Hypnerotomachia Poliphili/III
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POLIPHILO QUIVI NARRA, CHE GLI PARVE ANCORA DI DORMIRE, ET ALTRONDE IN SOMNO RITROVARSE IN UNA CONVALLE, LA QUALE NEL FINE ERA SERATA DE UNA MIRABILE CLAUSURA CUM UNA PORTENTOSA PYRAMIDE, DE ADMIRATIONE DIGNA, ET UNO EXCELSO OBELISCO DE SOPRA. LA QUALE CUM DILIGENTIA ET PIACERE SUBTILMENTE LA CONSIDEROE.
A SPAVENTEVOLE SILVA, ET CONSTIpato Nemore evaso, et gli primi altri lochi per el dolce somno che se havea per le fesse et prosternate membre diffuso relicti, me ritrovai di novo in uno più delectabile sito assai più che el praecedente. El quale non era de monti horridi, et crepidinose rupe intorniato, né falcato di strumosi iugi. Ma compositamente de grate montagniole di non tropo altecia. Silvose di giovani quercioli; di roburi, fraxini et Carpini, et di frondosi Esculi, et Ilice, et di teneri Coryli, et di Alni, et di Tilie, et di Opio, et de infructuosi Oleastri, dispositi secondo l’aspecto de gli arboriferi Colli. Et giù al piano erano grate silvule di altri silvatici arboscelli, et di floride Geniste, et di multiplice herbe verdissime, quivi vidi il Cythiso, la Carice, la commune Cerinthe. La muscariata Panachia el fiorito ranunculo, et cervicello, o vero Elaphio, et la seratula, et di varie assai nobile, et de molti altri proficui simplici, et ignote herbe et fiori per gli prati dispensate. Tutta questa laeta regione de viridura copiosamente adornata se offeriva. Poscia poco più ultra del mediano suo, io ritrovai uno sabuleto, o vero glareosa plagia, ma in alcuno loco dispersamente, cum alcuni cespugli de herbatura. Quivi al gli ochii mei uno iocundissimo Palmeto se appraesentò, cum le foglie di cultrato mucrone ad tanta utilitate ad gli Aegyptii, del suo dolcissimo fructo foecunde et abundante. Tra le quale racemose palme, et picole alcune, et molte mediocre, et l’altre drite erano et excelse, electo Signo de victoria per el resistere suo ad l’urgente pondo. Ancora et in questo loco non trovai incola, né altro animale alcuno. Ma peregrinando solitario tra le non densate, ma intervallate palme spectatissime, cogitando delle Rachelaide, Phaselide, et Libyade, non essere forsa a queste comparabile. Ecco che uno affamato et carnivoro lupo alla parte dextra, cum la bucca piena mi apparve.
Per l’aspecto del quale, gli capigli mei immediate se ariciorono, et diciò volendo cridare non hebbi voce. Il quale desubito fugite. Et io in me allhora alquanto ritornato, levando gli ochii inverso quella parte, ove gli nemorosi colli appariano coniugarsi. Io vedo in longo recesso una incredibile altecia in figura de una torre, overo de altissima specula, appresso et una grande fabrica ancora imperfectamente apparendo, pur opera et structura antiquaria. Ove verso questo aedificamento mirava li gratiosi monticuli della convalle sempre più levarse. Gli quali cum el praelibato aedificio coniuncti vedea. El quale era tra uno et l’altro monte conclusura, et faceva uno valliclusio. La quale cosa de intuito accortamente existimando dignissima, ad quella sencia indugio el già solicitato viagio avido ridriciai. Et quanto più che a quella poscia approximandome andava, tanto più discopriva opera ingente et magnifica, et di mirarla multiplicantise el disio. Imperoché non più apparea sublime specula, ma per aventura uno excelso Obelisco, sopra una vasta congerie di petre fundato.L’altitudine della quale, incomparabilmente excedeva la summitate degli collateranei monti, quantunche fusse stato el celebre monte arbitrava Olympo, Caucaso, et Cylleno. Ad questo deserto loco pure avidamente venuto, circunfuso de piacere inexcogitato, de mirare liberamente tanta insolentia di arte aedificatoria, et immensa structura, et stupenda eminentia me quietamente affermai. Mirando et considerando tuto el solido et la crassitudine de questa fragmentata et semiruta structura de candido marmo de Paro. Coaptati sencia glutino de cemento gli quadrati, et quadranguli, et aequalmente positi et locati, tanto expoliti, et tanto exquisitamente rubricati gli sui lymbi, quanto fare unque si potrebbe. In tanto che tra l’uno et l’altro lymbo, overo tra le commissure una subtilecia quantunque aculeata, del intromesso reluctata unquantulo penetrare potuto non harebbe. Quivi dunque tanta nobile columnatione io trovai de ogni figuratione, liniamento, et materia, quanta mai alcuno el potesse suspicare, parte dirupte, parte ad la sua locatione, et parte riservate illaese, cum gli Epistyli et cum capitelli, eximii de excogitato et de aspera celatura. Coronice, Zophori, overo Phrygii, Trabi arcuati. Di statue ingente fracture, truncate molti degli aerati et exacti membri. Scaphe, et Conche, et vasi, et de petra Numidica, et de Porphyrite, et de vario marmoro et ornamento. Grandi lotorii. Aqueducti, et quasi infiniti altri fragmenti, de scalptura nobili, de cognito quali integri fusseron, totalmente privi, et quasi redacti al primo rudimento. Alla terra indi et quindi collapsi et disiecti. Sopra et tra le quale confragose ruine germinati erano molti silvatici virgulti, et praecipue de Anagyro non quassabondo, cum le teche fasselacie, et uno et l’altro Lentisco, et la Ungula ursi et Cynocephalo, et la Spatula fetida et el ruvido Smylace, et la Centaurea, et molte altre tra ruinamenti germinabonde. Et ad gli fresi muri molti Aizoi, et la pendula Cymbalaria, et senticeti de pongiente vepre. Tra gli quali serpivano alcune lacertace, et ancora sopra gli arbuscati muri reptavano, spesse fiate in quelli deserti et silenti lochi nel primo moto ad me, che tutto stava suspeso, non pocho horrore inducendo. Magni in molte parte frusti de plane retondatione, et de Ophites et de Porphyrite, et Coralitico colore, et di assai altri grati coloramenti. Fragmentatione di vario historiato di panglypho, et hemiglypho, di expedita, et semiscalptura. Indicando la sua excellentia, che sencia fallire ad gli tempi nostri, et accusando, che de tale arte egli è sopita la sua perfectione, dunque approximatome al mediano fronte della magna et praeclara opera, io vidi uno integro portale miro et conspicuo, et ad tutto lo aedificio proportionato.
La quale fabrica vidi continua tra uno et l’altro degli monti delumbati pendicei intersita, che poteva arbitrariamente coniecturare essere la sua dimensione di passi vinti, et stadii sei. Lo allamento de’ quali monti aequato era perpendicularmente dalla cima giù fina all’area. Per la quale cosa io sopra di me steti cogitabondo, cum quali ferrei instrumenti, et cum quanto trito di mane di homini, et numerositate, tale et tanto artificio violentemente conducto cusì fusse sencia fide laborioso, et de grande contritione de tempo. Quivi dunque cum l’uno et l’altro monte questa admiranda structura, cum conscia haesione se coniungeva. Per la quale coniunctione come sopra dicto è la valle era munita de conclusione, che niuno valeva d’indi uscire, overo indrieto ritornare, o intrare per questa patula porta. Hora sopra de questa tanto ingente opera di fabricatura, che de altitudine aequalmente dalle supreme corone al pedamento et Areobate coniecturare facilmente se poteva essere uno quinto de stadio, era fundata una adamantineamente fastigiata et portentosissima Pyramide, diqué ragionevolmente iudicai, che non sencia inaestimabile impensa, tempo, et maxima multitudine de mortali, se havesse unque potuto excogitare et ridriciare tale incredibile artificio. Onde si io el suo excesso, oltra el credere, inopinabile cosa meritamente de essa essere el speculare arbitrava, la quale imperoché mirando non mediocremente la potentia visiva affatichava, et gli altri spirituali sensi attenuando, quanto più affare? Per tanto a ciò che in alcuna parte, quanto ad me se praestarà el capto del mio intellecto, per questo modo ad hora io brevemente el descrivo. Ciascuna facia dilla quadratura della meta, sotta all’initio della gradatione de questa admiranda Pyramide, sopralocata al praefato aedificamento, in extensione longitudinale, era stadii sei. Multiplicati per quatro in ambito, la dicta nel pedamento aequilatero occupava comprehendendo, quatro et vinti stadii. In altitudine daposcia da qualunque angulo levando le linee, cum mensura, quanto la ima linea è del plintho, tutte quatro al summo mediano inseme conveniente concurrendo la figura Pyramydale perfecta constituivano. Il perpendicolo mediano sopra el centro degli dyagonii del Plyntho incruciati, delle sei partitione una meno constava delle ascendente linee.
La quale immensa et terribile Pyramide cum miranda et exquisita Symmetria gradatamente Adamantale salendo, continiva dece, et quatro cento et mille gradi, overo scalini decrustati. Dempti gradi dece opportuni ad terminare el gracilamento. Nel loco di quali era apposito et suffecto uno stupendo Cubo solido et fermo, et della crassitudine monstruoso, offerentise sencia credito di subvectura in quella summitate deputato. De quella medesima petra Paria, che erano le gradatione. El dicto quadrato fue per basa et substentaculo supposto dell’obelisco, che se hae da dire. Questo ingentissimo saxo, che tale non fue chermadio levato da Titide, havea uno prolapso in ambito, de sei parte, due in descenso, et una nella cacuminata planicie, ristava nel supremo plano lato per diametro passi quatro. Nella coaequatura del quale, eminevano quatro pedi de Harpyia de metallo cum gli pilaci et branchie ungiute fusile, nella maxima petra verso gli anguli, sopra le linee dyagonie, infixi et fermamente implumbati. De crassitudine proportionata, et de altecia di dui passi. Le quale inseme bellissime innodantise, ambiendo ligavano lo infimo Socco di uno grande Obelisco. Conflati in mirabile folgiature, et fructi, et fiori di conveniente granditate. Sopra gli quali premeva lo Obelisco firmissime supraposito. La latitudine del quale de passi bini, et sette, tanto in altecia, artificiosamente acuentise, de petra Pyropecila Thebaicha. Nelle facie del quale erano Hieroglyphi aegyptici egregiamente insculpti, lisso, et quale speculo illustramente terso.
Nel supremo fastigio dil quale, summa cum diligentia et arte sopraposito resideva una stabilita basa di auricalco. Inella quale ancora era una versatile machina, overo uno petaso, in uno stabile perone, overo pollo superinfixa. El quale retinia una imagine de Nympha elegante opera della recitata materia. Da convertire in stupore chi acuratissimo, et cum obstinato intuito la considerava. Cum tale et cusì fata proportione, che la se concedeva alla communa statura nel aire perfectamente giù di vedere. Et più oltra la magnitudine di essa statua era mirabile cosa considerare, cum quanta temeritate, in tanta celsitudine subvecta, immo nel aire cusì facta opera fusse reportata, cum el vestito volitante, parte delle polpose sure manifestantise discoperte. Et due alle aperte al suo interscapilio erano appacte, acto monstrante de volato. La cui bellissima facia et propitio aspecto verso le ale converso. Haveva poscia et sopra el comoso fronte le trece libere volante, et la parte della Calva coppa, overo Cranea nudata et quasi depilata. Le quale come protense erano verso al volare. Nella dextera mano ad lo obiecto del suo guardare, de omni bene stipata teniva una artificiosa copia, alla terra inversa. Et l’altra mano poscia sopra dil suo nudato pecto stricta et inserata teniva. Questa statua dunque ad qualunque aura flante, facile gyravasi. Cum tale fremito dil trito dilla vacua machina metallina, che tale nunquam dal romano aerario se udite. Et ove il figmento posava cum pedi sopra la subiecta arula fricantise, che cusì facto tinnito non risonava il Tintinabulo alle magnifiche Therme di Hadriano. Né quello dille cinque Pyramide sopra il quadrato stante. Il quale altissimo Obelisco minima fede ancora ad me non si lassa havere, che un altro conformitate monstrasse, né similitudine. Non già il Vaticanio. Non il Alexandrino. Non gli Babylonici. Teniva in sé tanta cumulatione di miraveglia, che io di stupore insensato stava alla sua consideratione. Et ultra molto più la immensitate dill’opera, et lo excesso dilla subtigliecia dil opulente et acutissimo ingiegnio, et dilla magna cura, et exquisita diligentia dil Architecto. Cum quale temerario dunque invento di arte? Cum quale virtute et humane forcie, et ordine, et incredibile impensa, cum coelestae aemulatione tanto nell’aire tale pondo suggesto riportare? Cum quale Ergate, et cum quale orbiculate Troclee, et cum quale Capre, o Polispasio, et altre tractorie Machine, et tramate Armature? Faci silentio quivi omni altra incredibile et maxima structura.Ritorniamo dunque alla vastissima Pyramide, sotto la quale uno ingente et solido Plintho, overo latastro, overo quadrato supposito iacea, di quatordeci passi la sua altitudine, et nella extensione, overo longitudine stadii sei. Il quale faceva il pedamento del infimo grado dilla molosa Pyramide. Et questo solertemente arbitrava, che d’altronde non fusse quivi conducto. Ma dil medesimo monte exscalpto, da humane fatiche ad quella figura et Schema, et in tanta mole redacto nel proprio loco. Il residuo degli gradi, di frusti era compositamente facto.
Il quale immenso quadrato cum le collaterale montagne dil convalle, non se adheriva. Ma intercapedo et separato era dal uno et l’altro lato dece passi, dalla dextera parte, al mio andare, del praefato Plintho, nel mediano del quale temeramente el vipereo capo della spaventevola Medusa, era perfectamente coelato, in demonstratione furiale vociferante et ringibondo. Cum gli ochii terrifichi, incavernati sotta gli suppressi cilii, et cum la fronte rugata, et la bucca hiante patora. La quale excavata cum uno recto calle cum el summo involtato fina al centro penetrando, overo fin alla mediana linea perpendiculare centricale del supremo Catillo della ostentifera Pyramide, faceva amplissimo ingresso et adito. Alla quale apertura de bucca, per gli sui involuti capigli se ascendeva, cum inexcogitabile subtilitate dello intellecto, et arte, et impenso cogitato dell’artifice expressi. Cum sì facta regula et riductione, che alla patente bucca gli gradi scansili aptamente facevano. Et in loco dele trece capreolate cum vivace et ingente spire mirava stupente gli viperi et intortigliati serpi. Et d’intorno la monstrifera testa, cum promptissimi vertigini confusamente invilupantise. Diqué el volto et gli squammei serpi rixanti, erano sì diffinitamente de lavoratura mentiti, che non poco horrore et spavento m’incusseron. Negli ochii di quali commodissimamente inclaustrati furono lucentissimi lapilli, in tanto che si io certificato non era, marmoro essere la materia, auso io non sarei stato sì facilmente approximarme.
El sopranarrato calle interscalpto nel fermo saxo, conducea, ove erano le scale, cum flexuoso meato, nel centro per amfracti coclei per la quale scandevasi all’altissima cima di essa Pyramide, in la superficie del quadrato Catillo. Sopra el quale, era fundato lo eminente Obelisco. Oltra de tutta questa praeclara et stupenda opera certamente questo excellentissimo iudicai. Che le praefate coclide, per tutto fusseron chiaramente illuminate. Imperoché lo ingegnioso et acutissimo architecto alcuni Clepsiphoti meati, cum grande et exquisitissima investigatione dello intellecto, havea solertemente facto. Gli quali nell’aspecto del vagare del Sole, ad tre parte dritamente corrispondevano. All’infima. Media. Et supera. La infernate per gli superiori superiori illuminarii. La supernate per gli catabassi era lucidata. Cum alcune reflexione per gli oppositi, sufficientemente elucificavano. Tanta fue la calculata regula della exquisita dispositione dell’artificioso mathematico in le tre facie, Orientale, Meridionale, et Occidentale, che da omni hora del dì, la sinuosa scala era lucida et chiara. Gli quali spiracoli in diversi locamenti, della grandissima Pyramide Symmetriatamente erano diffiniti, et dispersamente distributi.
Alla parte della antedicta apertione de bucca deveni per un’altra solida et directa scala saliendo, che al pedamento Areo del aedificio, verso la parte dextera collaterale al monte delumbato era intro excavata nel proprio saxo, ove era lo intervallo delli dieci passi. Per la quale certamente più curioso forsa che licito non era, io montai. Ove essendo pervenuto alla itione per la bucca alla scala, per innumeri gradi, overo scalini, non sencia grave fatica et vertigine del capo, sopra tanta inopinabile celsitudine circungyrando finalmente salito. Gli ochii mei acconciamente al piano non pativano riguardare. In tanto che omni cosa infera ad me apparea imperfecta. Et per questo dal medio piano, partirme non audeva. Et quivi in ambito del circulare et supremo exito, overo fine della tortuosa scala et apertura, molti stipiti fusatili de metallo erano in circuito politamente dispositi et infixi, la interlocatione digli quali da centro ad centro, overo interstipio dividendo pede uno, de altecia hemipasso. Cincti de sopra cum una coronetta undulata sopra ambiente della dicta materia fusili, gli quali circundavano et saepivano el labro della apertura, et hiato dell’exito superiore della dicta scala, exclusa quella parte, per la quale se usciva in la superficie, bene diciò arbitrando. A ciò, che niuno meno cauto, nella apertione del sinuoso speco, praecipitasse. Conciosia cosa, che la immoderata altecia, vacillamento inducea. Sotto poscia della prona piana del Obelisco, una tabella aenea era implumbata resupina, cum antiqua scriptura de notule nostrate, de Graece et Arabe, per le quale pienamente io compresi, al summo Sole quello dedicato. Et de tutta la maxima structura ancora la commensuratione integramente annotato et descripto. Et el nome dell’architecto sopra lo Obelisco in graeco annotato.
ΛΙΧΑΣ ΟΛΙΒΥΚΟΣ ΛΙΘΟΔΟΜΟΣ
ΩΡΘΟΣΕΝΜΕ
LICHAS LIBYCUS ARCHITECTUS
ME EREXIT.
Ritorniamo al praesente alla Meta, overo Tessella subiecta alla Pyramide, nel fronte dilla quale, io mirai una elegante, et magnifica sculptura di una crudele Gigantomachia, invida solum di vitale aura, de miranda coelatura excellentemente insculpta. Cum sui movimenti, et cum tanta promtitudine degli proceri corpi, quanto mai si potrebbe narrare. Lo imitato aemulo della natura, tanto propriamente expresso, che gli ochii inseme, cum li pedi affaticando, violentavano, mo ad una parte, mo ad l’altra avidamente discorrendo. Niente meno apparia negli vividi Caballi. Alcuni prosternati, alcuni cespitando corruenti. Molti vulnerati et percossi, indicavano la gratiosa vita efflare. Et malamente gli calcei sopra gli caduchi corpi firmantise, furibondi et effreni. Et gli Giganti proiecte le armature l’uno cum l’altro strictamente amplexabondi. Tali cum gli pedi retinuti nella subsolea traportati. Altri sotto gli corpi sui erano soppressamente calcati. Et chi cum li caballi saucii praecipitavano. Alcuni ad terra prostrati cum la parma resupini protegentise pugnavano. Molti cum Parazonii cincti et cum balctei ensati, et cum spathe antiquarie persice et multiplici instrumenti de mortale figuramento. La più parte pediti, cum teli et clypei confusamente pugnanti. Tali loricati, et galeati, cum variati apici insigniti, et altri nudi cum vivace core insultare indicando, intenti alla morte. Parte toracati, di varii et nobilissimi ornamenti militari decorati. Molti cum effigiato formidabile di exclamare. Alcuni di simulachro obstinato et furiale. Quanti erano per morire, cum filamento aemulario dilla natura, lo effecto exprimente, et altri defuncti, cum invise et multiplice machine bellice et loetale. Manifestavano gli robusti membri, et gli tuberati musculi, davano ad gli ochii de videre l’officio degli ossi, et le cavature, ove gli duri nervi trahevano. El quale conflicto et duello tanto spaventoso et horribile apparia, che diresti esso cruento et armipotente Marte ad essere per duello cum Porphyrione et Alcioneo, et la fuga, che heberon dal rudito asinino videre nella memoria soccorse. Queste tutte imagine oltra la naturale proceritate et statura excedevano, et di cataglypho la scalptura di illustrissimo marmoro collustrabile et il piano intervacuo di nigerrima petra introducto a venustate et gratia della albente petra, et a sublevamento dilla statuaria operatura, perfectamente extavano. Quivi dunque erano infiniti proceri corpi, ultimi conati, intenti acti, habiti toracali, et varia morte, cum ancipite victoria. Heu me gli spiriti fessi, et lo intellecto per tanta assidua varietate confuso, et gli sensi disordinati, non aptamente patiscono, non solum il tutto narrare, ma parte cum integritate di così depolita lithoglyphia exprimere non valeno.
Et dove poscia naque tanta iactantia, et tanta ardente libidine di choacervare coagmentando petre ad tanto congesto, cumulo, et fastigio. Et cum quale Veha? cum quali Geruli? et Sarraco? cum quali Rutuli violentato fusse tanta, et tale vastitate di saxi? Et sopra quale fultura commessi et confederati? Et sopra quale aggere di cementati rudimenti? Et di tanta immensitate dil altissimo Obelisco, et dilla immensa Pyramide? Che giamai Dinocrates al Magno Alexandro più iactabondo non proponi el modulo del suo altissimo concepto del monte Atho. Imperò che questa amplissima structura sencia fallo excede la insolentia Aegyptica. Supera gli meravegliosi labyrinthi. Lemno quiesca. Theatri sa mutiscano, non si aequa el dignificato Mausoleo. Perché questo certamente non fue inteso da colui, che gli septe miracoli, overo spectacoli del mondo scripse. Né unque in alcuno saeculo, né viso, né excogitato tale, silendo etiam el sepulchro mirabile di Nino.
A l’ultimo discretamente considerava, quale opposita et obstinata resistentia di fornici sotto mai potesseno sostenire, né supportare, et quale Hexagone, et tetragone Pile et quale nanitate di columnamento potria fermamente supposito, tanta gravitudine et intolerabile ponderatione tolerare? Per la quale discursione ragionevolmente iudicai, overo che tutto solido et massiccio ristato del monte fusse subdito, overo l’una compacta congerie de glutinato cemento et glarea et di rude petratura. Per cusì facta animadversione io explorai per l’ampia porta. Et vidi che nel intimo era densa obscuritate et concavitate. La quale porta inseme cum el mirando, et superbo aedificamento (cose digne di aeterno monumento) cusì nel sequente como era egregiamente disposita, sarae alquantulo descripta.