<dc:title> I fioretti di Sancto Francesco </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Anonimo</dc:creator><dc:date>XIV secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Anonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XXVI&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240630142335</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XXVI&oldid=-20240630142335
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Come tre ladroni si convertirono e fecionsi frati di sancto Francesco, e l’uno vide una maravigliosa visione.
S
ancto Francesco andò una volta per lo distretto dello Borgo a Sancto Sipolcro, e passando per uno castello che si chiamava Monte Casale, venne a lui uno giovane nobile e molto dilicato, e disse: — Padre, io vorrei molto volentieri essere de’ vostri frati. — Rispose sancto Francesco: — Figliuolo, tu se’ giovane, dilicato e nobile; forse che tu non potresti sostenere la povertà e l’asprezza nostra. — Et elli: — Padre, non sete voi [p. 97modifica][p. 98modifica]uomini com’io? dunque come le sostenete voi, cosí potrò io, colla grazia di Cristo. — Piacque molto a sancto Francesco quella risposta: di che, benedicendolo, immantanente lo ricevette all’Ordine, e posegli nome frate Agnolo. E portossi questo giovane sì graziosamente, che ivi a poco tempo sancto Francesco il fece guardiano nello luogo dello detto Monte Casale. In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, i quali facevano molti mali nella contrada; i quali vennono un dí allo detto luogo de’ frati, e pregarono il detto frate Agnolo guardiano, che desse loro mangiare. Il guardiano risponde loro in questo modo, riprendendogli aspramente: — Voi ladroni e crudeli omicide, non vi vergongnate di rubare le fatiche altrui; ma, eziandio come presontuosi et isfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate a’ servi di Dio, che non sete pur degni che la terra vi sostenga; però che voi non avete niuna riverenza né a uomini, né a Dio che vi criò; andate dunque per gli fatti vostri, e qui non apparite piú. Di che coloro, turbati, si partirono con grande isdegno. Et ecco sancto Francesco tornare di fuori colla tasca dello pane e con uno vasello di vino, il quale elli e lo compagno avieno accattato; e recitandogli il guardiano com’egli avea cacciato coloro, sancto Francesco forte lo riprese, dicendogli: — Tu ti se’ portato crudelemente; imperò che i peccatori meglio si inducono a Dio con dolcezza, che con crudeli [p. 99modifica]riprensioni: onde il nostro maestro Cristo, il cui evangelio noi abbiamo promesso d’osservare, dice che non è bisogno a’ sani il medico, ma alli infermi, e che non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenzia, e però egli ispesse volte mangiava con loro. Conciò sia cosa, adunque, che tu abbi fatto contro alla carità e contro allo sancto evangelio di Cristo, io ti comando, per sancta obbedienza, che immantanente tu prenda questa tasca dello pane ch’io ò accattato, e questo vasello dello vino, e va loro dietro sollecitamente per monti e per valli, tanto che tu gli ritruovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino da mia parte; e poi t’inginocchia loro innanzi e di loro umilemente tua colpa della tua crudeltà; e poi gli priega, da mia parte, che non facciano piú male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s’egli faranno questo, io prometto loro di provvedergli ne’ loro bisogni e di dar loro continuamente da mangiare e da bere; e quando tu arai detto loro questo, ritornati qua umilemente. — Mentre che lo detto guardiano andò a fare il comandamento di sancto Francesco, elli si puose in orazione e pregava Iddio che ammorbidasse i cuori di que’ ladroni, e convertissegli penitenzia. Giunse a loro l’ubbidiente guardiano e presentò loro il pane et il vino; e fa e dice ciò che sancto Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio, mangiando questi ladroni la limosina di sancto Francesco, cominciarono dire [p. 100modifica]insieme: — Guai a noi miseri isventurati, come dure pene dello inferno ci aspettano, i quali andiamo, non solamente rubando i prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo; e nondimeno di tanti mali e di cosí iscellerate cose, come noi facciamo, non abbiamo niuno rimordimento di coscienza, né timore di Dio; et ecco questo frate sancto che è venuto a noi, e per parecchie parole che elli ci disse giustamente per la nostra malizia, ci à detto umilemente sua colpa; et oltre a ciò, sí ci à recato il pane e lo vino, e cosí liberale promessa dello sancto padre. Veramente questi frati sono sancti di Dio, quali meritano paradiso: e noi siamo figliuoli della eterna dannazione, li quali meritiamo le pene dello inferno, et ogni di acresciamo la nostra perdizione, e non sappiamo se de’ peccati che noi abbiamo fatti insino a qui, noi potremo trovare misericordia da Dio! — Queste e simiglianti parole dicendo l’uno di loro, dissono gli altri due: — Per certo tu dí il vero; ma ecco: che dobbiamo noi fare? — Andiamo, — disse costui, — a sancto Francesco, e s’egli ci dà isperanza che noi possiamo trovare misericordia da Dio de’ nostri peccati, facciamo ciò ch’elli comanda e possiamo liberamente le nostre anime delle pene dello inferno iscampare. — Piacque questo consiglio agli altri, e cosí tutti e tre accordati, se ne vennono in fretta a sancto Francesco e dissongli cosí: — Padre, noi, per molti et iscellerati peccati che noi [p. 101modifica]abbiamo fatti, non crediamo potere trovare misericordia da Dio: ma se tu ài niuna isperanza che Dio ci riceva a misericordia, ecco, noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai, e fare penitenzia con teco. — Allora sancto Francesco, ricevendogli caritativamente e con beningnità, si gli confortò con molti assempri, e rendégli certi della misericordia di Dio infinita, e se noi avessimo infiniti peccati, ancóra la divina misericordia è maggiore, e secondo il Vangelio; e lo apostolo sancto Paulo disse: — Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare i peccatori. — Per le quali parole e simiglianti ammaestramenti, i détti tre ladroni rinunziarono allo demonio e alle sue operazioni, e sancto Francesco li ricevette all’Ordine, e cominciarono a fare grande penitenzia; e due di loro poco vissono dopo la conversione, e andaronsi a paradiso; ma il terzo, sopravivendo e ripensando i suoi peccati, si diede a fare tale penitenzia, che per xv. anni continui, eccette le quaresime comuni, le quali elli faceva colli altri frati d’altro tempo, sempre tre di della settimana digiunava in pane et acqua, et andando sempre iscalzo e con una sola tonica indosso, mai non dormía dopo mattutino. In fra questo tempo sancto Francesco passò di questa misera vita. Abbiendo dunque costui per molti anni continuata cotale penitenzia, eccoti che una notte, dopo mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno, che per niuno modo poteva risistere al sonno, e [p. 102modifica]vegghiare siccome solea. Finalmente, non potendo elli resistere al sonno né orare, andossene in sullo letto per dormire, e súbito, com’elli ebbe posto il capo giue, fu ratto e menato in ispirito in uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di lá sassi ispezzati et ischeggiosi et iscogli disuguali, che uscivano fuori de’ sassi, di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l’agnolo che menava questo frate, si lo sospinse e gittollo giú per questa ripa; il quale, trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio, e di sasso in sasso, alla fine giunse al fondo di questa ripa tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui pareva; e giacendosi cosí malconcio in terra, disse colui che lo menava: — Leva su, che ti conviene fare ancóra gran viaggio. — Risponde il frate: — Tu mi pari indiscreto e crudele uomo, ché mi vedi per morire della caduta che m’à cosí ispezzato, e dimmi leva su! — E l’agnolo s’accosta a lui e, toccandolo, gli salda perfettamente tutti i membri e sanollo; e poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga a fine; nello quale egli vedeva una fornace ardente, nella quale gli convenía entrare. Abbiendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l’angiolo gli dice: — Entra in questa fornace, però che cosí ti conviene fare. — Risponde [p. 103modifica]costui: — Oimmé, quanto mi se’ crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, et ora per riposo mi dí ch’io entri in questa fornace ardente! — E riguardando costui, e’ vide intorno alla fornace molti dimoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perché indugiava d’entrare, sí vel sospinsono dentro subitamente. Entrato ch’elli fu nella fornace, riguarda, e videvi uno ch’era istato suo compare, il quale ardeva tutto quanto, e costui il domanda — O compare isventurato, come venisti tu qua? — Et elli risponde: Va un poco piú innanzi, e troverai la moglie mia tua comare, la quale ti Andarà la cagione della nostra dannazione. — Andando il frate piú oltre, eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura di grano, tutta di fuoco: et elli la domanda: — O comare isventurata e misera, perché venisti tu in cosí crudele tormento? — Et ella rispose: — Imperò che al tempo della grande fame, la quale sancto Francesco predisse dinanzi, il marito mio et io falsavamo il grano e la biada, che noi vendevamo nella misura, e peró io ardo istretta in questa misura. — E détte queste parole, l’angiolo che menava questo frate, sí lo sospinse fuori della fornace, e poi gli disse: — Apparecchiati a fare uno orribile viaggio, il quale tu ái a passare. — E costui, rammaricandosi, diceva: — O durissimo conducitore, il quale non m’ài niuna compassione; tu vedi ch’io sono quasi tutto arso in questa for[p. 104modifica]nace, et anche mi voli menare in viaggio pericoloso! — Allora l’angiolo toccò e fecielo sano e forte, e poi lo menò a uno ponte, il quale non si poteva passare sanza grande pericolo, imperò ch’elli era molto sottile et istretto e molto isdrucciolente, sanza isponde da lato, e di sotto passava uno fiume terribile, pieno di serpenti, e di dragoni e scarpioni, e gittava uno grandissimo puzzo; e l’angiolo gli disse: Passa questo ponte, che al tutto ti conviene passare. Risponde costui: — E come il potrò io passare, ch’io non caggia in quello pericoloso fiume? — Disse l’angiolo: — Vieni dopo me e poni tuo pié dove tu vedrai ch’io porrò il mio, e cosí passerai bene. — Passa questo frate dietro allo angiolo, com’egli avea insegnato, tanto che elli giunse a mezzo il ponte; et essendo cosí in sullo mezzo, l’angiolo si voló via, e partendosi da lui se n’andò in su uno monte altissimo, al di lá assai di questo ponte. E costui considerava bene il luogo dov’era volato l’angiolo; ma rimanendo elli sanza guidatore e raguardando giú, vedea quelli animali terribili stare co’ capi fuori della acqua e colle bocche aperte, apparecchiati a divorarlo, s’elli cadesse. Era in tanto tremore, che per niun modo non sapea che si fare né che si dire, però che non potea tornare indietro né andare innanzi; onde, veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro rifugio che solo Iddio, sí si chinò et abracciò il ponte con tutto il cuore, e con lagrime si raccomanda a Dio, [p. 105modifica]che per la sua santissima misericordia il dovesse soccorrere. E fatta l’orazione, gli parve cominciare a mettere alie, di che elli con grande allegrezza aspettava ch’elle crescessono, per potere volare, di là dallo ponte, lá dov’era volato l’angiolo. Ma dopo alcuno tempo, per la gran voglia ch’elli avea di passare questo ponte, si mise a volare e perché l’alie non eranle tanto cresciute, elli cadde in sullo ponte e le penne gli caddono; di che costui da capo abbraccia il ponte come prima, e raccomandasi a Dio; e fatta l’orazione, anche gli pare mettere alie; ma come prima non aspettò ch’elle cresciessono perfettamente: onde, mettendosi a volare anzi tempo, ricadde da capo sullo ponte, e le penne gli caddono; per la qual cosa veggendo che, per la fretta ch’egli avea di volare anzi tempo, elli cadeva, cosí cominció a dire tra sé medesimo: — Per certo, s’io metto alie la terza volta, io aspetterò tanto ch’elle saranno sí grandi, ch’io potrò volare sanza ricadere. — Et istando in questo pensiere, elli si vide la terza volta mettere alie, et aspetta grande tempo, tanto ch’elle erano bene grandi; e parevagli, per lo primo e secondo e terzo mettere d’alie, avere aspettato bene cl. anni o piú. Alla fine si leva questa terza volta, con tutto il suo isforzo, a vòlito, e voló in alto insino allo luogo dov’era volato l’angiolo; e bussando alla porta dello palagio nello quale egli era, il portinaio il domandò: — Chi se’ tu, che se’ venuto qua? Risponde il frate: — Io sono [p. 106modifica]frate minore. — Dice il portinaio: — Aspettami, che ci voglio menare sancto Francesco a sapere s’elli ti conosce. — Andando colui per sancto Francesco, questi comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; et eccoti queste mura pareano tralucenti di tanta chiarità, ch’elli vedea chiaramente i cori de’ santi e ciò che dentro si faceva. Et istando costui istupefatto in questo riguardare, ecco venire sancto Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo sancto Francesco tanta moltitudine di santi e di sante, che avieno seguíta la vita sua, che quasi pareano innumerabili. Giugnendo sancto Francesco, disse allo portinaio: — Lascialo entrare, però ch’egli è de’ miei frati. — Sí tosto come fu entrato dentro, sentí tanta consolazione e tanta dolcezza, che elli dimenticò tutte le tribulazioni ch’elli avea aute, come se mai non fossono istate. Et allora sancto Francesco, menandolo per dentro, sí mostra molte cose maravigliose; e poi gli disse: — Figliuolo, e’ ti conviene ritornare allo mondo, et istarvi sette dí, ne’ quali tu t’apparecchia diligentemente con ogni divozione; imperò che dopo i sette dí, io verrò per te et allora tu verrai meco a questo luogo de’ beati. — Et era sancto Francesco ammantato d’uno mantello maraviglioso, adornato di stelle bellissime; e le sue cinque Istimate erano come cinque istelle bellissime e di tanto isprendore, che tutto il palagio alluminavano colli loro raggi. E frate Bernardo avea in capo una corona [p. 107modifica]di stelle bellissima, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi frati tra loro conobbe, i quali nello mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da sancto Francesco, si ritornò, benché mal volentieri, al mondo. Distandosi, e ritornando in sé e risentendosi, i frati sonavano a prima; sicch’elli non era istato in quella visione se non da mattutino a prima, benché a lui fosse paruto istare molti anni. E recitando allo suo guardiano tutta questa visione per ordine, infra i sette dí si cominciò a febbricare e lo ottavo dí venne a lui sancto Francesco, secondo la promessa, con grandissima moltitudine di groliosi santi, e menonne l’anima sua allo regno de’ beati di vita eterna. A laude di Cristo. Amen.