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vegghiare siccome solea. Finalmente, non potendo elli resistere al sonno né orare, andossene in sullo letto per dormire, e súbito, com’elli ebbe posto il capo giue, fu ratto e menato in ispirito in uno monte altissimo, al quale era una ripa profondissima, e di qua e di lá sassi ispezzati et ischeggiosi et iscogli disuguali, che uscivano fuori de’ sassi, di che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l’agnolo che menava questo frate, si lo sospinse e gittollo giú per questa ripa; il quale, trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio, e di sasso in sasso, alla fine giunse al fondo di questa ripa tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui pareva; e giacendosi cosí malconcio in terra, disse colui che lo menava: — Leva su, che ti conviene fare ancóra gran viaggio. — Risponde il frate: — Tu mi pari indiscreto e crudele uomo, ché mi vedi per morire della caduta che m’à cosí ispezzato, e dimmi leva su! — E l’agnolo s’accosta a lui e, toccandolo, gli salda perfettamente tutti i membri e sanollo; e poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti, e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga a fine; nello quale egli vedeva una fornace ardente, nella quale gli convenía entrare. Abbiendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l’angiolo gli dice: — Entra in questa fornace, però che cosí ti conviene fare. — Risponde