I naufragatori dell'Oregon/23. I dayaki-laut di Kara-Olo
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CAPITOLO XXIII.
I Dayachi-laut di Kara-Olo
Sulinari mantenne lealmente la promessa fatta.
L’indomani i naufraghi dell’Oregon, ben provveduti di viveri, lasciarono il villaggio dayako per giungere al Koti, sulle cui sponde, presso la foce, dovevano trovare il fratello dell’ospitale capo.
Li seguivano dodici guerrieri scelti fra i più coraggiosi della tribù, armati di parangs-ilang, di cerbottane e d’una grossa provvista di frecce avvelenate e otto schiavi incaricati di trasportare Amely, per la quale era stata costruita una specie di amaca sostenuta da una pertica e che veniva portata da quattro robusti uomini.
Sulinari condusse i suoi ospiti fino all’estremità della palude, raccomandò un’ultima volta ai suoi guerrieri di difendere i suoi amici contro qualunque aggressione, poi, dopo gli addii, ritornò al suo villaggio vivamente commosso.
I dayachi della scorta, pratici della foresta, trovarono ben presto un sentiero che doveva condurli fino al Koti e precisamente alla foce del fiume, senza perdere un tempo lunghissimo per aprirsi una via attraverso a quei grandi vegetali. Il primo giorno di marcia fu rapidissimo, essendo quei selvaggi abituati a camminare a passo accelerato, e nulla accadde di straordinario.
Alla sera s’accamparono attorno ad un albero isolato, accendendo numerosi fuochi per tenere lontano le fiere, sotto la guardia di quattro guerrieri che si rinnovavano di tre in tre ore.
Il giorno seguente, ai primi albori, riprendevano le mosse mantenendo la direzione verso il sud-est, inoltrandosi attraverso a foreste che dovevano essere antiche quasi quanto la creazione del mondo. Il sentiero a volte scompariva sotto l’invasione incessante di nuovi vegetali, ma i dayachi lo riaprivano facilmente coi loro pesanti e taglientissimi parangs.
Avevano già percorso venti miglia senza prendere un istante di riposo, quando il comandante della scorta, che camminava alla testa del drappello, s’arrestò bruscamente, dicendo:
– Alto!...
– Cosa succede?... – chiese Held, raggiungendolo.
– Ho veduto un’ombra passare rapida sotto quel fitto macchione.
– Un animale forse?...
– No, un uomo.
– Sei ben certo?...
– Malù non s’inganna mai.
– Che sia O’Paddy?... – chiese il siciliano. – Non so il perchè, quell’uomo mi torna sempre in mente.
– Dimmi, Malù – disse Held, rivolgendosi al capo della scorta. – Era un uomo bianco od un malese?...
– È passato troppo rapido per poterlo distinguere, ma credo che fosse un uomo di colore.
– Vi sono tribù di Kayon in questi dintorni?
– No, le abbiamo distrutte tutte.
– Nemmeno di Biagiassi, o di Idaasci, o di Marutti, o di Alfurassi?
– No, questo è il territorio dei Bughisi, ma quegli uomini non lasciano le rive del Koti.
– Bisogna cercare di raggiungere quell’uomo, poichè temo che sia uno dei miei nemici.
– Sulinari mi ha detto di proteggerti ed io cercherò quell’uomo e lo decapiterò.
Chiamò sei uomini, raccomandò agli altri di vegliare su Amely, su Dik e sull’olandese e s’allontanarono seguìti dal siciliano.
Dapprima si diressero verso il macchione, poi si sparpagliarono osservando attentamente i cespugli, i rami, le foglie cadute che formavano in terra degli alti strati e le erbe. Cinque minuti dopo scoprivano le tracce dell’uomo che era fuggito.
– Era un malese od un bughiso – disse Malù al siciliano. – I suoi piedi sono nudi.
– Seguiamole – rispose Lando. – Forse è una spia dell’uomo bianco nostro nemico. Credi che abbia molto vantaggio su di noi?...
– Hanno le gambe leste e sono astuti, ma spero di poterlo raggiungere. Il capo bianco intanto continuerà la sua via.
Mandò uno dei suoi uomini ad avvertire Held di continuare la marcia sul sentiero, poi ordinò di mettersi in caccia. I guerrieri si misero a seguire le tracce con celerità meravigliosa: un filo d’erba piegato, un ramo spezzato, una foglia staccata di recente, bastava per guidarli. Proseguirono la rapida marcia per due ore, poi s’arrestarono. Erano giunti sulle rive d’un corso d’acqua nera, il quale tagliava la grande foresta dall’est all’ovest.
Le tracce si fermarono là. Passarono sulla riva opposta investigando le erbe, i cespugli e le foglie, ma senza risultato: scrutarono attentamente il fogliame degli alberi sperando di scoprire il fuggiasco nascosto lassù, ma nulla.
– Comprendo – disse Malù al soldato, che lo interrogava. – Il nemico è furbo e per far perdere le sue orme avrà camminato nel letto del corso d’acqua.
– Cerchiamo sulle rive – disse il siciliano.
Si divisero in due drappelli e visitarono accuratamente le sponde, ma anche quelle ricerche non diedero alcun risultato.
– Tuoni!... – esclamò il siciliano. – Che quell’uomo sia volato via?...
– No, ma ha preso terra senza lasciare alcuna traccia dei suoi piedi – rispose il Dayaco.
– Ma in qual modo?...
– Imitando la manovra delle scimmie. Si è aggrappato a qualche ramo d’albero curvato sul corso d’acqua e si è innalzato passando di pianta in pianta.
– E dove sarà disceso?
– Chi può dirlo?...
In quell’istante si udì a rintronare uno sparo.
– Fulmini!... esclamò il soldato, facendo un salto. – La carabina del signor Held!... Io la riconosco!...
– Il fucile dell’uomo bianco?... – chiese Malù.
– Sì!... Accorriamo!...
La detonazione era echeggiata verso il nord, a circa due o tre miglia. Il soldato ed i Dayachi si lanciarono verso quella direzione, massacrando, a colpi di parangs, i rami e le liane che impedivano a loro il passo.
Mezz’ora dopo incontrarono il drappello guidato dall’olandese, il quale marciava rapidamente sul sentiero.
– Signor Held!... – gridò il soldato, correndogli incontro. – Vi hanno assalito?...
– No, ma noi siamo spiati – rispose l’olandese.
– Avete veduto un altro malese?...
– Ne abbiamo veduto due fuggire attraverso il bosco.
– E avete fatto fuoco contro di loro?
– Sì, ma senza colpirli.
– E noi abbiamo perduto le tracce del nostro. Che O’Paddy ci tenda un agguato?...
– Lo temo, Lando.
– Canaglia!... Ci aspetterà sul Koti...
– Ma ci proteggerà il fratello di Sulinari.
– Erano armate quelle due spie?...
– Sì, e di fucile.
– Signor Held, bisogna affrettare la marcia per non farci sorprendere in mezzo alla foresta. Abbiamo dodici uomini risoluti e otto schiavi, ma tutti hanno una grande paura delle armi da fuoco.
– Lo so, Lando, e perciò procederemo più rapidamente che potremo.
– Siamo ancora lontani, Malù, dal kampong?
– Vi giungeremo domani sera – rispose il dayaco.
– In marcia!...
Ripartirono costringendo Dik a mettersi nell’amaca di Amely, per procedere più spediti. Malù, quattro guerrieri ed il soldato si erano spinti innanzi come avanguardia per esplorare il terreno ed evitare così una imboscata od un improvviso colpo di mano.
La sera però giunse senza che apparisse alcuna spia.
Quella notte s’accamparono con maggiori precauzioni. Attorno al campo costruirono una specie di barricata con tronchi e rami d’albero, ed alcuni uomini furono mandati ad imboscarsi ad una certa distanza. Per maggior precauzione non accesero i soliti fuochi per non attirare l’attenzione dei nemici, i quali forse ronzavano nei dintorni.
Quelle misure furono inutili, poichè nessun allarme venne a turbare il sonno di Amely e di Dik. Certamente i nemici si erano allontanati per portare a O’Paddy la notizia dell’avanzarsi dei naufraghi.
– Ci tenderà un’imboscata presso il fiume – disse Held, nel momento in cui si riponevano in cammino. – Quell’uomo non ci lascerà tranquilli, lo sento.
– Ho un’idea, signor Held – disse il soldato.
– Gettatela fuori.
– Il kampong non è lontano, ha detto Malù.
– È vero; vi giungeremo stasera.
– Io penso che se O’Paddy s’accorge della nostra direzione, farà il possibile per impedirci di giungere al villaggio dayaco.
– È vero.
– Se mandassimo a chiedere rinforzi al fratello di Sulinari?
– E noi attenderli qui?...
– Sì, al riparo di queste trince, che possiamo rendere anche più solide.
– L’idea mi sembra buona, Lando.
– I Dayachi possono passare inosservati e giungere a destinazione senza farsi sorprendere.
– Non perdiamo tempo.
Chiamarono il capo della scorta e lo informarono di ciò che avevano deliberato. Malù, che era un selvaggio perspicace, accolse la proposta, e scelti tre uomini dei più agili e dei più valorosi, diede a loro l’incarico di portarsi alla foce del Koti, consigliandoli a prendere tre diverse vie per non cadere tutti nelle mani di quei nemici.
Pochi minuti dopo i tre dayachi scomparivano sotto i boschi, mentre il soldato e gli altri abbattevano alberi e tagliavano grossi rami per rinforzare la trincea dell’accampamento.
A mezzodì quei lavori erano finiti. Il durion, che formava il centro del campo, era tutto cinto da tronchi d’albero e da grossi rami in modo da poter resistere anche ad un vigoroso attacco. Per renderlo più inespugnabile, i Dayachi avevano piantato al di fuori, e per un largo tratto, grande numero di frecce avvelenate, non lasciando sorgere che le sole punte, ostacoli formidabili pei piedi nudi dei Malesi o dei Bughisi, poichè bastava la più piccola scalfittura per produrre la morte.
Il bosco però era deserto: non si udivano che gli uccelli a cantare e le scimmie a vociferare sulle più alte cime degli alberi. Tuttavia quella calma non rassicurava affatto quei selvaggi figli delle foreste, i quali invece raddoppiavano la vigilanza.
Non vedevano il nemico, ma lo sentivano vicino. Già verso il sud gli uccelli, che poco prima cicalavano fra gli alberi, ora tacevano quantunque il tramonto fosse ancora lontano e già parecchi babirussa erano stati veduti a fuggire, venendo appunto da quella direzione. Chi poteva avere spaventato quei volatili e quegli animali?...
– Temo che fra poco qui faccia caldo – disse il soldato che scrutava ansiosamente la foresta. – Non m’inganno: quel furfante di O’Paddy tenta di giuocare una brutta partita.
– Ma non abbiamo ancora alcuna prova che sia lui – disse Held. – Forse voi l’avete gravemente o mortalmente ferito.
– Non lo credo, signore. E poi chi può avere interesse a spiare la nostra marcia ed a darci addosso, se non lui?...
– È vero, Lando.
– Che siano già giunti al hampong i nostri uomini?
– Lo spero: sono rapidi camminatori.
– Allora questa notte possono giungere gli aiuti.
– Sì, se i nostri uomini non sono caduti in mano al nemico.
– Che brutto affare, se ciò fosse avvenuto!... Ohè!...
– Cosa avete?...
– Mi pare che si prepari un uragano. Ho udito il tuono a rullare.
– Il cielo si copre rapidamente – disse Held, guardando attraverso uno squarcio del fogliame.
– Avremo una brutta notte.
– Che farà ritardare i soccorsi – aggiunse l’olandese.
– E non abbiamo che due fucili.
– Tre – corresse Dik, che ascoltava i loro discorsi.
– È vero, signor Dik – disse il soldato sorridendo. – Mi ero dimenticato di voi.
– E ci sarebbe stato anche il mio, se il mias non lo avesse ridotto inservibile – disse Amely, che si trovava seduta presso di loro.
– Curerai i feriti, Amely. Sarai l’infermiera del campo.
– Volentieri, signor Held.
– Tuona... – disse il soldato.
– E gocciola – aggiunse Dik.
– Ripariamoci sotto il durion – disse l’olandese.
L’uragano stava per scoppiare. La vôlta celeste si era rapidamente coperta di dense nubi di colore oscuro, coi margini tinti di rame, e violente raffiche cominciavano a scuotere la foresta, facendo curvare le più alte cime degli alberi.
In lontananza rullava il tuono e larghe gocce cadevano, crepitando sul fogliame.
I quattro naufraghi si erano riparati sotto il durion ed i Dayachi si erano accovacciati dietro le trincee, per poter meglio sorvegliare la foresta che diventava rapidamente oscurissima.
Ad un tratto si udì echeggiare un grido stridulo che si avrebbe potuto scambiare per quello d’un tucano. Malù, che stava sdraiato dietro alla trincea, alzò vivamente il capo, gettando sotto le cupe fronde della foresta un lungo sguardo.
– Cos’hai, Malù? – chiese Held, che aveva notato quella mossa.
– Non avete udito questo segnale? – chiese il dayaco.
– Non era il grido di un tucano?
– No.
– Sei certo?
– Gli orecchi di Malù non s’ingannano.
– Annuncia l’avvicinarsi dei nemici?
– Sì.
In quell’istante un lampo abbagliante ruppe le tenebre, illuminando la foresta.
Per quanto fosse stato rapido, Malù e l’olandese scorsero parecchi uomini che s’avanzavano, strisciando fra i cespugli.
– Il nemico!... – gridò Held.
Proprio allora l’uragano scoppiava con grande violenza. La pioggia cadeva a torrenti, il tuono rullava furiosamente propagandosi dall’orizzonte occidentale a quello orientale con grande rapidità e lividi lampi illuminavano la notte. Raffiche violentissime, sature d’umidità, contorcevano i rami degli alberi con violenti crepitìi e strappavano ammassi di foglie, le quali turbinavano in tutte le direzioni.
Al grido d’allarme di Held, tutti i Dayachi erano balzati in piedi, tenendo in mano le loro cerbottane, e Dik ed il soldato si erano precipitati verso le trincee, tenendo le batterie dei fucili riparate sotto la casacca.
– Eccoli!... – gridò Held.
Un uomo era sorto a trenta passi di distanza, dietro ad un cespuglio. Il soldato ed il giovane Dik fecero fuoco simultaneamente.
Il nemico, colpito da quella doppia scarica, cadde. Urla furiose scoppiarono sotto i boschi, mescendosi ai ruggiti della burrasca, poi si videro trenta o quaranta uomini slanciarsi innanzi come una valanga.
– Tuoni!... – gridò il soldato.
L’olandese fece fuoco in mezzo al gruppo, mentre i Dayachi lanciavano una volata di frecce. Alcuni uomini caddero, ma gli altri continuarono la corsa.
Già non distavano che trenta o quaranta passi ed i Dayachi avevano impugnato i loro parangs-ilang per impegnare una lotta corpo a corpo, quando si udirono alcuni spari rintronare sul sentiero che conduceva al Koti.
Gli assalitori, presi alle spalle, s’arrestarono indecisi.
Il marinaio e Dik, che avevano ricaricati i fucili, approfittarono per abbattere due altri uomini. Urla acute, che venivano dalla parte del sentiero, vi tennero dietro.
– I Dayachi-laut!... – gridò Malù. – Siamo salvi!...
Degli uomini correvano attraverso agli alberi ed ai cespugli, agitando i loro parangs e sparando delle fucilate contro gli assalitori.
– In ritirata!... – tuonò una voce.
Held ed il siciliano mandarono un grido: entrambi avevano riconosciuta quella voce.
– O’Paddy!... – avevano esclamato.
Nel medesimo istante gli assalitori fuggivano disordinatamente sotto le cupe foreste.