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pensiculare et intendere in quale parte del mundo me ritrovi. Si non di ricontro et pertinace obvio d’un suave foco de questa semidea, che sencia laesione corporale me consuma. Il cui ubero et flavo capillamento è a me uno nodoso Tendiculo circa alo septo core teso et parato, l’ampla et plegmatica fronte candicante lilii me contorque, quale virgula per ligatura in strophia, gli sagittanti risguardi della vita me sospendono, dolci suscitabuli ad affligerme, le rosee guance me invitano dolcemente ad exasperarme, la bucca Cinnamea uno suave cruciato mi fa appetere. Poscia el delitioso pecto come hyberna neve negli hiperborei monti albescente (el quale in sé essendo extrema dolcecia) a me è acerba et noxio flagello. Et gli sui non humani sembianti, et la venusta persona, ad uno imaginativo dilecto lo appetito mio trahendo me diramente strugeno. Et ad tutti questi insultanti martyrii et ad questo tanto discriminoso Agone, et al impio et insidioso Cupidine cum tutte queste insultante parte del Glabro corpusculo, el provocato core vigorosamente ingerentise Atleta strenuo, niente dimeno non poté unquanco resistere, ma quale Milone appresso costei, sopita omni virtute dilacerando me trovo, né d’indi divertire vaglio, come si incauto nel Babylonico palude intrato fusse. Dunque solo digno et rimedio complebile praesentaneo, et opportuno medicamento se offerirebbe, quantunque io me sentisse essere accepto, cum tutte queste mie asperrime et intollerabile poene, ad questa Dea essendo Polia, la quale caelatamente me ha accenso et sencia inducia perure, et delle flamme del rigido Cupidine per tutto me arde, né più né meno quale Minerva il figmento de Prometeo accense, rapito cum la leve ferula l’ardente foco dalle labile rote dello illuminoso Phoebo, o Tityo malamente mi suaderei che minore el mio tormento, che el tuo fusse, dummentre che gli framei Vulturi el tuo calido pecto sfindino, et d’indi senza dimorare el vivace core fumante evulso, et cum gli ungulati pedi rapientilo, et crudelmente cum gli adunci rostri membratamente lacerando el devorano, et in parva hora poscia ristorato a quella medesima laniena rapidi tornano. Et da capo ricomincia la dolorosa carnificina. Similmente riserato el mio inflammato pecto, l’amoroso core da dui furacissimi ochii senza pietate duramente dissipando el straciano, et straciantilo aspramente mordicabondi el devorano. Poscia non sta guario de tempo, che el festivo et periocundo aspecto el risana, come si laesione non sentisse, et da poco instante reiterando, ad gli sui plagosi vulneri ritornano. Heu me poscia dicto questo tra me secretamente miseramente principiai di piangere, et sospirando a li lachrymabondi ochii le familiare lachryme uberrimamente provocare, et di ritrovare l’adito di appetere la exosissima morte, et per alquanto spatio, cusì da excessivo et funesto amore rabidamente istimulato, el quale fora el limite dolorosamente me agitava, et cum uno m ii