Gynevera de le clare donne/27. De Baptista Sforza duchessa de Urbino
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27. De Baptista Sforza duchessa de Urbino
Ringratiamo li cieli, che per ornare le nostre gratiose fatiche, ne hano luminato la mente, per litterale incidentia, del prestante ingegno de Ioanne Baptista Stato, il quale per virtute, costumi et integritate, la patria sua de Fano in la nostra citate di studii matre non poco ha honorata, dicendomi, cum efficatia grande, che non mancasse, per Dio dare splendore al muliebre nome de le excellente virtute furono in la benigna memoria de Baptista Sforza duchessa de Urbino, sorella già de Gynevera, nostra singular madonna. Le quale virtute intendendo io cum molta gratia, divenni infiamato et aceso infra la squadra delle illustre donne far mentione, parendome non sia manco degna de etterna laude, che fusse la romana Lucretia, bella et pudicissima moglie del Colatino, la quale de celebri scriptori è tanto cum gloria sublimata.
Dobiamo duncha sapere che questa Baptista fu figliuola meritamente cara de Alexandro Sforza da Cotignola, sapientissimo imperatore de arme, et de la sua consorte Constantia de Varano, illustre donna. In la etate de xviii mesi fu orbata de la nobilissima matre. Fu alevata generosamente dal patre in egregii costumi et virtute et in lettere, in forma non fu degenerante de le excellentie et prestantie de’ parenti. Pervenuta in li tri anni de sua aetate incominciò inparare lettere, et in li quattro anni fu menata ad Milano, dal patruo conte Francesco, che di poco havea con sequito el ducato de quella magnifica cità. Ella li recitò una picola oratione, la quale fece maravigliare ciascuno, che una fanzulette de quella etate havesse tanta gratia de la lingua, potesse exprimere le parole latine. La qual cosa piacque tanto al patruo duca, insieme cum li altri lepidi gesti et costumi, che più non la volea restituire al patre; il quale, essendo in Piceno, che la Marcha dicemo, rihebbe la figliuola; la donde non venivano oratori et principi, cardinali, che lei non li orasse cum gratia avanti.
Fu de mediocre statura, biancha de carne et fresca come viva rosa; hebbe belli et modestissimi occhii, quali raro dimostravano non cognoscere bene che fusse al suo pudico conspecto. Havea bella mano et candidi denti. Fu de natura et complexione più presto sanguinea, che altro; presto alcuna volta, per qualche offensione, se adirava, ma presto la ira se partiva. Era alquanto de presto eloquio, ma facundo, dolce et benigno, cum gratia di chi l’audiva. Fu de tanta gratia audientia, et ne la conversatione de li suoi familiari et citadini et subditi, che più non si potea desiderare. Il suo andare et il stare fu de grande maiestate. Fu liberalissima in tutti li effecti virtuosi, et quanto in quilli forsi parea manchasse, procedea per non potere. Li homini literati et docti furono sempre cum amore favoriti da lei, et qualuncha altro virtuoso ingegno, et de varie facultate et exercitii. Fu tanto perita in la virtù de l’agho, de rechami, et de ogni egregio exercitio muliebre, che ogni matrona et sue citadine recorevano ad lei, per consiglio et documento. Fu de tanto ornamento per iocundità del suo nobilissimo animo che quando moritte, se trovarono in Urbino vinti maestri rechamatori cum molti discipuli et aurifici in quantitate, tutti occupati et proveduti, senza parsimonia da lei de grandi lavori, fino havere infrra quisti facto venire maestri de razzi di Germania et de Flandra a li servitii de lei, tessendo cose morale, vaghe et gentile, divise et insegne. Infra l’altre virtute et excellentie, per il gusto havea de le lettere, comendava molto la disciplina militare, per la quale dicea se deponevano li cativi et aquistavansi li dominii, li regni et li imperii, che era bella cosa audire, cum fondate rasone, in una vergene polcella.
Quando hebbe de sua aetate xi anni compiti, per la fama de le sue virtute preclare, fu non manco adimandata in matrimonio da molti principi, che fusse Athlante, per le cui virtute et beleze possedere tanti se poseno a la morte. Ultimamente, come dispose la divina providenza, lei fu disponsata a Federico da Montefeltro conte de Urbino, conveniente marito a la sua virtute, che poi fu de quello creato duca; il quale fu ne l’arme tanto scientifico, perito et strenuo, che s’è facto aeterno per gloria de bataglie.
Pervenuta Baptista nel terzodecimo anno, il duca sposo cum essa se congiunse. Consumato che hebbe el sacro matrimonio, lui convenne andare cum florida gente, come valoroso duca de arme, nel regno de Neapoli a li subsidii del re Ferdinando, alhora remasto herede del regno per la morte del re patre Alfonso; che tutto il regno era in grandissima rebellione et guerra, per la venuta del duca Ioanne nel regno per occuparlo. Alhora Baptista, sposa illustre, deponendo ogni molicia, come cupida de vera gloria, aiutava cum ogni solicitudine l’andata del marito, fin ad aiutarlo cum le proprie mane armare. Et in questo principio de la sua adolescentia remase al guberno cum tanta prudentia et animo, che facea de maraviglia stupire altrui; per il che tutti li suoi populi ne haveano grandissimo conforto.
Havea continua bataglia del calido furore de Sigismondo Malatesta principe de Arimino, animosissimo imperatore de arme, il quale sempre ardea de desiderio ciascuno luoco del stato del marito occupare. Lei hebbe tanto animo, ingegno et providentia in difensare cum ogni stratagema explorante le insidie de l’inimico e ’l stato, che quello non hebbe alcuno detrimento, non altrimenti se li fosse stato il dilecto marito cum le gente d’arme. Per la qual cosa il principe Sigismondo disse irato: «Certo questa femina è troppo proveduta et saghace, che basterebbe havesse gubernato el regno de Franza.»
Così continuando le guerre nel regno de Neapoli, la valorosa donna se transferitte, per richiesta del marito, ad Magliano, svernando le gente d’arme in quello paese. Et poi se transferitte ad Roma dove fece reverentia a Pio Secundo, pontifice maximo, orando cum tanta flagrantia et eloquentia, che la sua sanctità ne hebbe singular dilecto, et admiratione de la facundia de tanta donna; et in sua comendatione celebrò lei de molta laude, verso quilli che gli erano intorno, dicendo che credea de tale aetate Italia non havesse simile donna de costei. Visitava spesso li sancti templi et luochi devoti de essa cità, et specialmente le vergene vestale; dimorava cum loro, dicea l’officio a le hore come esse, el giorno et la nocte; deiunava li giorni de la septimana, come faceano loro, in pane et in aqua. Visitava in Urbino cum frequentia li lochi pii et devoti. Havea familiarità grande a li religiosi de sancta vita; et specialmente le monache de sancta Chiara eran spesso da lei visitate. Dicea ogni giorno l’officio, che diceano le prefate monache, amate da lei teneramente. Fu elemosinatrice oculta. Fu liberale in tutto, overo in parte, in maritare povere donzelle. Hebbe prompto et acuto ingegno, per il che sempre intravenne nel consiglio del sapientissimo marito, quale mai haverebbe alcuna cosa expedito, senza comunicarlo seco; et meritamente; perchè essa, per le glorie et triumphi, infra le felice victorie del marito, se era facta illustre per tutta Italia.
Lei amò sempre, cum augumento de amore et fede, infinitamente il marito; et lui ella similmente, per la excellentia de tanta donna et per l’ardentissimo zelo de l’honestate, da lei habiuto in tanta cura et solicitudine, che alcuna donna, che fusse manco che di peso, havea ardire esserli nominata avanti, come effecto de’ sacri coniugati. Molte volte, quando per varie expeditione el duca suo marito existendo in campo, essa seco dimorava cum virile animo, senza alcuno timore; de la qual cosa forsi qualche inprudente la imputava; ma lei el facea per la grande dilectione portava al marito et per procreare a laude de Dio uno figliuolo maschio, quale excessivamente desiderava, perchè havea habiuto nove figliuole femine l’una drieto l’altra. Pregò tanto la divina clementia et la pietà de la regina del celeste imperio che li concedesse uno figliuolo maschio, che ella fu exaudita de uno bello et desiderato figliuolo, quale al sacro fonte nominarono Guido Ubaldo; del cui felice parto lei, il marito et tutto el stato feceno festa et triumpho, et ogni oraculo et templo furono visitati cum oblatione, incensi et fochi, ringratiando Dio de tanto dono; se mai lei fu devota et elemosinatrice, fu più per l’havuto figliuolo. Non facea come molte fano, che ingratamente se dimenticano li beneficii et gratie recepute dal benigno Dio, come havesseno bevuto de l’aqua del fiume di Lethe.
Lei fu clemente, cum grandissimo zelo de iustitia. Hebbe più presto inclinatione ad pietate che ad severitate. Cum grande discretione et prudentia fu liberale de gratie et documenti a li subditi. Sempre dicea, che li signori doveano cum ogni sforzo loro transferire l’utile, le richeze e ’l bene a li subditi et citadini loro, da li quali procedea el bene, la fede et la securtà del stato ne li loro signori, li quali doveano solamente triumphare et godere del titolo del principe. Cun ciò fusse che meglio era possedere il regno opulente che macro. Tollerava gravemente quando alcuno, per auxilio de richeza o d’altra fortuna, volesse superare et forzare li poveri et infirmi. Volea circa la iustitia ogni homo fusse equale. Mai non volse se potesse iustamente pensare, non che dire, vendesse le sue gratie et servitii. Apresso li suoi altri ornamenti, fu in li suoi habiti et vestimenti de magnifica pompa, et similmente per suo iocundo dilecto volea che le sue figliuole fussero ornate de varii habiti, de illustre vestimente et di geme, ne le quale molto si dilectava. Havea grandissimo piacere che li suoi citadini et donne loro andasseno de vestimente. Ma fu opinione quasi de ogni homo, quantuncha lei pigliasse de la sua pompa tanto piacere, che sotto le signorile vestimente, in absentia del marito, per non dimenticarse Dio, portasse el cilicio.
Quando il marito era stato in li castri, et che ad casa retornava dicea che non intrava in una casa, ma sì in uno templo et religione, per l’ordine sancto li havea posto la prudentissima donna. La quale ultimamente, nel tempo che ’l suo glorioso marito triumphò ne la victoria de la ribellata cità de Volterra per il populo firentino, dal quale in Firenci receputo cum gloria, festa et triumpho, honori et munificentia, come de suo victorioso capitanio, fu assalita da acuta febre in la cità de Ugubio, dove era adcompagnata da Octaviano, ornati de li humani et phylosophici studii, nobilissimo fratello del marito. Et non giovando alcuno physico remedio per la corporea salute, la egritudine fu inremediabile iudicata; per il che lei, come savia et magnanima donna, patientemente, ancora fusse nel fiore de la sua aetate, anni xxvi, a la morte se dispose. Ma solo li dolea non potere vedere el caro marito avanti la sua fine, il quale spesso chiamava. Adimandò cum propria boccha tutti li sacramenti de la chiesia, havendo poco tempo de vita. Ma non se volse mai dimenticare, in la mortal infermità, la cura de li suoi subditi, che fin che possette nel lecto sedere et che forza hebbe di parlare, fece molte gratie, signando de propria mano supplicatione, cum tanta liberalità quanto mai facesse ne la prosperità de la vita.
Sentendo il signor marito, cum suo singular dolore, il mortal morbo de la cara sua consorte, subito ne venne volando ad Ugubio, dove, retrovata lei a lo extremo de sua vita, ella hebbe grandissimo conforto vedendo(lo), che tanto l’havea desiderato. Et non potendo per letitia parlare, ella l’abraciò, et lui lei, cum grandissima tenereza. Poi, retornata a lei alquanto la lingua, in questa forma quasi mosse le sue parole al marito: «Signor mio caro, sii el ben venuto. Ringratio el benigno Dio, che me ha concesso gratia che io veda la tua excellentia avanti la mia fine, come te ho affectato, per potere più in pace morire. Tu vedi in che termine sono: così è il fine de la nostra misera vita. Per me tutte le vanità, le pompe, li honori, le glorie, le geme, l’auro et l’argento del mondo sono passate. Oh quanto è sciocho colui che pone speranza in la fragilità de questo mondo! Beato colui, che tutti li suoi pensieri pone in la speranza divina! Cognosco ora intieramente quanto è grave non temere la maiestà de Dio, dal quale procedono tutti li beni. Io me ne vado a li non cognosciuti luochi, se non per vera fede de Jesù Cristo. Pregoti duncha, signor mio, per la nostra sancta coniugal fede, me doni venia, se mai te offesi; et recomandoti la mia anima; et questo mio cynereo corpo pregoti el faci colocare in li proprii sepulchri de le mie monache de sancta Clara de Urbino. Et recomandote li nostri figliuoli.» Li quali, havendoli avanti, et alciando in loro li languidi occhii pieni de pietate, et prima al figliuol maschio che era de cinque mesi, disse: «O figliuolino tanto affectato (osculandolo teneramente) prego io la pietate de Dio, ad consolatione del tuo patre, lungamente te salvi, cum timore de la sua divina maiestà, a ciò sii vero principe appellato, et non tyranno.» Et poi a le figliuole disse che a Dio le recomandava, che le facesse sue devote, honeste et pudiche. Et a tutti dette la sua benedictione, usando molte altre sancte parole de fervido amore (ben cum lassitudine) per le quale tutti li astanti furono a pietose lachryme provocati. Il flebile marito la confortò cum quelle dolce parole, che li concesse il mesto core. Poi infra pochi giorni, mancandoli li vitali spiriti, a li xvii giorni de augusto, ne li anni de la beata gratia Mcccclxx rese l’anima al suo factore. Per il che se levarono pianti et stridi per tutta la cità, territorio et convicini, et il magnanimo duca suo marito per l’ingente merore de havere perduto tanta donna, non possette cum forte animo retenere le lachryme, singulti et suspiri, che ne fu per morire; tribuendoli dignissime laude de pudicitia, de honestate et de prudentia, de consiglio et de religione, per il che mai più consolato vivirebbe. Et che ciò fusse vero, mai se reputò consequire intiero gaudio et victorie che havesse, non potendo quelle cum lei partecipare, dove spesso cum sospiri la desiderava.
Così per ultimo honore, in testimonio de le virtù de lei, la fece il dolorato duca suo marito sepellire cum magnifica et illustre pompa lugubre et funebre nel monastero de sancta Clara de Urbino in li proprii sepulchri de le sancte monache, come havea lei devotamente ordinato ne la sua infirmitate. Non volse ancora solo in morte honorare, ma li fece, doppo alquanti giorni de la morte de lei, fare al sextodecimo kallende di septembre uno solenne exequio de magnificentissima pompa et lugubre ornamento, de singulare spesa: dove l’intravenne tutti li potentati, comunitate et republiche, et magnati de Italia, parenti et amici, che furono insumma cavali ccclxxxii de li externi venuti, et chi spontaneamen te, et chi invitati, nel modo gradualmente qualuncha al luoco suo, tutti de nero vestiti; et chi non possette personalmente venire, mandarono li loro dignissimi oratori.
Et in prima Nicolao Ubaldo perusino, de rota auditore, mandato per oratore da Sixto pontifice maximo.
Benedecto Amerino, oratore de Latino Ursino, dignissimo cardinale. Pietro Monarbetto, cavaliero firentino, oratore de la excelsa republica de Fiorenza.
Pietro Joanne Lutio, oratore de li signori Senesi, quale portò cento torce et uno vexillo nero.
Jacobo Cortonese, episcopo perusino, et Zan Jacobo arciprete abbate, oratori per il populo Perusino.
Gregorio Faventino, oratore del gubernatore apostolico de li Cesenatici.
Francesco Orialo et Andrea jurconsulto, oratori del principe Pino de Forlì.
Joanne Savina, oratore de li Imolesi.
Salvatore Natalio, oratore de li Mirandolesi.
Pietro Melino romano, mandato dal fratello, antista de Urbino.
Salustio Typhernatio, oratore.
Alexandro Matebica.
Marco Persio, commissario del campo regio.
Francesco Saxatello, strenuo cavaliero.
Laurentio....... oratore di Soglionoxi.
Ugolino Bando, cum el figliuolo Federico.
Li oratori di Pennensi, li quali sono in l’appennino jugo.
Leonardo Sforza, mandato da Odo de Perusino.
Roberto Retorsio.
Ugo Carpegnano.
Joanne et Federico fratelli Carpegnani.
Jordano, Guidantonio, Francesco Baptista, Baldinacio, tutti de la famiglia Ubaldina.
Li nobili de Piombino, Leonello, Guido et Nicolao.
Cento citadini de Eugubio, di quali septantaquatro de lugubre veste se mutarono.
De quilli de Cagli cinquanta, di quali quarantadui lugubramente se vestirono.
De quilli de Fosambruno quarantacinque, di quali glie ne era trentatri a nero vestiti.
Et de quilli de Castello Durante li erano cinquantadui, di quali quarantaocto erano obscuratamente vestiti.
De Sancto Angelo in Vado gli erano cinquanta, di quali quarantatri erano mutati de flebile veste.
Da Mercatello gli erano trentaquatro, di quali venticinque erano de nero vestiti.
De’Pergulani vintecinque gli erano, di quali sedexe era mutati in scure veste.
De la genealogia de quilli da Montefeltro erano nonanta, di quali ottantaquatro erano similmente de veste mutati.
Del comitato et vicariato de Lamoli, de Fontino, de Massa, de Saxo Corbaro, de Pietra Rubea quarantauno, di quali trentaquatro furono di nero vestiti.
Da la parte de la defonta donna consederno li propinqui, et li oratori de li propinqui, di quali dui paterni oratori.
Roberto Malatesta, che per excellentia fu honorato del titolo del magnifico suo genero, cum trenta homini de nero vestiti.
Andrea Agellio, prothonotario apostolico, oratore de la maiestà del Re Ferdinando.
Gerardo Colense jureconsulto, Oratore de Galeazo Maria duca de Milano.
Guilielmo Pincaro, oratore de Hercule Estense, duca di Ferrara.
Guido Bolognese et Antonio Bonacto, oratori de Ludovico Gonzaga principe de Mantua.
Jacobo Antonio, physico parmesano, oratore de Ruberto Severino, illustre duca d’arme.
Lodovico da Castelsampiero, doctore et Cavaliero, patricio bolognese, oratore de Joanne Secundo di Bentivogli, principe del Bologne Senato.
Andrea Ursello et Joanne Flastrense, oratori de Julio Cesare de Varano.
Guido Bartolino, di faventini oratore.
Baptista Olitense, oratore del duca Andrea.
Nicolao Cocapane, oratore de li signori de Carpo.
Roberto da Montevechio.
Francesco Bolognese, oratore de Joanne Antonio Scariotto, già capitanio de la cità de Bologna.
Bernardino Rainero perusino.
Guidantonio da Montefeltro.
Doppo costoro sequitavano li domestici, tutti di nero vestiti.
Il principe Federico, flebile marito.
Octaviano suo fratello.
Pietro Gentile Varano.
Antonio Feltrense, figliolo de esso principe Federico.
Petro Antonio Columna, Julio Ursino, principi romani.
Griffo Baione.
Ranutio Farnesio.
Conte Joannefrancesco da Gambara.
Everso Anguilario.
Ranutio Matelica.
Carolo Ranerio perusino.
Et molti altri de generoso sangue, ma de fortuna alquanto più bassi, de numero ducento nonanta, tutti mutati in vestimente scure.
Quatro episcopi et altritanti abbati, et de diverse religione, excepto trecento Urbinati sacerdoti.
Montano Cassiano, oratore de Francesco di Picolhomini, cardinale senese.
Francesco Decio, oratore del senato venetiano.
Oratori Anconitani, Firmani, Ausculani, Racinati, non poterono a tempo intravenirli; perchè quando furono in camino, nacque infra loro discordia de la precedentia, et poi da certa inundatione furono impediti.
Et Joanneantonio Campano, reverendo antista, oratore illustre, fece nel conspecto de tanta praeclara gente funebre oratione, mandato per questo caritevole effecto dal Pontefice Sixto, per la probatissima fama era restata nel mondo de la defonta Baptista; per il che ogni homo non possette retenere le lachryme, che non piangesse.
O Baptista Sforza, donna benemerita de divine laude, perchè in vita fusti per virtù felice et in morte gloriosa et beata, tu hai lassato di te sancta fama et nome aetterno; per il che al tuo Sforcesco sangue hai giunto non poco splendore, insieme cum quello del nostro Gynevero, tua sorella. La quale cum benigno animo letificarà ogni suo spirito et sentimento de le glorie et excellentie di tuoi costumi, opere et virtute, che furono incenso al mondo. Ma di che valore saresti stata, se in la senile aetate fosti pervenuta! Credere si debbe, che haveresti vendicato tutti li honori et preconii del mondo, come uno simulacro de la muliebre gloria.