I naviganti della Meloria/17. L'inondazione
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XVII.
L’inondazione.
L’esplosione provocata dal pazzo, aveva causato quella catastrofe.
Le frane, staccate dallo scoppio, seguendo il pendìo naturale del suolo, erano rotolate nella spaccatura apertasi dopo chissà quanti anni di lavorìo incessante delle acque, ostruendo completamente il letto.
Non trovando più sfogo, la corrente era rifluita per poi rovesciarsi attraverso alla caverna con impeto irresistibile, sconvolgendo tutto il piano della miniera e seco trascinando gli ammassi di carbon fossile che aveva trovato sul suo passaggio.
L’invasione da nessuno aspettata, era stata così rapida da impedire al disgraziato Roberto di raggiungere i suoi compagni. Era stato ucciso dai massi enormi che la corrente trascinava od aveva potuto raggiungere un qualche rifugio nella galleria? Ecco quello che si chiedevano con angoscia il dottore ed i suoi compagni.
Le loro grida non avevano ottenuta alcuna risposta. I muggiti delle acque irrompenti attraverso la miniera erano tali d’altronde, da impedire alla voce di estendersi.
E del pazzo, cos’era avvenuto? Era rimasto ucciso dallo scoppio o sopravviveva ancora? Sarebbe stato meglio che l’avessero abbandonato al suo triste destino.
— Dottore — disse padron Vincenzo, che aveva le lagrime agli occhi. — Bisogna cercare Roberto a qualsiasi costo. Se abbiamo fatto tanto per quel maledetto slavo, dobbiamo tutto tentare per salvare il nostro povero compagno.
— Che cosa volete tentare, Vincenzo? — chiese il dottore con voce triste. — Non vedete che siamo circondati dalle acque? Chi oserebbe affrontarle in questo momento? Sarebbe la morte per tutti.
— Ma che non cessi questa inondazione?
— Chi può dirlo? Mi sembra anzi che laggiù, verso la galleria, le acque rigurgitino.
— Che quel passaggio sia stato chiuso? — chiese padron Vincenzo, con un brivido. — Se ciò fosse avvenuto la sarebbe finita per noi.
— Temo che le masse di carbone l’abbiano ostruito.
— Cosa accadrà adunque di noi se non possiamo più raggiungere il canale?
— Lo ignoro, Vincenzo.
— E Roberto? Sarà ancora vivo?
— Non vedo brillare la sua lampada in alcuna direzione.
— Allora è morto.
— Non disperiamo ancora. La sua lampada può essere stata spenta dall’assalto delle acque, ma forse egli può essersi rifugiato su qualche rupe e forse può essere stato trascinato nel laghetto.
— E noi?
— Confidiamo in Dio, Vincenzo.
— Non abbiamo che una lampada, dottore.
— Lo so.
— E non durerà molto.
— È vero.
— Cosa faremo quando la luce verrà a mancare?
Il dottore non rispose. Si era seduto su uno spigolo della rupe e colla testa stretta fra le mani, guardava con ispavento le acque che continuavano ad alzarsi, muggendo cupamente.
Cosa fare? Cosa tentare? Come uscire da quella situazione che di momento in momento diventava sempre più grave? Erano proprio condannati a morire affogati entro quella tenebrosa miniera? Tutto lo faceva supporre a meno d’un miracolo.
Il fiume ormai uscito dal suo letto, continuava a riversarsi nella caverna, coprendo rapidamente le rocce più basse. La massa delle sue acque non trovando sfogo sufficiente attraverso la galleria che forse era stata in gran parte ostruita dai massi di carbone, rigurgitava violentemente, minacciando di invadere tutta la miniera.
Già gli ammassi di carbone che riparavano l’accampamento non si scorgevano più e l’acqua continuava a montare ancora, sempre muggendo cupamente attorno alla rupe che serviva di rifugio ai disgraziati esploratori.
Fortunatamente quella roccia, formata da una specie di calcare mista a carbone e forse a masse di ferro, era assai alta, almeno una dozzina di metri, toccando quasi la vôlta della miniera.
Sulla cima formava una specie di piattaforma capace di dare asilo ad una dozzina di persone.
Doveva trascorrere parecchio tempo prima che l’acqua potesse giungere fino lassù, ma non per questo doveva migliorare la situazione di quei tre disgraziati.
Tagliati fuori dal canale, cosa potevano ormai sperare? Come raggiungere il mare o la superficie della terra? E poi come vivere senza quasi provviste, non possedendo ormai che pochi biscotti?
Il dottore faceva fra sè tutte queste considerazioni, cercando inutilmente un mezzo per levarsi da quella tremenda situazione. Erano già trascorsi parecchi minuti, quando sentì una mano appoggiarsi bruscamente sulle sue spalle.
Alzò il capo e alla fioca luce della lampada vide sopra di sè padron Vincenzo.
Il viso del lupo di mare tradiva una viva emozione.
— Cosa volete Vincenzo! — gli chiese.
— Od io m’inganno assai o Roberto è ancora vivo — rispose il pescatore con voce tremula.
— Cosa ve lo fa supporre?
— Ho veduto laggiù, in direzione della galleria, a brillare un punto luminoso.
— Un fuoco?
— La luce d’uno zolfanello forse?
— Possibile! — esclamò il dottore, balzando in piedi.
— I miei occhi non erano chiusi.
— Hai veduto nulla Michele? — chiese il signor Bandi.
— No signore, poichè guardavo altrove — rispose il marinaio.
— Stiamo attenti tutti — disse padron Vincenzo.
Fissarono i loro sguardi verso il luogo dove trovavasi la galleria, scrutando ansiosamente le tenebre. Una fiamma fosse pure minima, doveva vedersi subito in quella oscurità.
Passò qualche minuto d’angosciosa aspettativa, poi un rapido bagliore, perfettamente visibile, si scorse in direzione della galleria. Non era la fiamma d’una lampada, poichè sarebbe stata più brillante, ma si poteva supporre che fosse quella d’uno zolfanello.
Quella luce durò pochi secondi, poi l’oscurità riprese il suo impero.
— Avete veduto? — chiese padron Vincenzo.
— Sì — rispose il dottore. — Anzi mi è sembrato di veder delinearsi un volto umano.
— Che sia Roberto che ci fa dei segnali?
— Lo suppongo. Sapete se aveva degli zolfanelli?
— Sì, rinchiusi in una scatoletta di metallo.
— E se fosse invece Simone? — chiese Michele.
— Non è possibile — rispose il signor Bandi. — L’inondazione è avvenuta pochi minuti dopo lo scoppio della mina, quindi lo slavo non può aver avuto il tempo di attraversare la miniera.
— Bisognerebbe rispondergli — disse Vincenzo.
— In quale modo?
— Agitando la lampada. Forse comprenderà che noi abbiamo veduto il suo segnale.
— Possiamo far di meglio, Vincenzo.
— In quale modo dottore?
— Scaricando la vostra rivoltella. Sono asciutte le cariche?
— Lo spero.
— Rispondiamo.
Padron Vincenzo si levò la rivoltella che teneva alla cintura e scaricò in alto tre colpi, con un intervallo di alcuni secondi fra l’uno e l’altro.
Poco dopo il terzo colpo, verso la galleria si vide balenare un lampo seguìto da una detonazione che giunse distintamente agli orecchi del dottore e dei suoi compagni, non ostante il muggito della fiumana.
— È Roberto! — esclamarono tutti tre.
Dopo quel primo sparo altri due si seguirono.
— Avevi lasciata a lui la rivoltella è vero? — chiese padron Vincenzo a Michele.
— Sì — rispose questi.
— Come fare per raggiungerlo? Cercate un mezzo, dottore.
— Non ci rimane che gettarci a nuoto; ma vi è un grave pericolo per noi.
— Quale?
— Di smarrirci. Chi ci assicura che Roberto possieda parecchi altri zolfanelli? Senza un qualche punto luminoso che ci serva di guida, non potremo mantenere la buona direzione.
In quell’istante altri due lampi balenarono in direzione della galleria. Cosa volevano significare quei nuovi spari?
Volevano richiamare l’attenzione del dottore e dei suoi due compagni o avevano qualche altro scopo?
— Cosa fare? — si chiese il dottore perplesso. — Domanda una risposta o cosa?
— Devo scaricare altri colpi? — chiese padron Vincenzo.
— Uno ancora, poi vedremo.
Il lupo di mare obbedì, ma quello sparo rimase senza risposta.
— Un altro — disse il dottore. — Roberto deve avere ancora una cartuccia.
Una seconda detonazione rimbombò destando gli echi della miniera, e non ebbe miglior successo. Roberto non diede segno di vita.
— Cosa dite, dottore? — chiese padron Vincenzo stupito per quel silenzio.
— Che comincio a sperare — rispose il signor Bandi. — Se Roberto non risponde vuol dire che si trova in acqua.
— Che nuoti verso di noi?
— Lo suppongo. Badate che la lampada non si spenga.
— C’è ancora dell’olio — rispose Michele. — Ne avremo per qualche ora.
— E dopo? — chiese padron Vincenzo, tergendosi il freddo sudore che gli bagnava la fronte. — Che cosa sarà di noi, quando la luce verrà a mancarci?
— Pensiamo a Roberto per ora — disse il dottore con un sospiro. — Poi... chissà... confidiamo in Dio! Silenzio! Ascoltiamo!
Curvi sulla roccia, cogli orecchi tesi, attendevano ansiosamente qualche nuovo segnale da parte del giovane pescatore. Disgraziatamente il fragore della fiumana rendeva quasi impossibile l’udire il rumore prodotto da un nuotatore.
Passarono alcuni momenti d’ansietà inenarrabile, poi padron Vincenzo, impotente a frenarsi, lanciò tre tuonanti, chiamate:
— Roberto! Roberto! Roberto!
Poco dopo, una voce ancora lontana che pareva uscisse dalle acque, rispose:
— Vengo!
— È lui! — urlarono Michele e padron Vincenzo.
— Sì, è la voce di Roberto — confermò il signor Bandi.
— Egli viene nuotando.
— Resisterà all’impeto della corrente? — chiese il dottore.
— Mi pare che l’acqua rigurgiti sempre verso la galleria — rispose Vincenzo.
— Roberto non faticherà molto a vincerla.
— D’altronde è un buon nuotatore — disse Michele.
— Bravo ragazzo! — esclamò il dottore. — Credevo proprio di non doverlo rivedere più mai.
— E nemmeno io speravo di...
Padron Vincenzo non potè finire la frase. Al largo fra la profonda oscurità, era improvvisamente echeggiato un urlo che pareva che ben poco avesse di umano. Pareva l’urlo di una belva feroce o d’un negro in delirio.
— Cosa succede? — chiese Michele, impallidendo.
— Che Roberto sia impotente a vincere la fiumana? — si domandò il signor Bandi.
— Ma no! Non era la sua voce! — gridò padron Vincenzo.
Quasi nel medesimo istante si udì distintamente Roberto a gridare:
— Aiuto!
— Roberto! — urlò padron Vincenzo, preparandosi a gettarsi in acqua.
— Aiuto! Simone mi segue!
— Mille demoni! — tuonò il lupo di mare. — Quel cane me la pagherà!
Poi prima che il dottore e Michele avessero avuto il tempo di trattenerlo, il pescatore erasi slanciato a capo fitto nelle tenebrose acque, senza pensare che in quel salto poteva urtare contro qualche cumulo di carbone e fracassarsi il cranio.
Risalito quasi subito a galla senza essersi fatto alcun male, padron Vincenzo s’era messo a nuotare con furore. Per essere più pronto alla lotta, stringeva il coltello fra i denti, un’arma terribile, dalla punta acutissima e solida come le navajas di Toledo.
Dinanzi a sè udiva Roberto a gridare e si dirigeva verso di lui, un po’ a casaccio, non avendo altra guida che la voce del giovane.
— Vengo! Tieni fermo! — urlava il coraggioso lupo di mare. — Quel cane di Simone me la pagherà finalmente.
Già non doveva distare che pochi passi dal pescatore, quando uno scoppio di risa risuonò dietro di lui. Si volse rapidamente e udì qualcuno che batteva furiosamente l’acqua.
— Sei tu Roberto? — chiese.
Prima di ricevere una risposta sentì due mani poderose piombargli addosso e cacciarlo sott’acqua.
Padron Vincenzo comprese di aver da fare col pazzo. Si lasciò andare a picco senza cercare d’opporre resistenza, ma poi con un vigoroso colpo di tallone e due bracciate risalì a galla due passi più innanzi.
Simone sentendosi sfuggire l’avversario, aveva mandato un urlo di belva feroce e si era messo a nuotare all’intorno, fendendo impetuosamente le acque.
Appena a galla, padron Vincenzo aveva gridato:
— Alla roccia, Roberto! Lasciami il passo libero, potrei ingannarmi e ucciderti!
— No, padrone — rispose il giovane.
— Fuggi, ti dico!
Mentre Roberto cercava di allontanarsi, padron Vincenzo si sentiva riafferrare dallo slavo. Il gigante, anche nella sua pazzia, pareva che avesse conservato ancora un barlume di lucidità, poichè disse con voce rauca:
— Ti tengo, padrone! Ti ucciderò onde non mi rubi il tesoro!
Poi le sue mani poderose si strinsero attorno al collo del lupo di mare.
— Lasciami o ti uccido! — gli gridò padron Vincenzo.
— No!
— Guardati Simone!
— Bisogna morire, padrone! — ruggì il pazzo.
— A noi due adunque! Prendi, canaglia!
Fra quella paurosa oscurità, in mezzo a quelle acque tenebrose, s’impegnò una lotta disperata fra il pazzo ed il lupo di mare.
Stretti l’uno all’altro, ora s’inabissavano, ora salivano a galla, poi tornavano a scendere senza per questo abbandonarsi.
Simone non aveva lasciato il collo di padron Vincenzo, anzi stringeva sempre più con furore, urlando di tratto in tratto:
— Bisogna morire, padrone!
Il lupo di mare già mezzo soffocato, dopo d’aver tentato di liberarsi da quella stretta, con un poderoso colpo di tallone rimontò a galla seco trascinando l’avversario ed impugnò il coltello.
— Lasciami, Simone! — rantolò.
— Bisogna morire! — ripetè il pazzo.
— Ti uccido!
Alzò l’arma e la cacciò tutta intera nel petto dello slavo.
Questi parve dapprima che non si fosse accorto del colpo ricevuto, poichè non abbandonò il collo dell’avversario. Anzi gli si strinse addosso con maggior furore e circondandogli il corpo colle gambe, lo trasse ancora sott’acqua. Padron Vincenzo non oppose resistenza e si lasciò trascinare a picco. Ad un tratto però la stretta s’allentò bruscamente e si sentì libero.
Risalì prontamente alla superficie. Nel momento che sporgeva la testa dall’acqua, udì presso di sè un cupo gorgoglìo che pareva prodotto dal rimontare d’un altro corpo, poi come un rantolo soffocato.
— Ancora tu Simone? — gridò.
Nessuno rispose. Il pazzo era scomparso negli abissi della miniera.
— Vincenzo! Vincenzo! — gridarono in quell’istante Michele ed il dottore. — Gran Dio! Che cosa succede?
— Tutto è finito — rispose il lupo di mare, nuotando rapidamente verso la roccia, come se avesse ancora paura di essere inseguito dal pazzo.
— E Simone?
— Morto!
— L’avete ucciso? — chiese il signor Bandi.
— Non ho potuto farne a meno.
— Presto, venite.
— E Roberto?
— È già qui.
Padron Vincenzo, guidato dalla lampada che brillava sulla cima della roccia, nuotava rapidamente, premuroso di allontanarsi da quel luogo e di ritrovarsi fra i compagni. Di tratto in tratto però si volgeva indietro e scrutava ansiosamente le tenebre credendo di veder sorgere sempre la testa del pazzo o di udire le sue mani a fendere le acque. La paura cominciava a prenderlo.
Quando giunse alla roccia era completamente sfinito. Michele e Roberto dovettero scendere fino a lui ed aiutarlo a raggiungere la piattaforma.
— Per centomila merluzzi! — esclamò, lasciandosi cadere al suolo. — Che brutto quarto d’ora! Credevo di non rivedervi più mai dottore.
— L’avete proprio ucciso?
— Gli ho piantato il coltello nel petto. Mi aveva preso pel collo e non voleva più lasciarmi. Mi rincresce averlo ucciso, ma non potevo più risparmiarlo, dottore. Se io avessi esitato un mezzo minuto ancora, non sarei più tornato qui. Dio mi perdonerà!
— Si trattava della vostra salvezza, Vincenzo. Nessuno può rimproverarvi della morte di quel disgraziato.
— Ma dove l’avevi incontrato Roberto? — chiese il lupo di mare.
— Presso la galleria — rispose il giovane pescatore. — Avevo appena lasciato l’ammasso di carbone sulla cui cima avevo cercato un rifugio, quando m’accorsi che qualcuno mi seguiva. Credetti dapprima che fosse Michele, anzi stavo per ritornare al mio rifugio, ma tutto d’un tratto mi sentii afferrare per un braccio e cacciare sott’acqua. Solamente in quel momento m’avvidi d’aver da fare con Simone.
— E come hai fatto a sfuggirlo?
— Nuotando sott’acqua.
— Come si trovava presso la galleria quel maniaco?
— Forse cercava di guadagnare la caverna per ritornare nel canale.
— È probabile — disse padron Vincenzo. — Non vi sarebbe però certamente riuscito poichè la galleria deve essere ostruita.
— V’ingannate, padrone — disse Roberto.
— Che cosa dici?
— Che un passaggio esiste ancora.
— Attraverso la galleria? — chiese il dottore.
— Sì, signor Bandi.
— Come lo sai tu?
— La corrente mi aveva cacciato entro quel passaggio.
— Non rigurgitava l’acqua in quel luogo?
— No signore, scorreva libera.
— Come ritrovare quel canale? — chiese il dottore.
— Bisognerebbe nuotare fino all’imbocco della galleria — disse padron Vincenzo.
— E poi?
— Lo si cerca.
— E se la lampada si spegnesse prima di trovarlo?
Un brivido percorse le membra dei quattro disgraziati. Che cosa sarebbe accaduto poi, se quella fiammetta fosse venuta a mancare? Come ritrovare la via fra quell’orribile oscurità? Quale tremenda situazione?
Padron Vincenzo ruppe pel primo il silenzio.
— Signor Bandi — disse con accento risoluto. — Tentiamo la sorte. Anche rimanendo qui la nostra condizione non migliorerebbe. Siete anche voi un buon nuotatore, è vero?
— Quattro o cinque miglia non mi spaventano.
— Ne avete quattro di più, signore — disse Roberto. — Fra la galleria e questa roccia non vi devono essere più di sei o settecento metri.
— Siete tutti decisi?
— Tutti — risposero i tre pescatori.
— Guardiamo prima quanto olio rimane nella lampada. Da poche gocce può dipendere la nostra salvezza.
Scrutò il serbatoio e guardò dentro.
— Ne avremo per venti minuti — disse, mentre alcune gocce di sudore diacciato gl’imperlavano la fronte. — Presto amici, ogni istante che passa è una probabilità di meno di salvarci.
— Chi s’incarica della lampada?
— Io, dottore — rispose padron Vincenzo. — Non mi dà alcun fastidio a nuotare con un braccio solo.
— Vi affidiamo la nostra salvezza.
— Non temete: non l’abbandonerò nemmeno se mi sentissi a mozzare le gambe.
— Su, presto, in acqua!