano quasi a picco sulle rive del bacino e si trovarono su d’una specie di altipiano il quale saliva leggermente, cosparso di enormi massi di carbon fossile.

All’estremità si apriva una immensa galleria e sotto quella tenebrosa vôlta, ma ad una distanza notevole, si vedeva scintillare il fanale rosso del pazzo. [p. 136 modifica]

— Si allontana da noi — disse padron Vincenzo. — Che vada in cerca del tesoro?

— Non andrà però molto lungi — disse il dottore. — La sua lanterna non durerà delle giornate intere.

— Che abbia portato con lui una provvista d’olio?

— Hum! Non credo che un pazzo abbia tanto giudizio. Affrettiamoci amici. Questa galleria può piegare da un momento all’altro ed allora non avremo più la lanterna a guida.

Superato l’ultimo pendìo, si cacciarono animosamente sotto quella gigantesca galleria aperta fra gli strati carboniferi. Era altissima, larga più di sessanta o settanta metri, dalle pareti irregolari ed il suolo era cosparso dovunque di ammassi di carbone, delle vere montagnole.

Si sarebbe detto che era stata scavata dalla mano dell’uomo, probabilmente in tempi remotissimi.

Il dottore ne ebbe ben presto la certezza avendo notato che di quando in quando a destra ed a sinistra, si aprivano delle gallerie basse, che non potevano essere state fatte dal capriccio della natura.

— Dove metterà questa miniera? — si chiedeva, pur continuando a marciare dietro ai compagni. — Che abbia qualche sbocco alla superficie della terra?

— Cosa mormorate, dottore? — gli chiese padron Vincenzo, dopo qualche po’.

— Dicevo che questa miniera è stata lavorata dagli uomini. Non vedete questi ammassi di carbone che sembrano pronti per venire caricati? E poi, guardate le pareti della galleria, si vedono ancora i solchi tracciati dai picconi.

— E da chi può essere stata scavata? Recentemente forse?

— Mai più, forse da parecchie diecine di secoli.

— Da parecchi secoli!

— Forse da migliaia d’anni.

— Pure io ho udito a raccontare che il carbon fossile si adopera solamente da qualche centinaio d’anni.

— Cioè è tornato in uso da poco tempo, verso la fine del secolo scorso specialmente da noi, in Francia ed in altri paesi, ma i Romani ed i Greci lo conoscevano e l’adoperavano.

«Anzi vi so dire che due o trecent’anni prima di Gesù Cristo, i Greci venivano a caricare carbone sulle coste della Liguria.

«Anche i Romani ne fecero molto uso, traendone dalle miniere inglesi dopo la loro conquista della Britannia.

— E perchè fu poi abbandonato l’uso?

— Il motivo veramente si ignora, pare però che l’odore ingrato c’entrasse in qualche cosa ed anche l’ignoranza. In Francia per esempio, nel 1500 fu vietato l’uso sotto pena di multa e di prigione, credendo che l’odore dei carboni fosse nocivo alla salute pubblica.

«Anche in Inghilterra furono minacciate gravi pene contro i consumatori di carbone, quantunque le miniere di New-Castle venissero lavorate regolarmente dal 1272. [p. 137 modifica]

— E chi credete che abbia lavorata questa miniera?

— Certamente i liguri delle Alpi Apuane.

— Allora sboccherà in qualche luogo?

— Lo dubito. Essendo stata abbandonata da chissà quanti secoli, le frane avranno ostruita l’entrata. Più tardi vedremo se mi sarò ingannato.

Mentre chiacchieravano, Michele e Roberto, non perdevano di vista il fanale del pazzo. Quel punto luminoso ora si abbassava ed ora saliva secondo gli avvallamenti del suolo e talvolta anche spariva per mostrarsi di nuovo poco dopo.

La distanza però non scemava, anzi pareva che aumentasse. Senza dubbio Simone s’era accorto di essere inseguito e fuggiva a precipizio, inoltrandosi sempre più nella miniera.

La galleria era stata già attraversata ed ora i pescatori ed il dottore si trovavano in una nuova caverna assai ampia, dal suolo franato e che ora s’abbassava bruscamente ed ora saliva. Da un lato, in fondo ad una spaccatura, si udiva a scrosciare il torrentaccio.

Le acque, precipitando di gradino in gradino, facevano un tale fracasso che i quattro uomini non riuscivano quasi più ad intendersi.

Anche in quella caverna si vedevano ammassi di carbone, disposti con un certo ordine e talvolta se ne scorgevano addossati alle muraglie della galleria.

Avevano già percorso almeno cinquecento metri, salendo e discendendo, quando tutto d’un tratto videro la lampada del pazzo a scomparire.

Attesero qualche po’ credendo di rivederla, ma invano. Si era spenta o Simone si era cacciato entro qualche galleria laterale colla speranza di sottrarsi all’inseguimento? Era impossibile a saperlo.

— Cosa facciamo dottore? — chiese padron Vincenzo, il quale s’era arrestato.

— Fermiamoci qui finchè si mostri.

— Tornerà indietro?

— Quando la lanterna si spegnerà tornerà verso di noi.

— Purchè non si avvicini a tradimento! Ho sempre paura di quel fucile che deve avere con sè.

— Terremo le lampade lontane da noi.

— Allora accampiamoci qui, dietro a questi mucchi di carbone.

— E facciamo colazione — aggiunse Michele.

Il luogo scelto per accamparsi, era una piccola spianata situata a breve distanza dal crepaccio aperto dal torrente e circondata da quattro ammassi di carbon fossile i quali, fino ad un certo punto, potevano servire anche di trincee nel caso d’un assalto da parte del pericoloso pazzo.

Collocarono le due lampade sulle cime di due di quei cumuli, quindi Michele allestì rapidamente la colazione, tenendo però in serbo dei viveri per la cena, non sapendo fin dove li avrebbe condotti lo slavo.

Avevano appena mangiati pochi bocconi, quando dalla parte del torrente udirono dei tonfi fragorosi che parevano prodotti dal capitombolare di grossi massi.

Padron Vincenzo era subito balzato in piedi, esclamando: [p. 138 modifica]

— Delle frane!

— Andiamo a vedere — disse il dottore.

— Che sia invece lo slavo? — disse Michele.

— Nessuno di noi ha riveduto la lanterna.

— È vero dottore, ma può essere sceso nel torrente per avvicinarsi di nascosto.

— Lasciamo qui le nostre lampade onde ingannarlo e cerchiamo di avvicinarci alla fenditura.

— È meglio che Michele e Roberto rimangano qui, dottore — consigliò padron Vincenzo. — Le lampade rappresentano la nostra salvezza.

— Sia — rispose il signor Bandi. — Andremo noi due in perlustrazione.

Raccomandarono ai due pescatori di fare buona guardia, lasciarono loro una delle due rivoltelle, poi si misero a strisciare in direzione del torrente.

I tonfi continuavano, non vicini però. Pareva che il suolo franasse nel torrente a cinque o seicento passi più in su dell’accampamento.

Si trattava d’un franamento naturale o provocato dallo slavo? Ecco quello che si chiedevano con una certa ansietà il dottore e padron Vincenzo.

— Io non sono tranquillo — diceva il lupo di mare. — Sento per istinto che quel brigante di Simone tenta di giuocarci un pessimo tiro.

— Cosa vuoi che faccia?

— Io non lo so, pure comincio ad aver paura. Quell’uomo è stato molto tempo minatore nei bacini carboniferi dell’Arsa e di Rabaz della penisola istriana e può ideare qualche atroce vendetta contro di noi.

— Hum! Bisognerebbe che avesse a sua disposizione dei mezzi potenti.

— Noi non abbiamo trovato nulla nella sua cassa. Chissà dove aveva nascosto il contenuto e di che cosa si trattava.

— Non createvi soverchi timori, Vincenzo.

Erano allora giunti presso la sponda del torrentaccio, una sponda quasi tagliata a picco che non si poteva discendere senza correre il pericolo di fare un brutto capitombolo.

Il signor Bandi ed il lupo di mare guardarono verso l’alto corso di quell’impetuoso fiume, ma non videro brillare la lanterna rossa dello slavo.

— Nulla — disse padron Vincenzo. — Eppure i tonfi continuano.

— Forse questo corso d’acqua descrive delle curve — disse il dottore. — Bisognerebbe risalirle fino al luogo ove avvengono le frane.

— Un’impresa difficile senza una lampada.

— Se si potesse scendere nel torrente?

— Mi pare che sia troppo impetuoso per poter affrontare le sue acque e fors’anche assai profondo.

— Vediamo, Vincenzo.

Accese un cerino e diede fuoco ad un pugno di canapa incatramata e lo lasciò cadere nella spaccatura. [p. 139 modifica]

Altro che torrente! Era un vero fiume largo dodici o quindici metri se non di più e scendeva così furioso da gonfiarsi in vere ondate.

— Non ci rimane che seguire la sponda — disse il dottore.

— Andiamo prima a prendere la lanterna.

Si era appena alzato quando una tremenda esplosione avvenne verso l’alto corso del fiume.

La terra oscillò spaventosamente come se fosse stata sollevata da una potente scossa di terremoto, mentre dall’altra rovinavano con immenso fracasso, intere rocce, le quali poi, rotolavano nel fiume facendo balzare in aria giganteschi sprazzi.

Per alcuni istanti parve che l’intera caverna dovesse crollare sul capo del dottore e dei suoi compagni; fortunatamente non rovinarono che alcune vôlte.

Le enormi pareti della miniera avevano resistito alla formidabile scossa.

Il dottore e padron Vincenzo erano stati rovesciati l’uno sull’altro e per un vero miracolo non erano stati scaraventati nel fiume. Risollevatisi prontamente, si erano trovati avvolti in una profonda oscurità poichè le due lampade che ardevano presso l’accampamento si erano spente.

— Gran Dio! Cos’è avvenuto? — gridò padron Vincenzo.

— Pare che sia scoppiata una mina — rispose il dottore.

Poi due grida irruppero dal loro petto:

— Michele! Roberto!

— Dottore! Padron Vincenzo! — risposero i due pescatori.

— Siete feriti?

— No e voi?

— Sia ringraziato il cielo! — esclamò il signor Bandi.

— Dove sono le lampade? — gridò padron Vincenzo.

— Si sono spente.

— Presto, riaccendetele! Noi non osiamo muoverci perchè il fiume ci sta dietro.

— Lasciateci il tempo di cercarle — rispose Michele. — L’esplosione le ha scaraventate chissà dove.

Mentre i due pescatori cercavano di scoprirle fra gli ammassi di carbone, una rapida conversazione si era impegnata fra il dottore e padron Vincenzo.

— Da cosa può essere stata prodotta quest’esplosione? Uno scoppio di grisou forse?

— No, Vincenzo. Si sarebbe rovesciato su di noi un torrente di fuoco.

— Allora è stata una mina?

— Lo sospetto e non doveva essere una mina a polvere.

— Forse che lo slavo ha fatto scoppiare della dinamite!

— Ne sono certo.

— Il furfante! E con quale scopo? Di far crollare la caverna?

— O per qualche altro motivo?

— Cosa volete dire dottore?

— Il fiume non scorre più dietro di noi.

— Pure odo ancora dei muggiti. [p. 140 modifica]

— Sì, ma vengono da lontano.

— Cosa temete?

— Non lo so ma non sono tranquillo. Udite?

— Dell’acqua che precipita?

— Sì.

— Che si sia formata una cascata?

— Qualche cosa deve essere avvenuto nell’alto corso del fiume. Forse le frane hanno ostruito il suo letto.

— Che corriamo il pericolo di morire annegati?

— Michele! Roberto!

— Dottore!

— Presto! Le lampade!

— Le abbiamo trovate!

— Accendetele!

Un fracasso assordante scuoteva tutti gli echi della grande caverna. Pareva che una enorme massa d’acqua si fosse rovesciata attraverso la miniera con impeto tremendo, seco trascinando i carboni in una pazza corsa.

Il dottore e padron Vincenzo s’erano slanciati innanzi. Le due lampade erano state accese, ma brillavano molto lontane l’una dall’altra.

— Qui dottore! — si udì a gridare Michele. — Il torrente ha straripato!

— Cerchiamo una roccia? — urlò padron Vincenzo.

— È già trovata! — rispose Michele.

Il dottore ed il lupo di mare avevano già raggiunto il pescatore il quale s’era arrestato alla base d’una grande rupe che s’alzava solitaria in mezzo alla grande caverna.

— E Roberto? — chiesero.

Il giovane pescatore, perduta forse l’orientazione, era scomparso in direzione della galleria.

— Roberto! — gridarono tutti.

— Vengo — rispose il giovanotto.

— Presto?

In quell’istante un’onda nera come il carbone della miniera si rovesciò con impeto irresistibile attraverso la grande caverna, rimbalzando furiosamente contro la rupe sulla quale s’erano salvati il dottore, Michele e Vincenzo, poi passò oltre muggendo spaventosamente.

— Roberto! — gridarono i due pescatori con accento disperato.

La loro voce si perdette fra lo scrosciare delle acque.

Guardarono verso la galleria sperando di scorgere la lampada del giovane pescatore, ma più nulla distinsero.

Il disgraziato, investito dalle acque, era scomparso!