Pagina:Salgari - I naviganti della Meloria.djvu/139


i naviganti della meloria 137

— E chi credete che abbia lavorata questa miniera?

— Certamente i liguri delle Alpi Apuane.

— Allora sboccherà in qualche luogo?

— Lo dubito. Essendo stata abbandonata da chissà quanti secoli, le frane avranno ostruita l’entrata. Più tardi vedremo se mi sarò ingannato.

Mentre chiacchieravano, Michele e Roberto, non perdevano di vista il fanale del pazzo. Quel punto luminoso ora si abbassava ed ora saliva secondo gli avvallamenti del suolo e talvolta anche spariva per mostrarsi di nuovo poco dopo.

La distanza però non scemava, anzi pareva che aumentasse. Senza dubbio Simone s’era accorto di essere inseguito e fuggiva a precipizio, inoltrandosi sempre più nella miniera.

La galleria era stata già attraversata ed ora i pescatori ed il dottore si trovavano in una nuova caverna assai ampia, dal suolo franato e che ora s’abbassava bruscamente ed ora saliva. Da un lato, in fondo ad una spaccatura, si udiva a scrosciare il torrentaccio.

Le acque, precipitando di gradino in gradino, facevano un tale fracasso che i quattro uomini non riuscivano quasi più ad intendersi.

Anche in quella caverna si vedevano ammassi di carbone, disposti con un certo ordine e talvolta se ne scorgevano addossati alle muraglie della galleria.

Avevano già percorso almeno cinquecento metri, salendo e discendendo, quando tutto d’un tratto videro la lampada del pazzo a scomparire.

Attesero qualche po’ credendo di rivederla, ma invano. Si era spenta o Simone si era cacciato entro qualche galleria laterale colla speranza di sottrarsi all’inseguimento? Era impossibile a saperlo.

— Cosa facciamo dottore? — chiese padron Vincenzo, il quale s’era arrestato.

— Fermiamoci qui finchè si mostri.

— Tornerà indietro?

— Quando la lanterna si spegnerà tornerà verso di noi.

— Purchè non si avvicini a tradimento! Ho sempre paura di quel fucile che deve avere con sè.

— Terremo le lampade lontane da noi.

— Allora accampiamoci qui, dietro a questi mucchi di carbone.

— E facciamo colazione — aggiunse Michele.

Il luogo scelto per accamparsi, era una piccola spianata situata a breve distanza dal crepaccio aperto dal torrente e circondata da quattro ammassi di carbon fossile i quali, fino ad un certo punto, potevano servire anche di trincee nel caso d’un assalto da parte del pericoloso pazzo.

Collocarono le due lampade sulle cime di due di quei cumuli, quindi Michele allestì rapidamente la colazione, tenendo però in serbo dei viveri per la cena, non sapendo fin dove li avrebbe condotti lo slavo.

Avevano appena mangiati pochi bocconi, quando dalla parte del torrente udirono dei tonfi fragorosi che parevano prodotti dal capitombolare di grossi massi.

Padron Vincenzo era subito balzato in piedi, esclamando: