Grammatica italiana dell'uso moderno/Parte I/Capitolo V. Incontro di più vocali in una parola: iato, ed alterazioni da esso prodotte.

Parte I - Capitolo V. Incontro di più vocali in una parola: iato, ed alterazioni da esso prodotte.

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Parte I - Capitolo V. Incontro di più vocali in una parola: iato, ed alterazioni da esso prodotte.
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CAPITOLO V

Incontro di più vocali in una parola: iato, ed alterazioni da esso prodotte.


§ 1. In una stessa parola si possono trovare a contatto due, e talora tre o quattro vocali. Di questi ultimi casi dovremo parlare in altro luogo. Diciamo ora dell’incontro di due vocali.

Qualunque vocale può incontrare dentro una parola sè stessa, od un’altra vocale qualsisia. Si eccettuano soltanto gli accozzamenti aa, uu, ou, dei quali non occorrono esempii in voci italiane.

Dall’incontro di due vocali distintamente pronunziate nasce quel suono aspro che dicesi iáto, voce latina, indicante una straordinaria apertura di bocca, quale suol farsi in tal caso.


§ 2. Non sempre però dove si veggono scritte due vocali a contatto, si può dire che siavi l’iato.

Questo anzi manca affatto, quando la prima vocale sia un u non accentata, dopo q e spesso anche dopo g. P. es. non è alcun iato in quándo, quéllo: guárda, guísa. Così pure quando la prima vocale sia i non accentata, dopo ,c e ,g (vedi cap. iv, § 5), dopo gl forma ammollita di l (vedi qui sotto il § 12), dopo cch e ggh. Onde non è alcun iato in sciènza, província, piággia, prègio, poichè vien fatto di pronunziare quell’i senza staccarlo dal suono precedente; nè in fíglio, figliuòlo; òcchio; rágghio; dove pure la consonate precedente assorbe l’i.

In generale non si ha iato quando le due vocali, avendo le condizioni richieste dal Dittongo, vengano pronunziate, quasi fossero una, con una sola emissione di fiato. (Vedi cap. ii, § 23).


§ 3. Ma nel periodo di formazione della nostra lingua, pronunciandosi le vocali più distintamente che oggi non si faccia, l’iato si sentiva di più e riusciva più aspro all’orecchio. Perciò molto di [p. 34 modifica]frequente si cercò di evitarlo, ora togliendo una delle vocali, ora inserendo fra di esse una consonante, ora inaltri modi. Quantunque tal materia possa parere appartenersi alla Grammatica storica, non a quella dell’uso moderno; pur nondimeno, poichè in molte voci vivono tuttora le due forme, quella originaria coll’iato, e quella popolare colle alterazioni prodotte dalla contrarietà all’iato; è necessario toccarne brevemente. E qui si deve fare una distinzione di due casi; che la prima delle vocali formanti iato sia accentata, o no.


§ 4. Se la prima delle vocali a contatto fra loro, sosteneva la posa della voce richiesta dall’accento della parola, o anche quella minore, richiesta dalla vocale dura del dittongo disteso; allora si rimediò all’iato o per contrazione, o per inserzione di qualche consonante fra le due vocali. Dicesi contrazione, quando la vocale precedente (quasi sempre accentata) assorbe la seguente, o, fondendosi con essa, produce una sola vocale, diversa da ambedue.


§ 5. Della contrazione per assorbimento abbiamo frequenti esempii negli accozzi di una vocale dura con i (di rado e), dove l’i sparisce lasciando (se in termine di parola) il segno dell’apostrofo. P. es. a’ per ai prep. artic.; vo’ per vói; e in mezzo di parola levámi per leváimi modi poetici, ed altri simili; e nei composti secènto per seicento; dumíla per duemíla. Talvolta la vocale accentata viene assorbita da una precedente atona, come in mástro per maèstro.


§ 6. Della contrazione per fusione delle due vocali in una terza abbiamo esempio in áu che passò in o. P. e., áuro, òro; táuro, tòro; tesáuro, tesòro; cláustro, chiòstro; ráuco, roco: páusa, pòsa; fáuce, fóce; fráude, fròde; Páolo, Polo. Talvolta anche in questo caso ebbe luogo la contrazione per assorbimento, come in Agósto da Augústo; agúrio, antiq. per augúrio; Metáuro, Metáro poet.

Anticamente au passò talora in al. Quiudi le forme arcaiche fiorentine aldáce, esaldíre, frálde, lálde, ecc. per audáce, esaudíre, fráude, láude, ecc.


§ 7. Alcune volte dopo la vocale accentata si inserì una consonante:

talora un’j che prese il suono di g o ,g. Così dal primitivo tráere rimasto al verso, si fece la forma pur poetica trággere, pres. trággo, trággi, trágge: mentre in prosa si adopera soltanto all’infinito la forma contratta trárre, e nel presente 2ª e 3ª persona trái [p. 35 modifica]e tráe forme simili al latino. La stessa origine ha il verbo strúggere (da un primitivo strúere e strújere):
talora si inserì una d, come nella forma antiquata ládico per láico, ed in chiòdo (per chiòo) dall’antiq. chiòvo; e più spesso una v o una g, come in Pávolo o Págolo modi plebei per Páolo; návolo per náulo che oggi, contraendo, si dice nòlo; núgola (per núola) invece di núvola.


§ 8. Ma il caso più frequente di tòrre l’iato fu quando la prima delle due vocali a contatto non aveva alcuna posa di voce: di u cambiato nella consonante affine v si trova qualche traccia, se si confronti la voce belva col lat. belua, e colla voce derivata italiana belluíno; e i passati remoti párvi col latino parui: dólvi poet. ed antiq. col latino dolui:

di inserzione di consonanti (g, d, v), abbiamo esempii in ragunáre per raunáre; ciaschedúno per l’arcaico ciascheúno; rovína da ruína; manovále da manuále in div. signif.; lattováro con aferesi da elettuário; orivòlo forma plebea per oriuòlo (oriolo); contínovo da contínuo: ecc. ecc.
di elisione, o perdita della vocale precedente, vedremo esempii fra poco.


§ 9. I casi più frequenti d’iato si trovano dopo i (talvolta e) non accentata, la quale, a cagione della stretta relazione che tiene colla consonante j, ha dato luogo a molti cambiamenti nelle parole, come ci attestano le numerose forme doppie, che ancora si adoperano in prosa o in verso.

Molteplici furono i modi con cui si attenuò o si tolse l’iato proveniente da questa vocale.

Spesso si raddoppiò la labiale che precedeva all’i, col qual procedimento l’i si strinse più intimamente colla vocale seguente, e venne a scemarsi l’iato. Se p. es. si riscontrino col latino le parole vendémmia, sáppia, dúbbio, scímmia e tante altre simili; sí vedrà che le labiali sono state raddoppiate, e ciò per causa della seguente i. Talora, oltre al raddoppiamento della labiale, si ebbe la perdita dell’i seguente: p. es. débbia, débba; e Buèmme antiq. da Boèmia.


§ 10. Molte altre volte si evitò l’iato elidendo la vocale i, come in evangélo per evangélio; estráneo, stránio antiq. stráno; domínio, domíno antiq.; chièsa, dalla forma clesia che resta in ecclesiástico. [p. 36 modifica]

Dopo r, ora si elise l’i: «donde le doppie forme impèrio, impèro; cimitèrio, cimitèro; vitupèrio, vitupèro, e tante altre simili in -èrio, -èro, delle quali la prima conforme all’origine latina, è rimasta, per lo più, al verso, adoperandosi comunemente la seconda; ora invece si perdette la r davanti ad i che prese forma di j. Quindi pure le doppie forme, tanto frequenti, in -áro ed -ájo (da un suffisso latino -ário che pur si conserva in tante parole, come onorário, lunário, calendário, ecc.): fornáro, fornájo; gennáro, gennájo e simili, di cui la forma con j è di gran lunga la più frequentemente usata oggidì. Cosí dalla terminazione òrio (che pur ci resta in alcune parole, come dormentòrio, parlatòrio, responsòrio) avemmo ora la forma in -òro, come in concistòro, martòro poet., mòro poet., e nella voce antiquata mortòro, per mortòrio e simili: ora, anzi quasi sempre, la forma in -ójo, come serbatójo, spogliatójo, ammazzatójo, ecc. ecc., e muojo usato sempre nella prosa invece di moro.


§ 11. Talora nella terminazione -ário fu tolto l’iato per attrazione; poichè l’a attrasse l’i e ne venne ai, che si pronunziò e si scrisse . P. es. da primário, che pur si adopera oggidì, non venne soltanto la forma, ora antiquata, primáro (come váro antiq. da vário), ma anche per attrazione (primáiro) primièro, oggi più comune. Anzi è da sapere che moltissime forme in -ière suppongono una precedente forma in -ário, -áro, che non si usa, o si usa in altro senso, o non si è mai usata. Confrontisi per esempio cavaliére con cavalláro (venditore di cavalli); barbiere con barbáro (venditore di barbe vegetali); somière con somáro; carniere con carnájo; orologière con orologiájo: usurière, poco usato, con usurájo, ed altre simili. — Simile attrazione è in fièra invece di fèria, forma originaria.


§ 12. Dopo l ed n, i seguita da altra vocale, si fuse il più delle volte con queste consonanti e ne ammollì il suono (ammollimento rappresentato da gl e gn: vedi cap. iv, § 22). Quindi le doppie forme di pronunziare e di scrivere, esílio, esíglio; òlio, òglio pleb.: familiáre (con dittongo ) e famigliáre (come famíglia). Quindi, accanto agli infiniti volére, dolére, solére, valére, abbiamo i presenti vòglio, dòglio, sòglio, váglio; e i nomi derivati vòglia, dòglia, váglia. Anzi può dirsi che tutte le parole terminate in -glio, -glia suppongono una forma latina con semplice l che si è poi ammollita per l’iato. Di n ammollita abbiamo esempio in moltissime vocí terminate in -gno, -gna, come attestano le doppie forme Campánia, campágna; di-laniársi, lagnársi in diverso senso, ecc. Si confrontino veníre, [p. 37 modifica]tenére, rimanére, coi presenti poetici vègno, tègno, rimágno, e col nome ritégno; (lat. -neo o -nio).

Notisi che l’ammollimento di queste lettere, specialmente se raddoppiate, può avvenire anche senza l’iato. P. es. égli da elli: quegli più usato di quélli; e presso gli antichi si trova capegli per capelli, ed altre forme simili. Così spiegasi come al plurale di tali voci l sia talvolta sparita, onde le forme éi per égli, quéi, per quégli; capéi, animái, tái, quái da animáli (-gli), táli (-gli), quáli (-gli). Lo stesso procedimento si nota in svègliere poet. accanto a svèllere, e tògliere da tòllere, forma latina che si trova nel verso; e per assimilazione in sciògliere da sòlvere poet. Di n abbiamo esempi in gnudo per nudo; ógni confrontato col lat. omnis; e in qualche altra voce.


§ 13. Non importa dire che parecchie voci anche qui conservarono l’iato, senza fare l’ammollimento. P. es. Itália (e non Itáglia), bália, pállio, calúnnia (e non calúgna).

Nelle voci negligènte, Ánglia, geroglífico e in poche altre d’origine greca, gli non è effetto dell’ammollimento di l; e perciò deve pronunciarsi con g gutturale separata dal suono l:

l ed n ammollite si potrebbero scrivere ed ñ. (Vedi capitolo iv, § 22).


§ 14. Dinanzi ad o ed a (nei presenti de’ verbi) invece dell’ammollimento di l ed n, si ebbe spesso l’indurimento di i in j e quindi in g: da dolére, valére, salíre, tògliere, cògliere, ecc. i presenti più usitati sono dòlgo, válgo, sálgo, sálga, tòlgo, tòlga, colgo (da doleo, dolio, ecc.); e così da veníre, tenére, rimanére, ecc. si usano i presenti vèngo, tèngo, rimángo, rimánga (da vènio, ecc.) essendo restate, per lo più, alla poesia le forme coll’ammollimento dòglio, váglio, ságlio; vègno, tègno, rimágno, ecc.


§ 15. Dopo c (-ceo, -cio) l’iato produsse le doppie forme con ,c,c o con zz. Ciò si vede nei suffissi -áccio, -òccio, -úccio che si scambiano o si scambiarono con -ázzo, -òzzo, -úzzo. P. es. amoráccio, amorázzo; popoláccio, popolázzo; fanciullòccia, fanciullòzza; campanúccio, campanúzzo, e moltissimi altri:

dopo z, molte volte i scomparve, onde si ebbero le forme con doppia z, giustèzza, avarèzza, ecc. spázzo, accanto alle forme oggi usate in div. senso, giustízia, avarízia, spázio, ecc.

Affatto antiquati sono i latinismi constánzia, presènzia e sim. accanto alle forme regolari costánza, presènza, ecc. [p. 38 modifica]

Talvolta invece della z si pose ,g: onde le doppie forme razióne, ragióne in altro senso: guarnizióne, guarnigióne in altro senso, ecc.; prèzzo, prègio; palázzo, palágio; franchèzza, franchígia in altro senso ecc.


§ 16. Dopo p, i passò in palatale forte, risultandone cosi cci, come si vede nelle doppie forme pippióne, piccióne; sapiènte, saccènte in altro senso: sáppia, sáccia antiq.:

dopo le molli d, b, v, talvolta i, passando per j, si mutò in ,g. Quindi le doppie forme sèdia e sèggio; radiánte e raggiánte: invídia, invéggia antiq.; cambiáre e cangiáre; sávio e sággio; servènte (da serviènte) e sergènte in altro senso; piòva (da plòvia) e piòggia.

In qualche caso invece di ,g,g si pose zz: quindi le doppie forme rággio (da rádio) e rázzo in altro senso; mèdio e mèzzo (non mèggio).


§ 17. Dopo s talvolta i passò pure in ,g, come apparisce dalle doppie forme Anastásio, Anastágio; Luísa, Luígia; occasióne, cagióne; pensióne, pigióne; mansióne, magióne tutti e tre con qualche differenza di significato:

talora invece di ,g si pose sc come nelle voci antiquate báscio, cáscio, cúscio, ecc. (da un primitivo -si-), donde poi uscirono le voci regolari bácio, cácio, cúcio.