I naufragatori dell'Oregon/24. La morte di O'Paddy
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CAPITOLO XXIV.
La morte di O’Paddy.
Kara-Olo, fratello di Sulinari, accorreva in persona in aiuto dei naufraghi dell’Oregon, accompagnato da due dayachi del drappello di Malù e da venti dei suoi più valorosi sudditi, armati in gran parte di vecchi ma ancora buoni fucili.
Saputo che i protetti di Sulinari correvano il pericolo di venire assaliti, aveva prontamente radunato i suoi migliori guerrieri e si era lanciato di corsa attraverso la foresta, per proteggerli. Udendo quei primi spari, aveva fatto affrettare la marcia e, come s’è veduto, era giunto in buon punto.
Kara-Olo era più vecchio di Sulinari, più alto, più membruto e fors’anche più valoroso, essendo abituato a corseggiare il mare contro i Bughisi ed i Malesi di Semmeridam e di Tongarran, suoi mortali nemici. Già avvertito di ciò che desideravano gli uomini bianchi e dell’offerta da loro fatta, era accorso per mettersi a loro disposizione.
Più incivilito di suo fratello, avendo già avuto contatto coi bianchi in diverse isole del mar della Sonda, appena si trovò dinanzi ad Held ed ai suoi compagni tese a loro la mano, dicendo:
– Sono ben lieto di essere giunto in tempo per rendere un servigio agli uomini bianchi, che io ho sempre rispettati e dei quali mai ho avuto da dolermi e di proteggere gli amici di mio fratello Sulinari. Sono ai vostri ordini: comandate!
– Lascia innanzi tutto che ti ringraziamo – rispose Held. – Senza il tuo pronto aiuto saremmo caduti nelle mani dei nemici.
– Non oseranno ritornare – disse Kara-Olo. – I miei uomini sono valorosi e di più sono armati di fucili.
– Hai incontrato dei nemici venendo qui?
– Degli esploratori, ma sono fuggiti al nostro appressarsi.
– Cosa ci consigli di fare?
– Attendere l’alba prima di partire, per lasciar tempo agli altri di raggiungerci.
– Chi?...
– I miei uomini che sono condotti da mio figlio.
– Degli altri soccorsi?
– Ho fatto armare cinquanta guerrieri, gli equipaggi di tre prahos e s’avanzano lentamente per sorprendere i tuoi nemici. Ho promesso di condurti in salvo ai messi di mio fratello, e lo farò.
– Ed accetti di condurci a Timor?
– Sì, poichè conosco quell’isola.
– Fissa la somma che ti dovrò dare.
– Mi darai invece dei fucili. Ne possiedo quindici e sarei il più felice degli uomini se potessi armare gli equipaggi dei miei tre prahos.
– Te ne daremo cento.
– Ah!... Ma allora diventerò invincibile e potrò sfidare, senza paura i prahos del Sultano di Semmeridam e quelli dei pirati malesi. Cosa potrò fare per te?
– Te l’ho detto, condurci a Timor.
– Ed il tuo nemico?
– Di lui non mi occupo: mi basta respingerlo.
– Mi hanno detto che è un cattivo uomo bianco.
– È vero.
– Allora lo uccideremo.
– Non ne vale la pena.
– Signor Held – disse il soldato – voi siete troppo generoso, ma io ho giurato di uccidere quella canaglia.
– Lasciate che vada a farsi appiccare altrove. Lando.
– No, signore, e farò il possibile per prenderlo e metterlo nelle mani delle autorità olandesi, se non volete lordarvi del sangue di quel traditore e di quel ladro.
– Non si lascerà cogliere, Lando.
– Chissà, signor Held.
– Vedo delle ombre agitarsi laggiù – disse Malù, avvicinandosi. – Che i nemici tentino un altro assalto?
– Peggio per loro – rispose il capo dei Dayachi-laut. – Coi nostri fucili e riparati da queste trincee, potremo resistere fino all’arrivo di mio figlio. Ognuno a posto di combattimento.
L’uragano era cessato, essendo quelli che si scatenano in quelle regioni violenti sì, ma di poca durata. Solamente dei lampi radi balenavano verso oriente e qualche raffica si rovesciava sopra le boscaglie, facendo crepitare i rami e le gigantesche foglie.
I Dayachi armati di fucili si erano schierati dietro alle trincee, tenendosi semi-nascosti, e quelli armati di cerbottane si erano addossati attorno ad un piccolo riparo di rami e di foglie che difendeva Amely e Dik, risoluti a farsi uccidere piuttosto che lasciarli cadere in mano ai nemici.
Pareva che le genti di O’Paddy, composte senza dubbio di Malesi e di Bughisi racimolati a Semmeridam o nei villaggi del Koti, si preparassero a tentare un colpo disperato.
Al chiarore dei lampi, si vedevano aggrupparsi qua e là, dietro ai tronchi dei più grossi alberi, poi apparire più vicini, strisciando attraverso ai cespugli. Non avevano però ancora sparato un colpo di fucile, quantunque alcuni possedessero delle armi da fuoco.
– Lasciamoli venire – disse Malù. – Quando avranno provate le punte delle frecce piantate in terra, diverranno più prudenti e forse non ritenteranno l’attacco.
– Faremo poi fuoco a bruciapelo – disse il soldato. – Scalderemo per bene i loro dorsi.
Un uomo, il più audace e più agile della banda, era già giunto a dieci passi della trincea. D’improvviso emise un urlo di dolore e balzò indietro piroettando su se stesso.
– Fermi!... L’upas!... – aveva gridato con accento di terrore.
– Fuoco! – tuonò l’olandese.
Sette od otto spari rintronarono. Gli assalitori, che erano balzati in piedi, risposero con alcuni colpi di fucile, poi si ripiegarono in massa, quindi si dispersero nella foresta lasciando a terra alcuni morti e qualche moribondo.
– Ah!... Ah!... – esclamò il soldato, ricaricando precipitosamente la carabina. – Questo fuoco scalda per bene, giovinotti miei! Se potessi scaldare un po’ il muso di quel furfante di O’Paddy, sarei ben contento.
– Caricate subito – disse Held. – Quei birbanti ritornano.
Infatti gli assalitori si radunavano ancora dietro agli alberi. Si erano muniti di fastelli di foglie e di rami e ricominciavano ad avanzarsi.
È.... inutile.... disse il ferito con voce rantolosa. Pag. 212
– Cosa vogliono fare con quei fasci di legna? – chiese il soldato, con inquietudine. – Che abbiano intenzione di affumicarci?
– No – rispose Held. – Li getteranno sulle punte delle frecce per poter giungere fino a noi.
– Allora bisogna tenerli lontani.
– E con un fuoco nutrito, poichè mi pare che siano molti.
– Se non m’inganno, sono una quarantina, signor Held.
– Su, Dayachi-laut!... Su, Dayachi-darrat!... – gridò Kara-Olo. – Ecco il nemico!...
Gli assalitori, abbandonando ogni precauzione, si precipitavano verso le trincee incoraggiandosi con urla feroci. Gli Europei ed i Dayachi ricominciarono il fuoco, sparando nel più fitto dei nemici.
Alcuni uomini caddero, ma gli altri continuarono la corsa, e gettati i fasci di rami e di foglie sul terreno seminato di frecce mortali, si rovesciarono confusamente addosso ai difensori.
Avevano però trovati degli avversari degni di loro. I Dayachi avevano abbandonati i fucili ed impugnati i loro formidabili parangs-ilang.
L’urto fu terribile. Assaliti e assalitori lottavano con furore disperato, gli uni difendendo con accanimento senza pari le trincee e gli altri facendo sforzi sovrumani per superarle. Il soldato, Held e Dik, stretti contro Amely, si difendevano coi calci delle carabine, percuotendo furiosamente i crani ed i petti dei Malesi e dei Bughisi.
Ad un certo momento il soldato scorse, fra l’onda dei combattenti, un vestito bianco.
– O’Paddy!... – urlò.
Con impeto irresistibile rovesciò tre uomini che cercavano d’impadronirsi di Held, e si gettò fuori dalla trincea.
– Lando!... – gridò l’olandese.
Dik si era lanciato arditamente dietro al soldato, tempestando gli assalitori col calcio del suo piccolo fucile.
Ma che cosa succede?... Gli assalitori si sono arrestati e cercano di ripiegarsi proprio nel momento in cui stavano per superare le trincee.
Urla tremende scoppiano sotto la foresta ed una valanga d’uomini si scaglia alle spalle dei Bughisi e dei Malesi.
– I miei uomini!... Mio figlio!... – tuona Kara-Olo. – Avanti, Dayachi!
Gli assalitori, presi fra due fuochi, si disperdevano da tutte le parti, senza cercare di opporre resistenza. Già i Dayachi-laut, condotti dal figlio di Kara-Olo, li caricavano coi parangs-ilang e colle picche in pugno. In mezzo a quel tumulto, a quelle grida di vittoria e di morte ed ai colpi di fucile, si udì echeggiare la voce del soldato:
– A me, Malù!... A me, signor Dik!...
Il capo della scorta di Sulinari si slanciò. Il siciliano e Dik correvano disperatamente dietro ad un uomo vestito di bianco che ora appariva ed ora scompariva dietro ai cespugli ed ai tronchi d’albero.
S’udì uno sparo seguito da un grido di rabbia. Il soldato aveva fatto fuoco sul fuggiasco, ma l’aveva mancato.
– Il vostro fucile, signor Dik!... – gridò il siciliano. – Presto o ci sfugge.
– Eccolo – rispose il ragazzo. – È caricò.
Rintronarono altri due spari. L’uomo che fuggiva s’arrestò, emettendo un’imprecazione, fece alcuni passi vacillando, poi cadde ai piedi d’un sagù.
Il soldato gli si slanciò addosso col calcio del fucile alzato, pronto a ucciderlo.
– È... inutile... – disse il ferito, con voce rantolosa. – Ero... nato... sotto una... cattiva... stella e dovevo... finir... male.
– Canaglia!... – urlò il siciliano. – Mi riconosci, O’Paddy?...
– Sto... per morire... ma ci vedo... ancora – disse l’irlandese, sforzandosi a sorridere. – Il milione... mi ha portato... disgrazia...
– Qual milione?...
Il ferito alzò il capo e fissò i suoi occhi semispenti sul piccolo Dik, che era allora giunto.
– Vostra... sorella... è viva... ancora?... – gli chiese.
– Sì – rispose il ragazzo.
– Ed il... signor Held?...
– Anche.
– Mi rimangono forse... cinque minuti di... vita... e vorrei... parlare con loro... e riparare... in parte... il male che ho... cagionato a voi... Presto... chiamateli... ho ricevuto due colpi... nel petto.
– È inutile chiamarli; eccoli che vengono – disse Lando.
L’olandese ed Amely, inquieti per l’assenza di Dik e del soldato, ed avendo udito quelle tre detonazioni, accorrevano seguiti da Kara-Olo e da una dozzina di Dayachi.
– Voi, O’Paddy?... – esclamò l’olandese, quando se lo vide dinanzi. – Disgraziato!... Dio vi ha punito.
Un pallido sorriso sfiorò le labbra dell’uomo di mare, poi rialzandosi con uno sforzo supremo e rivolgendosi ad Amely che lo fissava con uno sguardo commosso, disse:
– Mi perdonate voi?... Sono moribondo.
– Vi perdono, signor O’Paddy – rispose la ragazza.
– E voi?... – chiese rivolgendosi all’olandese, a Dik ed al soldato.
– Sì, O’Paddy – risposero i due primi.
– Vada pel perdono – disse il siciliano, dopo una breve esitazione.
– Grazie... avvicinatevi... voglio che sappiate... tutto. Mi avevano promesso un milione... Ho speronato l’Oregon, sperando di farlo andare... a picco, coi documenti, poi vi ho condotti alla costa... sperando di farvi prigionieri e di regalarvi come schiavi al Sultano di Semmeridam... Mi avevano proibito di uccidervi ed ho voluto risparmiarvi... mentre avrei potuto uccidervi venti volte... Fallito il colpo, dopo la fucilata sparatami dal marinaio, la cui palla mi aveva ferito leggermente al capo... avevo radunato dei Malesi e dei Bughisi per assalirvi prima che aveste potuto giungere al Koti... Affrettatevi... imbarcatevi... perchè troverete... un altro erede già insediato nell’abitazione del vostro defunto zio... signorina Amely... signor Dik... Gli scrissi venti giorni or sono... che voi eravate perduti nelle foreste del Borneo... che non sareste più mai ritornati a Timor... e sarà già laggiù...
– Ma chi è che vi ha pagato?... – chiese Held. – Chi è quest’uomo che si è impadronito dell’eredità?...
– È... è...
O’Paddy ricadde. I suoi occhi s'erano coperti come d’un velo e un getto di sangue gli era uscito dalle labbra.
– Il suo nome!... Il suo nome!... – esclamò Held.
O’Paddy riaprì gli occhi semi-chiusi, fece uno sforzo supremo e mormorò con un filo di voce:
– Wan-Baer!...
Poi ricadde, rinchiuse gli occhi e stramazzò a terra.
O’Paddy aveva cessato di vivere.