<dc:title> I fioretti di Sancto Francesco </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Anonimo</dc:creator><dc:date>XIV secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Anonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_LVI&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240704210505</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_LVI&oldid=-20240704210505
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Della seconda considerazione, e della conversazione di sancto Francesco co’ suoi compagni, e come Iddio il visitava, e delle battaglie dello dimonio.
L
a seconda considerazione si è della conversazione di sancto Francesco co’ compagni in sullo detto monte; e quanto a questa è da sapere che, udendo messere Orlando che sancto Francesco con tre compagni era salito per abitare in sullo monte della Verna, ebbene grandissima allegrezza, et il dí seguente si muove elli con molti dello suo castello, e vennorlo a visitare, portando dello pane e delle altre cose da vivere per lui e per gli suoi compagni. E giugnendo lassú, sí gli trovò istare in orazione, et appressandosi a loro, sí gli salutò. Allora sancto Francesco si rizzò e con grandissima carità et allegrezza ricevette messere Orlando colla sua compagnia; e fatto questo si posono a ragionare insieme. E dappoi che ebbero ragionato e sancto Francesco l’ebbe ringraziato dello divoto monte ch’elli gli avea donato, e della sua venuta, sí lo pregò ch’elli gli facesse fare una celluzza povera a pié d’uno faggio bellissimo, [p. 214modifica]il quale era di lunge dallo luogo de’ frati per una gittata di pietra; però che quello gli pareva luogo molto divoto et atto alla orazione. E messere Orlando immantanente la fece fare; e fatto questo, però che s’appressava la sera et era tempo di partirsi, sancto Francesco, anzi ch’elli partissono, predicó loro un poco, e poi, predicato ch’elli ebbe e data loro la benedizione, messere Orlando dobbiendosi partire, chiamò da parte sancto Francesco et i compagni suoi e disse loro: — Frati miei carissimi, e’ non è mia intenzione che in questo monte salvatico voi sosteniate niuna necisità corporale, per la quale voi possiate meno intendere alle cose ispirituali; e però io voglio, e questo vi dico per tutte le volte, che a casa mia voi mandate sicuramente per ogni vostro bisogno, e se voi facessi il contrario, io l’arei da voi forte per male. — E detto questo si parti colla sua compagnia, e tornossi allo castello di Chiusi. Allora sancto Francesco fece sedere i suoi compagni e sí gli ammaestrò dello modo della vita ch’ellino dovieno tenere ellino e chiunque religiosamente vole vivere ne’ romitorj; e tra l’altre cose singularmente impose loro l’osservanza della santa povertà, dicendo: — Non guardate tanto alla caritatevole proferta di messere Orlando, che voi in cosa niuna offendiate la vostra donna madonna la Povertà; abbiate di certo, che quanto noi piú ischiferemo la povertà, tanto piú il mondo ischiferà noi e piú nicisità pa tiremo. Ma se noi abbrac[p. 215modifica][p. 216modifica]ceremo bene istretta la santa povertà, il mondo ci verrà dietro e nutricheracci copiosamente. Iddio ci à chiamati in questa sancta Religione per salute dello mondo, et à posto questo patto tra noi e lo mondo, che noi diamo allo mondo buono assempro, et il mondo ci provegga nelle nostre nicissità. Perseveriamo dunque nella santa povertà; imperò ch’ella è via di perfezione e pegno et arra delle eterne ricchezze. — E dopo molte e belle e divote parole et ammaestramenti di questa materia sí conchiuse: — Questo è il modo dello vivere, il quale io impongo a me et a voi. E perciò che io mi veggio apressare alla morte, io intendo di starmi solitario e ricogliermi con Dio, et innanzi a lui piangere i miei peccati; e frate Lione, quando gli parrà, mi recherà un poco di pane et un poco d’acqua; e per nulla cagione lasciate venire a me veruno secolare, ma voi rispondete loro per me. — E détte queste parole diede loro la benedizione et andossene alla cella dello faggio, et i compagni si rimasono nello luogo con fermo proponimento di osservare i comandamenti di sancto Francesco. Ivi a pochi dí istando sancto Francesco allato alla detta cella, e considerando la disposizione dello monte e maravigliandosi delle grandi fessure et apriture di sassi grandissimi, si pose in orazione; et allora gli fu rivelato che quelle fessure cosí maravigliose erano istate fatte miracolosamente nell’ora della passione di Cristo, quando, secondo che dice [p. 217modifica][p. 218modifica]l’Evangelista, le pietre si spezzarono; e questo volle Iddio che singularmente apparisse in su quello monte della Verna a significare che in esso monte si deve rinnovellare la passione di Jesú Cristo nella anima sua per amore di compassione, e nello corpo suo per impressione delle Istimate. Auta ch’ebbe sancto Francesco questa revelazione, immantanente si racchiude in ceila e tutto si raccoglie in sé medesimo e disponsi a intendere il misterio di questa revelazione. E d’allora innanzi sancto Francesco per la continua orazione cominciò ad assaggiare piú ispesso la dolcezza della divina contemplazione; per la quale egli ispesse volte era sí ratto in Dio, che corporalmente elli era veduto da’ compagni elevato da terra e ratto fuori di sé. In questi cotali ratti contemplativi gli erano rivelate da Dio non solamente le cose presenti e le future, ma eziandio i segreti pensieri et appetiti de’ frati, siccome in sé medesimo provò frate Lione suo compagno in que’ dí. Il quale frate Lione, sostenendo dallo dimonio una grandissima tentazione non corporale ma ispirituale, sí gli venne grande voglia d’avere qualche cosa divota iscritta di mano di sancto Francesco, e pensava che se elli l’avesse, quella tentazione si partirebbe, o in tutto, o in parte; et abbiendo questo desiderio, per vergogna e per reverenzia non era ardito di dirlo a sancto Francesco. Ma a cui nollo disse frate Lione, si lo revelò lo Spirito santo. Diché sancto Francesco il chiamò a sé, e fe[p. 219modifica][p. 220modifica]cesi recare il calamaio e la penna e la carta, e colla sua mano iscrisse una lauda di Cristo secondo il desiderio dello frate et in fine fece il segno dello tau, e diedegliela, dicendogli: — Te’, carissimo frate, in infino alla morte tua la guarda diligentemente; che Dio ti benedica e guardi contro a ogni tentazione; non ti sgomentare perché tu abbi delle tentazioni; però ch’allora ti reputo io piú servo et amico di Dio, e piú t’amo quanto tu se’ piú combattuto dalle tentazioni. Veramente io ti dico che nullo si de’ riputare perfetto amico di Dio, insino a tanto ch’elli non è passato per molte tentazioni e tribolazioni. — Ricevendo frate Lione questa iscritta con somma divozione e fede, subitamente ogni tentazione si partí e tornandosi allo luogo, narrò a’ compagni con grande allegrezza quanta grazia Iddio gli avea fatta nello ricevere di quella iscritta di mano di sancto Francesco. E riponendola e serbandola, da quella ora innanzi il detto frate Lione con grande purità e buona intenzione cominciò ad oservare e considerare sollecitamente la vita di sancto Francesco; e per la sua purità elli meritò di vedere piú e piú volte sancto Francesco ratto in Dio e sospeso da terra, alcuna volta per ispazio d’altezza di tre braccia, alcuna di quattro, alcuna volta insino alla cima dello faggio, alcuna volta il vide levato in aria tanto alto et attorniato di tanto isprendore che elli appena il potea vedere. E che faceva, questo semplice frate, quando sancto Francesco [p. 221modifica]era sí poco levato da terra ch’egli il potea aggiugnere? Andava costui pianamente et abbracciavagli e baciavagli i piedi; e con lagrime diceva: — Iddio, abbi misericordia di me peccatore, e per gli meriti di questo santo uomo fammi trovare la grazia tua. Et una volta tra l’altre, istando elli cosí sotto i piedi di sancto Francesco, quando elli era tanto levato da terra ch’elli nollo potea toccare, elli vide una cedola iscritta di lettere d’oro discendere di cielo e porsi in sullo capo di sancto Francesco, nella quale cedola erano iscritte queste parole: — Qui è la grazia di Dio: — e poi ch’elli l’ebbe letta, sí la vide ritornare in cielo. Per lo dono di questa grazia di Dio, ch’era in lui, sancto Francesco non solamente era ratto in Dio per contemplazione estatica, ma eziandio alcuna volta era confortato di visione angelica; onde istandosi un dí sancto Francesco, e pensando della sua morte e dello istato della sua riligione dopo la vita sua, e dicendo:- Signore Iddio, che sarà dopo la mia morte della tua famiglia poverella la quale per la tua benignità ài commessa a me peccatore? Chi gli conforterà, chi gli correggerà, chi ti pregherà per loro? E simiglianti parole dicendo, sí gli apparve l’angiolo mandato da Dio, e confortandolo disse cosí: lo ti dico da parte di Dio che la professione dello Ordine tuo non mancherà infino al di dello giudizio, e non sarà niuno sí grande peccatore che s’egli amerà di cuore l’Ordine tuo, elli non trovi misericordia da [p. 222modifica]Dio, e nullo che per malizia perseguiti l’ordine tuo potrà lungamente vivere. Apresso, niuno molto reo nello Ordine tuo, il quale non coregga la sua vita, potrà molto perseverare nell’Ordine; e però non ti contristare se nella tua religione tu vedi alcuni frati non buoni, i quali non servano la regola come debbono, e non pensare però che questa Religione venga meno; imperò che sempre ve ne saranno molti e molti, i quali serveranno perfettamente la vita dello Vangelio di Cristo e la purità della regola; e que’ cotali immantanente dopo la vita corporale se n’andranno a vita eterna, sanza passare punto per purgatorio. Alquanti la serveranno meno perfettamente e quelli, innanzi ch’elli vadano a paradiso, saranno purgati in purgatorio; ma il tempo della purgazione loro ti sarà commessa da Dio. Ma di coloro che non servano punto della regola tua, non te curare, dice Iddio; però che non se ne cura elli. — E détte queste parole, l’angiolo si partí, e sancto Francesco rimase tutto confortato e consolato.
Appressandosi poi la festa dell’Assunzione della Donna, e sancto Francesco cerca opportunità di luogo piú solitario e segreto, nello quale elli possa piú solitario fare la quaresima di sancto Michele arcangiolo, la quale cominciava per la detta festa dell’Assunzione; ond’elli chiama frate Lione, e dicegli cosí: — Va et istà in sulla porta dello oratorio dello luogo de’ frati, e quando io ti [p. 223modifica]chiamerò e tu torna a me. — Va frate Lione, et istà in sulla porta, e sancto Francesco si dilunga uno pezzo e chiama forte. Udendosi frate Lione chiamare, torna a lui, e sancto Francesco gli disse: — Figliuolo, cerchiamo altro luogo piú segreto; onde tu non mi possa udire quando io ti chiamerò. — E cercando, ebbono veduto dallato dello monte dalla parte dello meriggio uno luogo segreto e troppo bene atto secondo la sua intenzione, ma non vi si poteva andare; però che dinanzi sí v’era una apritura di sasso molto orribile e paurosa; di che con grande fatica elli vi puosono suso uno legno a modo di ponte, e passarono di là. Allora sancto Francesco mandò per gli altri frati, e dice loro come egli intende di fare la quaresima di sancto Michele in quello luogo solitario, e però gli priega che gli vi facciano una celluzza, sicché per nullo suo gridare elli potesse essere udito da loro. E fatta la celluzza sancto Francesco disse loro: — Andatevene allo luogo vostro, e me lasciate qui solitario; però che collo aiuto di Dio io intendo di fare qui questa quaresima sanza istropiccio o perturbazione di mente, e però niuno di voi venga a me e né veruno secolare lo farete venire a me. Ma tu, frate Lione, solamente una volta il di verrai a me con un poco di pane e d’acqua, e la notte una volta all’ora dello Mattutino. Allora verrai con silenzio, e quando se’ in capo dello ponte, tu dirai: Domine labia mea aperies; e s’io ri[p. 224modifica]spondo, passa e vieni alla cella, e diremo insieme il Mattutino; s’io non ti rispondo, partiti immantanente. — E questo diceva sancto Francesco, però che alcuna volta era sí ratto in Dio che non udiva e non sentiva niente co’ sentimenti dello corpo. E detto questo, sancto Francesco diede loro la benedizione, ed elli si ritornarono allo luogo. Vegnendo dunque la festa della Assunzione, sancto Francesco cominciò la santa quaresima con grandissima astinenzia et asprezza macerando il corpo e confortando lo spirito con ferventi orazioni vigilie e disciprine; et in queste orazioni, sempre crescendo di virtú in virtú, disponea l’anima sua a ricevere i divini misterj e divini isprendori, et il corpo a sostenere le battaglie crudeli delli demonj, co’ quali ispesse volte combattea sensibilmente. E tra le altre fu una volta in quella quaresima che, uscendo uno dí sancto Francesco della cella in fervore di spirito, et andando ivi assai presso a stare in orazione, in una tomba d’uno sasso cavato, dalla quale insino giú a terra è una grandissima altezza et orribile e pauroso precipizio, subitamente venne il dimonio con tempesta e rovina grandissima in forma terribile, e percuotelo per sospignerlo quindi giuso. Diché sancto Francesco non avendo dove fuggire e non potendo sofferire l’aspetto crudelissimo dello dimonio, di súbito si rivolse colle mani e collo viso e con tutto il corpo allo sasso, e raccomandossi a Dio, brancolando colle [p. 225modifica]mani se a cosa niuna elli si potesse appigliare. Ma, come piacque a Dio, il quale non lascia mai tentare i servi suoi piú ch’elli possano portare, subitamente per miracolo il sasso, al quale elli s’accostò, si cavò secondo la forma dello corpo suo, e sí lo ricevette in sé a modo come s’egli avesse messe le mani et il viso in una cera liquida. Cosí nello detto sasso s’improntò la forma dello viso e delle mani, e cosí aiutato da Dio iscampò dinanzi allo dimonio. Ma quello che lo dimonio non poté fare allotta a sancto Francesco, di sospignerlo quindi giuso, sí fece poi a buono tempo dopo la morte di sancto Francesco a uno suo caro e divoto frate, il quale in quello medesimo luogo, acconciando alcuni legni, acciò che sanza pericolo vi si potesse andare per divozione di sancto Francesco e dello miracolo ivi fatto, un dí il dimonio il sospinse quando elli avea in capo uno legno grande, il quale elli voleva acconciarvi, e sí lo fece cadere quindi giuso con quello legno in capo. Ma Iddio, ch’avea campato e preservato sancto Francesco dello cadere, per gli suoi meriti campò e preservò il divoto frate suo dello pericolo della caduta. Onde, cadendo, il detto frate con grande divozione et alta voce si raccomandò a sancto Francesco, et elli subitamente gli apparve, e pigliandolo sí lo posò giú in su’ sassi sanza niuna percossa o lesione; onde, abbiendo udito gli altri frati il grido di costui, quando cadde, e credendo ch’elli fosse morto [p. 226modifica]e minuzzato per l’alta caduta in su sassi taglienti, con grande dolore e pianto presono il cataletto, et andavano dall’altra parte dello monte per recarne i pezzi dello corpo suo e sotterrargli. Et essendo discesi giú dello monte, questo frate che era caduto gli scontrò con quello legno in capo collo quale elli era caduto, e cantava il Te Deum laudamus ad alta voce. E maravigliandosi i frati fortemente, elli narrò loro per ordine tutto il modo dello suo cadere, e come sancto Francesco l’avesse campato da ogni pericolo. Allora tutti i frati insieme con lui ne vennono allo luogo cantando il Te Deum, e lodando e ringraziando Iddio e sancto Francesco dello miracolo che avea adoperato nello frate suo.
Proseguendo dunque sancto Francesco, come detto è, la detta quaresima, benché molte bat taglie sostenesse dal dimonio, nondimeno molte consolazioni riceveva da Dio, non solamente per visitazioni angeliche, ma eziandio per uccelli salvatichi; imperò che in tutto quello tempo della quaresima uno falcone, il quale nidificava ivi presso alla sua cella, ogni notte un poco arzi Mattutino collo suo canto e collo dibattersi alla cella sua sí lo destava, e non si partiva insino ch’elli si levava su a dire il Mattutino; e quando sancto Francesco fosse piú lasso una volta che un’altra, o debile o infermo, questo falcone a modo, come persona discreta o compassiva, sí cantava piú tardi. E cosí di questo orilogio sancto [p. 227modifica]Francesco prendeva grande piacere; però che la sollecitudine dello falcone iscacciava da lui ogni pigrizia e sollecitavalo ad orare; et oltre a questo, di dí si stava alcuna volta dimesticamente con lui.
Finalmente, quanto a questa seconda considerazione, essendo sancto Francesco molto indebolito dello corpo, tra per la astinenzia grande e per le battaglie delli dimonj, vogliendo elli collo cibo ispirituale delle anime confortare il corpo, cominciò a pensare della ismisurata grolia e gaudio de’ biati di vita eterna; e sopra ciò incominciò a pregare Iddio, che gli concedesse grazia d’assaggiare un poco di quello gaudio. Et istando in su questo pensiere, súbito gli apparve uno angiolo con grandissimo isprendore, il quale avea una viola nella mano sinistra e lo archetto nella ritta, et istando sancto Francesco tutto istupefatto nello aspetto di quello angiolo, esso menò una volta l’archetto in su sopra la viola, e subitamente tanta soavità di melodia indolcí l’anima di sancto Francesco e sospesela sí da ogni sentimento corporale, che, secondo ch’elli recitò poi a’ compagni, elli dubitava, se lo angiolo avesse tirato l’archetto in giú, che per intollerabile dolcezza l’anima si sarebbe partita dallo corpo.