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[p. 181 modifica]indumento vestita, et un’altra induta de immortale colore verdigiante, le quale ancora retro di tutte le cantatrice cantavano. Cusì dunque iucundissime gyravano circinante per tutta la florida et amoenissima planitie. Alcuni laureati, et tali Mirteati, et di multiplice strophiole et variato decoramento, cum solemnissime prece, cum religioso discorso divo et triumphale, sencia termine et finitione, sencia fastidio, et sencia faticha, cum summa sacietate de ogni oblectamento, gloriosamente godendo, et mutuamente gli divini aspecti fruendo, et gli foelicissimi regni, et la sancta patria sencia intermissione quetamente beatissimi possedono.


LA NYMPHA HAVENDO COMPETENTEMENTE AL SUO POLIPHILO, GLI TRIUMPHALI MYSTERII ET EL DIVINO AMORE DECHIARITO. D’INDI PIÙ OLTRA LO INVITA PROCEDERE, OVE ANCORA CUM SUMMO DILECTO INNUMERE ALTRE NYMPHE VIDE. CUM GLI SUI QUAM GRATISSIMI AMANTI, IN MILLE SOLACII PER LI FLORI DELECTANTISE, ET PER LE FRESCHE OMBRE ET CHIARI RIVULI ET LYMPIDISSIMI FONTI, ET COMO POLIPHILO FORTEMENTE D’AMORE EXAGITATO QUIVI RABIVA. MA CUM SPERANCIA MODERANTISE. S’ACQUIETOE LA SUA BELLA NYMPHA NEL SUO DOLCE ASPECTO MIRANDO.

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ON SOLAMENTE REPUTAREBBESE FOElice, ma sopra qualunque beatissimo sarebbe colui, al quale continuamente, per speciale gratia gli fusse conceduto le divine pompe, gli caelesti triumphi, et gli gloriosi spassi, et gli benigni loci, et cusì facte Dee, et semidee, et decorate Nymphe, de incredibile bellecia et ornamento. Et cum quelle havere peculiare consortio, et quelle indesinente riguardare. Ma sopra tutto cusì inclyta Nympha de praecipua bellecia, cum exquisito Nympheo et divo decoramento appresso et pare comite havere, guida et sincera duce. Et questo non arbitrava parte exigua et paucula de beatitudine. Le quale queste cose havendo io realmente mirate, una grande mora rimansi cogitoso, et senza aestimatione laetificato, et oltra mensura mirabondo. Da poscia la [p. 182 modifica]tenera et deliciosa Damicella duce, blandiente me disse. Poliphile al praesente andiamo più oltra. Et d’indi incontinente partiti dirimpecto ad gli freschissimi fonti, et umbrati rivuli, prendessemo solatioso viagio. Ove in gyro gli florigeri campi circuivano gli fluenti flumicelli, dalle vive et surgente fontane, cum crystalline aque cum gratiose undule discorrendo. Nelle quale mundissime aque, ardentemente se inspeculava, el purpureo et floribondo filiolo della Nympha Liriope, fora delle tenelle foglie, et la amnice et punicea balsamita, et indi et quindi dispensato el floreo gladiolo. Et tutte le belle ripe piene di altri flori belli et spectatissimi tra verdissimo et iucundissimo herbulato germinabondi. Il quale beato loco era de ampio et latissimo circuito, circinato di arbustose montagnole di moderata altecia, copiose di virente Lauro, di fructigeri comari, et di comosi et altissimi Pini, et Sappini, de biancha et temperata Myrto, et d’intorno gli chiarissimi canaletti cum alveo glareoso, et sabulaceo, et in alcuni loci era el solo di fulva harenula, viveva l’aquatica et trifolia Dryope, negli quali la procliva aqua cum lene susurro proflueva.

Quivi dunque era grande copia di delicate et dive Nymphe mollicole di aetate cum el redolente flore de pudicitia, oltra el credere excessivamente belle, cum sui impuberi amanti, de questo dignissimo loco perpetui inquilini et patritii. Delle quale Nymphe alcune venustamente, cum gli procaci vulti nelle nitidissime lymphe praestantise solacevole havevano ricollecto bellissime gli sui subtilissimi indumenti de seta lucenti de varia et grata tinctura, et quelli congrumati ad gli nivei braci, la elegante forma degli polposi fianchi sotto alle vivace plicule rendevano. Et le bianchissime gambe revelate, et le rotonde sure propalate fina ad gli carnosi genochii. Et le currente aque purgatissime balneavano vicino ad gli rotondi tali, sentivi questo havere virtute de convertire alcuno, forsa che a quello non fusse apto ma inepto et extincto. Le quale poscia reflectendo la excessiva candidecia della nitida et luculea membratura, et le conte fatece, tra le non resultante undicule, et gli caelesti vulti, como in splendifero et tersissimo speculo parimente, ove non grande corso era, l’aque simulabonde se cernivano, et gli piccioli pedi, rumpevano le ricontrate latice, et adverse crispulature cum obvia eruptione, et sonabile concorso invadendo. Alcune solacevole cum gli natanti et domestici et palmipedi Cygni succincte per l’aque correvano. Et dapoi l’una a l’altra cum le lacunate mane l’aque exhauriendo spargevano ridibonde. Alcune fora degli fluenti rivi sopra le mollicole herbe stante, degli odoriferi et di colore varii fiori operosamente intessevano gioie. Le quale agli sui quam gratissimi amatori domesticamente le offerivano, et gli accessorii succulenti et [p. 183 modifica]saporosi basii poscia amorosamente non denegavano, anci agevoli strictamente osculantise più serati et mordaci che gli voraguli delle trece del polypo, et più che non sono le conchilie agli hyllirici scopoli et alle marine plote mordacemente adhaerite, cum mostose et tremule lingule compastate de fragrante mosco, tra gli ridenti et humectosi labri ludibonde mutuamente sublabravano. Et alle bianchissime gule alcuni cum gli piccioli denti faceano non dolente note. Altri tra la virente herba et gli colorati flori se havevano expositi al grato sedere appresso le ornate ripe, non implicite di cannuscula, ma de varii flori decorate. Nelle quale le liquante lymphe più chiare che Axio in Mygdonia, risonavano rumpentise ne gli pedi del puniceo Oleandro, et sotto agli ombregianti arbori erano impexi l’uno cum l’altro, quali viperei crini de Medusa, et più che la intricata Cuscute, in delectevoli amplexamenti, et più compactamente stringentise, che la serpente hedera agli antichi ulmi et agli vetustissimi aedificii. Et agli reveriti amanti non atroce, non renuente, ma puramente cum sotiale amore benigne et affabile, et agli sui desii exponentise consentanee cum gli nudi et copiosuli pecti. Gli quali se rendevano agli ochii oltra modo grati, cum venerei gesti più delectabili et gratiosi che le fluente lachryme al crudele et impietoso Cupidine. Et molto più che agli herbosi prati gli freschi rivuli et la rosulatione matutina. Et più che alla materia la optata forma. Alcuni concinnamente amorosi versi cantavano, cum stanche voce occupate de suspiruli nello inflammato pecto, pieni de suavi accenti, da inamorare dolcemente gli feri cori di petra, et de domesticare la asperitate del invio monte Caucaso. Et da impedire tutto quello che la lyra di Orpheo faceva et lo maledicto aspecto di Medusa. Et da rivocare qualunque horribile monstro piacevole et attrectabile. Et aquetare el continuo stimulo della rabida Scylla. Alcuni negli casti sini delle sedente fanciulle ociosamente stavano collocati, racontavano le piacevole facecie del alto Iove, et esse argutule ambivano le sue crispulate caesarie de strophiole de saporosi flori, et di olenti herbule, et cum summo solacio coronavano. Simigliantemente alcuni di essi erano amorosamente fingendo repudiati, simulando de fugire quello che uno et l’altro intensamente affectavano. Et quivi insequentise correvano l’uno drieto l’altro cum le buccule aperte piene de ridenti et muliebri clamori, cum le biondissime trece giù per le lactee spalle effuse velante, renidevano come filatura d’oro, di serti di virente Myrto compresse. Et alcune cum cura Nymphale innodate gli havea elegante, cum volante Aulee. Alcune cum crinale vitte di aureo implicamento intexte cum gemme ornate. Daposcia alquanto giungentise, se [p. 184 modifica]inclinavano, et decerpti gli belli flori, et replete le tuberule mano cum amorosi sembianti, negli sui venusti volti spargevano cum molta voluptate solaciantise et scherciando. Altri cortesemente tuttavia aperti gli strictamente ansulati sini, addendo flori a flori entro ponevano le defoliate rose subsequendo poscia el succioso basio. Et ad un’hora se percotevano cum la non dogliosa mano sencia vibice et sugillatione, dantise guanciate suavemente nelle gelasine guance, surrubicunde quale se dimonstra lo illuminoso Phoebo nelle rote della frescha Aurora, cum le più nove et inexcogitate pugne che unque Amore seppe fingere. Tutte festive alacre, et tutte ad dilecti provocate. Cum gesti et movimenti puellari et virginea simplicitate, cum sincero amore impigliate sencia offensione della honorata virtute. Libere et exempte di occursamento tristibile, et della aemulatione della versipelle fortuna. Sotto le temperate ombre discese dalle piangente sorore del improbo Phaethonte et dall’immortale Daphni et da comosi Pini, cum minute et aculeate fronde, et dal arbore retincto del inflammato cruore degli infoelici Babylonii, et dagli driti Cupressi et verdissimi Nerancii et Cedri, et d’altri spectatissimi et foliosissimi et di flori et fructi foecundissimi arbori cum aeterna virentia, sencia aestimatione bellissimi et redolenti. Gli quali regulatamente dispositi sopra le gratiose praeripie, et per la planitie dispensati, cum moderata distantia et intercapedine la terra herbida occupavano, piena et vestita della verde Vincapervinca cum gli sui cerulei flori, o me dunque quale sarebbe sì frigido et algente core che concitatamente exarso non si fusse, praesentialmente speculando cusì reali et delectevoli officii dello aequato et reciproco amore? Dunque ragionevolmente sospicai che ancora la venatrice Diana tutta si sarebbe facilmente incensa. Et la glaciale Elice da lei persequita. Per la quale cosa harei tanto auso quasi di proferire una isciochecia, che gli inferi spiriti alcuno altro tormento non patiscono che l’invidia che de questi hano. Gli quali sencia termine foelicemente viveno in dilecti et triumpho, cum summa voluptate, cum niuno fastidio delle praesente cose né cum saturatione de quelle. Onde più fiate per gli mei ochii da extrema dolcecia el core accenso, et grandemente igniscente fina alla haesitante bucca l’alma amorosa exulava. Et alli delectevoli piaceri fixo la mente servando, et gli folposi basii, et gli abondevoli guiderdoni del volucre Cupidine cum curioso aspecto reguardando. Mi apparve certamente in quel tracto di essa ignita alma sentire essere el suo transito et agli extremi et ultimi termini de beatitudine suavemente demigrare. Et per questo modo vacilante me ritrovava fora de ogni mensura exanime obstupefacto, che quasi philtrato me arbitrava. Nella tenace memoria offerentise gli unguenti della malefica [p. 185 modifica]Circe, le potente herbe di Medea, gli noxii canti de Byrrenna, et gli sepulchrali carmini di Pamphile. Il perché iuridicamente dubitava, che gli corporali ochii potesseron ultra la humanitate cernere, et non potervi essere humillimo, ignobile, et grave corpo, ove gli immortali beati conquiescono. Poscia che subtracto era dalle longe et anxie cogitatione, et phantastice imaginatione, exquisitamente tutte le mirande, sancte, et divine cose da me fin qui nude et apertamente vise rimemorando, finalmente io conobbi non essere inganevoli praestigii, né fallacie magie, ma veramente imperfecte compraehense. Dunque intentamente riguardando cum queste, la praestantissima Nympha al lato et cusì contigua, moribondo cum gli ochii stipati d’amorosi et seduli dardi indesinente el tristo core vulnerava. Per gli quali incontinente ogni mio peregrino et vagante pensiculato excitava, et in essa fixo obiecto tutto racoltosi et concreto, rivocava l’alma mortificata, vigorosamente a recentarse negli primarii fochi. La quale acerbamente pativa, per non audere di interrogare, si essa fusse la mia diva et desideratissima Polia. Advenga, che lei per avanti in alquanta ambigua et sospecta notitia me rendese, et dubitando meritamente (che ’l non si converebbe unquantulo el mio rude et inculto parlare) di offenderla impudente, già la calda voce molte fiate essendo agli reticenti labri pervenuta, per tale ragione quella reprimeva. Ma diciò quello che si fusse, da miraveglioso stupore circumvenuto, (Quale dal simulato Atlantiade, el decepto Sosia) grandemente sospeso me ritrovai, sopra tutto cum subtili risguardi, et cordiali trutinamenti le caeleste operatione examinando invaso da ardente desio, intanto che oltra modo, cusì appetiva fra me dicendo. Quivi volentieri essere io vorei connumerato municipe perpetuo, et si el se potesse, niuno affanno erumnoso, me potrebbe grave apparere, niuno imminente periculo me spagurirebbe. Quantunque la fallaciosa fortuna si opponesse, io allhora la cara et appretiabile vita, sencia altro pensare tutta la exponeria. Non recusando de praehendere el laborioso et grave proposto delle due porte al figliolo di Amphitrione dimonstrate, et de consumare la dolce iuventute, et gli mei piacevoli anni, per gli mortali periculi del saeviente pelago, et per gli spaventevoli lochi de Trinacria, cum più supreme fatiche et terrore substenute dal peregrino Ulysse, essendo nella infuscata et impervia spelunca del horribile Polyphemo Cyclope figliolo de Neptuno, et dalle transformatione della compagnia di Calypso, et de non resparmiare la gratiosa vita, a quale cosa si fusse, et sostinere più dura et longa servitute, che non toleroe l’amoroso pastore hebraeo, et più dira di quella de Androdo servo perché ivi qualunca fatica si exclusa, ove amore ferve, et de ponerme alla m [p. 186 modifica]probatione dell’amoroso Minalione et Ileo, et per la bella Atlanta. Et non per altro modo certare, che per l’amata Deianira el lacertoso et robusto Hercule contra el portentoso Acheloo virilmente lutando el vinse, et io non altramente per conquistare tanti dilecti, et intrare longevamente negli sancti et uberrimi lochi, di ogni delitie et voluptate dispositi. Et sopra tutto di conseguire el pretioso amore, et aquistare la diutinamente optata benivolentia di Costei, più bella sencia comparatione de Casiopeia più formosa di Castiamira, heu me la quale porta el morire et la vita mia nel suo volere, et si per aventura indignio apparo de tale consortio et amoroso commercio, almeno assiduamente intento riguardare, a me per ispeciale dono et privilegio et gratia aeternalmente conceduto mi fusse. Et poscia a me medesimo parlando diceva. O Poliphile se lla sarcinosa et molesta gravecia di questo amoroso pondo peraventura te terrisse, la suavitate del fructo a qualunca trista fatica philopono te invita, et si gli erumnosi periculi te terriscono, la sperancia tamen del patrocinio et adiuto di tale Nympha inferocire et suadere ti doverebe. Poscia de qui sencia mora demigrato el mio vario vacilamento diceva. O superni et maximi Dii, et vui suprane Dee, sopra gli mortali potenti. Si questa è quella acceptissima Polia la quale al praesente io vedo, che sencia intermissione ho gestata et nel mio arso et tenace core cum sempiterno glutino inhaerente impressa pretiosissimamente riservo, dagli primi anni de amore fino agli praesenti io mi contento del tutto, et già oltra essa altro non chiedo, ma solo questo supplice obsecro, parimente agli mei fervidi amori constringetila, et che essa de quel medesimo uroso foco, nel quale per essa tanto duramente me nutrisco et consumantime ardo, che essa aequalmente ardi et ambidui loricati, o vero solvetime solo. Il perché hora non valeo più simulare et fingere la accerbitate (per ocultare) lo infortito incendio, già mai io mi moro vivendo, et vivente non mi sento vita, io sum alacre tristantime, et non me tristo, et io vo poenando,io me consummo in flamma nutrientime, et la exuberante flamma augmenta, et ardendo quale Oro nel forte cemento trovome solido giacio. Heu me misero questo cusì grave amore tropo me molesta più che la grave Inarime Typhone, me dissipa più che gli rapaci Vulturi le glomerate viscere di Tityo, me implica più che labyrinthica obliquatione, me inquieta più che gli Nimbiferi venti il tranquillato mare, me urgie più che gli mordaci cani alla fuga Actaeone, et più che la horribile morte el dolce vivere, perturba gli spiriti mei. Et el mio crucioso core da gli sui mordenti ochii più noxiamente è deroso che dal Ichneumone le Crocodiline viscere perese. Et oltra el credere da quelli ello è sì occupato de incessabile percosse incudamente, più che gli Ceraunii monti sovente percossi dagli coelesti fulmini. Et tanto più che io non posso cum tutto el valore del mio ingegno [p. 187 modifica]pensiculare et intendere in quale parte del mundo me ritrovi. Si non di ricontro et pertinace obvio d’un suave foco de questa semidea, che sencia laesione corporale me consuma. Il cui ubero et flavo capillamento è a me uno nodoso Tendiculo circa alo septo core teso et parato, l’ampla et plegmatica fronte candicante lilii me contorque, quale virgula per ligatura in strophia, gli sagittanti risguardi della vita me sospendono, dolci suscitabuli ad affligerme, le rosee guance me invitano dolcemente ad exasperarme, la bucca Cinnamea uno suave cruciato mi fa appetere. Poscia el delitioso pecto come hyberna neve negli hiperborei monti albescente (el quale in sé essendo extrema dolcecia) a me è acerba et noxio flagello. Et gli sui non humani sembianti, et la venusta persona, ad uno imaginativo dilecto lo appetito mio trahendo me diramente strugeno. Et ad tutti questi insultanti martyrii et ad questo tanto discriminoso Agone, et al impio et insidioso Cupidine cum tutte queste insultante parte del Glabro corpusculo, el provocato core vigorosamente ingerentise Atleta strenuo, niente dimeno non poté unquanco resistere, ma quale Milone appresso costei, sopita omni virtute dilacerando me trovo, né d’indi divertire vaglio, come si incauto nel Babylonico palude intrato fusse. Dunque solo digno et rimedio complebile praesentaneo, et opportuno medicamento se offerirebbe, quantunque io me sentisse essere accepto, cum tutte queste mie asperrime et intollerabile poene, ad questa Dea essendo Polia, la quale caelatamente me ha accenso et sencia inducia perure, et delle flamme del rigido Cupidine per tutto me arde, né più né meno quale Minerva il figmento de Prometeo accense, rapito cum la leve ferula l’ardente foco dalle labile rote dello illuminoso Phoebo, o Tityo malamente mi suaderei che minore el mio tormento, che el tuo fusse, dummentre che gli framei Vulturi el tuo calido pecto sfindino, et d’indi senza dimorare el vivace core fumante evulso, et cum gli ungulati pedi rapientilo, et crudelmente cum gli adunci rostri membratamente lacerando el devorano, et in parva hora poscia ristorato a quella medesima laniena rapidi tornano. Et da capo ricomincia la dolorosa carnificina. Similmente riserato el mio inflammato pecto, l’amoroso core da dui furacissimi ochii senza pietate duramente dissipando el straciano, et straciantilo aspramente mordicabondi el devorano. Poscia non sta guario de tempo, che el festivo et periocundo aspecto el risana, come si laesione non sentisse, et da poco instante reiterando, ad gli sui plagosi vulneri ritornano. Heu me poscia dicto questo tra me secretamente miseramente principiai di piangere, et sospirando a li lachrymabondi ochii le familiare lachryme uberrimamente provocare, et di ritrovare l’adito di appetere la exosissima morte, et per alquanto spatio, cusì da excessivo et funesto amore rabidamente istimulato, el quale fora el limite dolorosamente me agitava, et cum uno m ii [p. 188 modifica]calore infervescente cum piatosi sospiri me cruciava. Hora cum tale angustia disordinato, molte fiate tale proponimento nel animo mi posi di volere cum altissimi guai vociferante dire. O più che bellissima Nympha, Dea mia, et praecipua et unica sperancia, a pietate hogi mai movite, et adiutando subvenimi, che io nel praesente me trovo in inciso di morire, ma ad un’hora isbigotito questo iudicando fallace, et come falso et leve cogitamento reprobai, et in instanti da rabioso et fremendo spirito commoto, tra me confundentime diceva. Perché titubi Poliphile? uno morire per amorosa causa el gli è laudabile. Et però sarebbe mai per mia trista et maligna isciagura, che el mio doloroso accidente, et gli mei gravi accendimenti, et el mio nobile amore de tale Nympha debino essere recitati nella terra cavata? Poscia che germinate fosseron le subtile et flexile canne, le quale sonace poscia gli mei crescenti et nocevoli amori manifestasseno? Non excludendo tale improbitate degli mei errabondi pensiculamenti dritamente diceva. Forsa costei come dimonstra è una veneranda Dea, et perciò Syringa loquace di Arcadia nelle hude et pallustre sedie del fiume Labdone, non sarebbe agli stimulanti et procaci Euri, et al tumultuoso et gelifero Borea, et al flante et nubifero Austro, et dal turbulento et pluvifico Noto, quassabonda data, si el suo importuno et disconvenevole parlare nella praesentia delle Dee se havessi convenuto. Et la responsiva Echo per tale simigliancia non si sarebbe in novissima voce concepta, si decentemente havesse parlato. Et per tanto essendo gli Dii di sé, pientissimi, tale contempto et negligente auso gli rendino severi vindici. Per la quale cosa gli comiti ancora del tardo et indagabondo Ulysse, meritamente riservati se sarebbono sencia el mortale periculo del naufragio, si essi el fatale armento de Apolline, riguardato dalle Nymphe, Phetusa et da Lampetia sorore, impudentemente nepharii non havesseron furato, et Orione similmente non harebbe la horribile vendeta experto. Si alla frigida et casta Diana non se havesse temerario proposto, et il filiolo del ardente Phoebo fue dal summo Olympo temerario fulminato, et nelle Stygie unde aeternalmente religato, per usare le Glycyside herbe. Dunque si alcuna indecentia verso questa Diva Nympha per alcuno signo dimonstrase, et el simigliante et a mi pegio potria facilmente acadere? All’ultimo fora di tanta commotione del altercabondo animo evaso. Summo dilecto dunque acceptando sedava, et riguardando l’ornata elegantia et contemplando, la venusta forma de questa ingenua et praeclara Nympha, tutto me consolava. La quale in sé tutto quello che perfectamente pole amorosamente delectare, et si pote dolcemente amare copiosamente contineva, tanta dolcecia dagli sui festevoli ochii diffusamente dispensando che excussi fora gli perturbativi et irrefrenabili cogitamenti dalla inquietata