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24 | parte prima — cap. iv |
sogno davanti a a, o ed u. P. es. pòco, pòca; pòchi, pòche; luògo, luòghi: dròga, dròghe; cúra, gústo.
Anche fra le gutturali abbiamo la dura, che è ch; e la molle, che è gh.
La c tende ad ammollirsi in g: quindi le doppie forme: castígo; gastígo; loco poet. luógo; súcco, súgo; ácre, ágro; lácrima, lágrima; sácro, ságro; acúto, agúto antiq.
La c gutturale preceduta da vocale non accentata e seguita pur da vocale o da r, assume in bocca del popolo toscano un suono aspirato particolare, p. es. la cósa, la crésta (la hosa ecc.). Ciò avviene pure della q e della c palatale: la querela, la cena. Vedi più oltre.
Si perde talora g fra due vocali. P. es. regále poet. reále; legále, leále in div. signif., sciaguráto, sciauráto.
§ 4. La terza gutturale q è sempre seguita dalla vocale u che si pronuncia quasi come v, e forma dittongo raccolto con la vocale seguente. Si ha pertanto qua, que, qui, quo, sempre in un’unica sillaba. Quindi la qu è da ritenersi come un nesso grafico, venutoci tale e quale dal latino, e quasi soltanto in parole schiettamente latine.
La qu popolarmente passò in c. Antiquo poet. antíco; oblíquo, bièco; quiéto, e queto poet. chéto; liquóre, licóre poet. Il volgo storpia sovente qui in chi; e questo e quello in chésto e chéllo.
Al nesso duro qu corrisponde esattamente il nesso molle gu che forma dittongo raccolto con a, e, i, o. P. es. guári, língue, languíre, séguo. Vedi il § 9.
§ 5. C e g davanti ad e ed i perdono il loro natural suono, per prenderne un altro palatale, tale cioè, che si forma nella cavità del palato. P. es. céra, cíbo; ciabátta, scóncio, cúcio, acciúga. Per evitare equivoci, quando scriveremo sole queste due palatali, sottoporremo loro un segno. così: ,c ,g.
La ,c tende ad ammollirsi in ,g: dúce, dòge; ducènto, dugènto; ciúcco, giúcco; bráce, brágia.