<dc:title> I fioretti di Sancto Francesco </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Anonimo</dc:creator><dc:date>XIV secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Anonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_LVII&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240705065025</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_LVII&oldid=-20240705065025
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Della terza considerazione, cioè come a sancto Francesco apparveno le Stimate groliose di Cristo benedetto.
Q
uanto alla terza considerazione, cioè della apparizione serafica et impressione delle Istimate, è da considerare che appressandosi la festa della Croce di settembre, andò una notte frate Lione all’ora usata per dire Mattutino con sancto Francesco, e dicendo di capo dal ponte, siccome elli era usato: — Domine labia mea aperies, — e sancto Francesco non rispondendo, frate Lione non tornò a dietro, siccome santo Francesco gli avea comandato; ma con buona e sancta intenzione passò il ponte, et entrò pianamente in cella sua. E non trovandolo, si pensò ch’elli fosse per la selva in qualche luogo in orazione; diché elli esce fuori, et allo lume della luna il va cercando pianamente per la selva, e finalmente elli udí la voce di sancto Francesco, et appressandosi a lui sí lo vide istare ginocchione colla faccia e colle mani levate a cielo, et in fervore di spirito sí diceva: — Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio, e chi sono io vilissimo vermine e disutile servo tuo? [p. 229modifica][p. 230modifica]— E queste parole medesime pur ripeteva, e non diceva niuna altra cosa. Per la qual cosa frate Lione forte maravigliandosi di ciò, levò gli occhi e guatò in cielo, e guatando elli vide venire di cielo una fiaccola di fuoco bellissima et isprendidissima, la quale discendendo si posò sopra ’l capo di sancto Francesco, e della detta fiamma udiva uscire una voce, la quale parlava con sancto Francesco; ma esso frate Lione non intendeva le parole. Veggendo questo e reputandosi indegno di stare cosí presso a quello luogo santo, dov’era quella mirabile apparizione, e temendo ancóra d’offendere sancto Francesco e disturbarlo della sua consolazione se da lui elli fosse sentito, elli si tirò pianamente a dietro, et istando da lunge aspettava di vedere il fine. E guardando fiso, vide sancto Francesco istendere tre volte le mani alla fiamma, e finalmente dopo grande ispazio vide la fiamma ritornarsi in cielo; di che elli si muove sicuro et allegro della visione, e tornavasi alla cella sua; et andando elli sicuramente, sancto Francesco lo senti allo stropiccío de’ piedi sopra le foglie, e comandògli ch’elli l’aspettasse e non si movesse. Allora frate Lione obbediente istette fermo, et aspettollo con tale paura che, secondo ch’elli poscia recitò a’ compagni, in quello punto egli arebbe piuttosto voluto che la terra il tranghiottisse che aspettare sancto Francesco, il quale elli pensava essere contro a lui turbato; imperò che con somma diligenzia elli si guardava d’of[p. 231modifica]fendere la sua paternità, acciò che per sua colpa sancto Francesco nollo privasse della sua compagnia. Giugnendo dunque a lui sancto Francesco, e’ domandollo: — Chi se’ tu? — E frate Lione, tutto tremante, rispose: — Io sono frate Lione, padre mio. — E sancto Francesco a lui: — Perché venisti qua, frate pecorella? Non t’ò io detto che tu non mi vada osservando? Dimmi per santa obbedienza se tu vedesti o udisti nulla? — Rispose frate Lione: — Padre, io t’udii parlare e dire piú volte: Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio, e chi sono io vermine vilissimo, e disutile servo tuo? — Et allora inginocchiandosi frate Lione dinanzi a sancto Francesco, si rendé in colpa della disubbidienza ch’elli avea fatta contro allo suo comandamento; e chiesegli perdonanza con molte lagrime. Et espresso sí lo priega divotamente che gli sponga quelle parole ch’elli avea udite, e dicagli quelle ch’elli non avea intese. Allora, veggendo sancto Francesco che Iddio allo umile frate Lione per la sua simplicità e purità avea revelato overo conceduto di vedere alcune cose, sí gli condiscese a rivelargli et isporgli quello ch’elli adomandava, e disse cosí: — Sappi, frate pecorella di Jesú Cristo, che quando io diceva quelle parole che tu udisti, allora erano mostrati all’anima mia due lumi, l’uno della notizia e conoscimento dello Criatore; l’altro dello conoscimento di me medesimo. Quando diceva: Chi se’ tu, dolcissimo Iddio mio, allora io era in un lume di [p. 232modifica]contemplazione, nello quale io vedea l’abisso della infinita bontà e sapienza e potenzia di Dio; e quando io diceva: Chi sono io, ecc., io era in lume di contemplazione, nello quale io vedea il profondo lacrimoso della mia viltà e miseria. E però diceva: Chi se’ tu, Signore d’infinita bontà e sapienza e potenzia, che degni di visitare me, che sono vile vermine abbominevole? Et in quella fiamma che tu vedesti, era Iddio, il quale in quella ispezie mi parlava, come avea anticamente parlato a Moisè: tra l’altre cose ch’elli mi disse, sí mi chiese ch’io gli facessi tre doni, et io gli rispondea: Signor mio, io sono tutto tuo; tu sai bene ch’io non ò altro che la tonica e la corda et i panni di gamba, e queste tre cose anche sono tue. Che dunque posso io offerere o donare alla tua maestà? Allora Iddio mi disse: Cércati in grembo, et offerami quello che tu vi troverai. Io cercai e trovai una palla d’oro e sí la ofersi a Dio; e cosí feci tre volte, secondo che Dio tre volte me lo comandò: e poi m’inginocchiai tre volte, e benedissi e ringraziai Iddio, il quale mi avea dato che offerere; et immantenente mi fu dato ad intendere che quelle tre oferte significavano la santa obbedienzia, l’altissima povertà, e la sprendentissima castità; le quali Iddio per grazia sua m’à conceduto d’osservare sí perfettamente, che di nulla mi riprende la coscienza. E siccome tu vedevi mettere le mani in grembo et offerere a Dio queste tre virtú, significate per quelle tre [p. 233modifica]palle dell’oro, le quali Iddio m’avea poste in grembo; cosí m’à Iddio donato virtú nell’anima mia che di tutti i beni e di tutte le grazie che elli m’à concedute per la sua santissima bontà, io sempre collo cuore e colla bocca ne lo lodo Ma guarda, frate pecorella, che tu non mi vadi piú osservando; e tornati alla cella tua colla benedizione di Dio, et abbi sollecita cura di me; imperò che di qui a pochi di Iddio farà sí grandi e sí maravigliose cose in su questo monte, che tutto il mondo se ne maraviglierà; però ch’elli •farà alcune cose nuove, le quali elli non fece mai a veruna criatura in questo mondo. — E détte queste parole, elli si fece recare il libro de’ Vangeli; però ch’Iddio gli aveva messo nell’animo che nello aprire tre volte il libro de’ Vangeli gli sarebbe dimostrato quello che a Dio piaceva di fare di lui. E recato che fu il libro, sancto Francesco si gitta in orazione, e compiuta l’orazione si fece tre volte aprire il libro per mano di frate Lione nello nome della santa Trinità, e come piacque alla divina disposizione, in quelle tre volte sempre gli si parò innanzi la passione di Cristo; per la qual cosa gli fu dato ad intendere che come egli avea seguitato Cristo nelli atti della vita, cosí il dovea seguitare et a lui conformarsi nelle afrizioni e dolori della passione, prima ch’elli passasse da questa vita. E da quello punto in[p. 234modifica]nanzi santo Francesco cominciò a gustare et a sentire piú abondantemente la dolcezza della divina contemplazione e delle divine visitazioni. Tra le quali elli n’ebbe una immediata e preparativa all’impressione delle Istimate, in questa forma. Il dí ch’era innanzi alla festa della Croce di settembre, istandosi sancto Francesco in orazione segretamente in cella sua, sí apparve l’angiolo di Dio, e dissegli dalla parte di Dio: — Io ti conforto et ammonisco che tu ti apparecchi e disponghi umilemente con ogni pazienzia a ricevere ciò che Dio vorrà in te fare. — Risponde sancto Francesco: — Io sono apparecchiato a sostenere pazientemente ogni cosa che il mio Signore mi vole fare; — e detto questo l’angiolo si partí. Viene il dí seguente, cioé il dí della Croce, e sancto Francesco la mattina per tempo anzi dí si gitta in orazione dinanzi all’uscio della sua cella, volgendo la faccia verso levante, e orava in questa forma: — Signore mio Jesú Cristo, due grazie ti prego che mi facci innanzi che io muoia, La prima è che in vita mia io senta nella anima e nello corpo mio quanto è possibile quello dolore che tu, dolce Jesú, sentisti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda è ch’io senta quanto è possibile quello eccessivo amore dello quale tu, figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori. Et istando lungamente in questo priego, sí intese che Iddio lo esaudirebbe, e che, quanto fosse [p. 235modifica]possibile a pura criatura, tanto gli sarebbe conceduto di sentire le predette cose in breve. Abbiendo sancto Francesco questa promessa, cominciò a contemplare divotissimamente la passione di Cristo e la sua infinita carità; e cresceva tanto in lui il fervore della divozione, che tutto si trasformava in Gesú per amore e per compassione. Et istando cosí et infiammandosi in questa contemplazione, in quella medesima mattina elli vide venire da cielo uno Serafino con sei alie risprendenti et affocate, il quale Serafino con veloce volare apressandosi a sancto Francesco, sicch’elli il potea discernere, e’ conobbe chiaramente ch’elli avea in sé immagine d’uomo crocefisso, e le alie erano cosí disposte, che due alie si stendeano sopra il capo, due se ne istendeano a volare et altre due coprivano tutto il corpo. Veggendo questo sancto Francesco, fortemente ispaventato et insieme fu pieno d’allegrezza e di dolore con ammirazione; avea grandissima allegrezza nello grazioso aspetto di Cristo, il quale gli appariva cosí dimesticamente e guatavalo cosí graziosamente; ma dall’altra parte, veggendolo confitto in croce, avea ismisurato dolore di compassione. Apresso si maravigliava molto di cosi istupenda e disusata visione, sappiendo bene che la infermità della passione non si confà colla immortalità dello spirito serafico; et istando in questa ammirazione, gli fu rivelato da colui che gli appariva, che per divina providenza quella vi[p. 236modifica]sione gli era mostrata in tal forma, acciò ch’elli intendesse, ma non per martirio corporale ma per incendio mentale, elli doveva essere tutto trasformato nell’espressa similitudine di Cristo crocefisso. In questa apparizione mirabile tutto il monte della Verna parea che ardesse di fiamma isprendentissima, la quale risprendeva et inluminava tutti i monti e le valli d’intorno, come fosse sopra la terra il sole; onde i pastori che vegghiavano in quelle contrade, veggendo il monte infiammato e tanta luce d’intorno, si ebbono grandissima paura, secondo ch’elli poi narrarono a’ frati, affermando che quella fiamma era durata sopra il monte della Verna per ispazio d’un’ora e piú. Similemente allo isprendore di questo lume, il quale risprendea nelli alberghi della contrada per le finestre, certi mulattieri che andavano in Romagna si levarono, credendo che fosse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro, e camminando videro il detto lume cessare e.levarsi il sole materiale.
Nella detta apparizione serafica Cristo, il quale appariva, parlò a sancto Francesco certe cose segrete et alte, le quali sancto Francesco giammai in vita sua non volle revelare a persona; ma dopo la vita sua le revelò secondo che si dimostra piú giú, e le parole furono queste: — Sai tu, — disse Cristo, — quello ch’io ò fatto? Io t’ò donato le Stimate, che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sei mio gonfaloniere, [p. 237modifica]e com’io il dí della morte mia discesi allo Limbo e tutte le anime ch’io vi trovai ne trassi in virtú di queste mie Istimate, cosí a te concedo che ogni anno il dí della morte tua tu vada al purgatorio e tutte le anime de’ tuoi tre Ordini, cioé de’ minori, suore e continenti, et eziandio delli altri che a te saranno istati molto divoti, li quali tu ritroverai, tu ne traghi in virtú delle tue Istimate e menigli alla grolia di paradiso, acciò che tu sei a me conforme nella morte come tu se’ nella vita. — Disparendo dunque questa visione mirabile, dopo grande ispazio e segreto parlare, lasciò nello cuore di sancto Francesco uno ardore eccessivo e fiamma d’amore divino, e nella sua carne lasciò una maravigliosa immagine et orma della passione di Cristo; onde immantanente nelle mani e ne’ piedi di sancto Francesco cominciarono ad apparire i segnali de’ chiovi in quello modo ch’elli avea allora veduto nello corpo di Jesú crocefisso, il quale gli era apparito in ispezie di serafino; e cosí parevano le mani et i piedi chiavellati nello mezzo con chiovi i cui capi erano nelle palme delle mani e nelle piante de’ piedi fuori della carne, e le loro punte riuscivano in sullo dosso delle mani e de’ piedi, intanto che parevano ritorti e ribaditi per modo che infra la ribatitura e ritorcitura loro, la quale riusciva tutta sopra la carne, agevolmente si sarebbe potuto mettere il dito della mano a modo come in uno anello, et i capi de’ chiovi erano tondi e [p. 238modifica]neri. Similemente nello costato ritto apparve una immagine d’una ferita di lancia, non saldata, rossa e sanguinosa, la quale poi ispesse volte gittava sangue dello santo petto di sancto Francesco, e insanguinavagli la tonica et i panni di gamba. Onde i compagni suoi, innanzi che da lui il sapessono, avveggendosi nondimeno ch’elli non iscopría le mani né piedi e che le piante delli piedi elli non potea porre in terra, apresso trovando sanguinosa la tonica et i panni di gamba quando gliele lavavano, certamente compresono ch’elli nelle mani e ne’ piedi e simigliantemente nello costato avea ispressamente impressa la immagine e similitudine di Cristo crocefisso; e bene che molto elli s’ingegnasse di nascondere e celare queste Istimate groliose cosí chiaramente impresse nella carne sua, e dall’altra parte veggendo che male le potea celare a’ compagni suoi familiari, nondimeno temendo di pubblicare i segreti di Dio, fu posto in grande dubbio s’elli dovesse revelare la visione serafica e la impressione delle Istimate, o no. Finalmente, per istimolo di coscienzia, elli chiamò a sé alquanti frati piú suoi dimestichi, e proponendo loro il dubbio sotto parole generali, non ispremendo il fatto, e’ chiese loro consiglio. Tra quali frati era uno di grande santità, il quale avea nome frate Illuminato. Costui era veramente illuminato da Dio; comprendendo che santo Francesco dovesse aver veduto cose maravigliose, sí gli rispose cosí: — Frate [p. 239modifica]Francesco, sappi che non per te solo, ma eziandio per gli altri Iddio ti mostra alcuna volta i suoi sagramenti; e però tu ái ragionevolmente a temere che, se tu tieni celato quello che Iddio ti ha mostrato per utilità altrui, tu non sia degno di reprinsione. — Allora sancto Francesco, mosso per questa parola, con grandissimo timore riferí loro tutto il modo e la forma della sopradetta visione, aggiugnendo che Cristo, il quale gli era apparito, gli avea detto certe cose, le quali elli non direbbe mai in vita sua. E bene che quelle piaghe santissime, in quanto gli erano impresse da Cristo, gli dessono al cuore grandissima allegrezza, nondimeno alla carne sua et a’ sentimenti corporali gli davano intollerabile dolore; di che, costretto per nicissità, elli elesse frate Lione tra gli altri piú semplice e piú puro, al quale elli si rivelò in tutto, e quelle sante piaghe gli lasciava toccare e vedere e fasciare con alcune pezzuole a mitigare il dolore et a ricevere il sangue che delle dette piaghe usciva e colava. Le quali fasciuole a tempo d’infermità elli si lasciava mutare ispesso eziandio in ogni dí, salvo che dallo giovedi sera infino allo sabato mattina; imperò che in quello tempo elli non voleva che per niuno uomo, rimedio o medicina gli fosse punto il dolore mitigato della passione di Cristo, la quale elli portava nello suo corpo; nello quale tempo il nostro signore Jesú Cristo era istato per noi preso, crucifixo, morto e seppellito. Adivenne [p. 240modifica]alcuna volta che, quando frate Lione gli mutava la fascia della piaga dello costato, sancto Francesco, per lo dolore ch’elli sentiva in quello ispiccare della fascia sanguinosa, puose la mano al petto di frate Lione; per lo quale toccare di quelle mani sagrate frate Lione sentiva tanta dolcezza di divozione nello cuore suo che poco meno elli cadeva in terra tramortito.
Finalmente, quanto a questa terza considerazione, abbiendo sancto Francesco compiuta la quaresima di santo Michele arcangiolo, si dispose per divina revelazione di tornare a santa Maria delli Angioli; ond’elli chiamò a sé frate Masseo e frate Angiolo, e dopo molte parole e santi ammaestramenti si raccomandò loro con ogni efficacia ch’elli poté quello monte santo, dicendo come a lui convenía insieme con frate Lione tornare a Santa Maria delli Angioli; e detto questo et accomiatandosi da loro e benedicendogli nello nome di Gesú crocifisso, condiscendendo a’ loro prieghi, porse loro le sue santissime mani adornate di quelle groliose Istimate a vedere et a toccare et a baciare, e cosí lasciandogli consolati si parti da loro e discese dello monte santo. A laude di Cristo. Ammen.