Gli sposi promessi/Tomo I/Capitolo II
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Capitolo II - Fermo
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Cap. II.
Fermo. * 1
La consulta fu tempestosa e durò tutta la notte. L’egoismo, la debolezza, e la paura vi si trovavano come in casa loro, l’astuzia doveva quindi essere incitata, e ricevere l’incarico di1 proporre il partito, e cosí fu. Senza annojare il lettore colla relazione di tutte le fluttuazioni, dei ripieghi accettati e rigettati,2 basterà il dire che il partito di fare quello che si doveva senza darsi per inteso della minaccia non fu nemmeno discusso, che si pensò a quello di assentarsi3 tanto da aspettare qualche beneficio dal tempo, ma questo anche fu4 rigettato perché5 non v’era spazio per eseguirlo.6 La celebrazione del matrimonio era stabilita pel giorno7 vegnente, e una partenza di buon mattino, senza lasciare nessuna disposizione8 avrebbe avuto tutto il colore d’una fuga, ed esponeva a molti impicci e rendiconti.9 Fu però riservato questo ripiego per l’ultimo, cercando intanto di guadagnar tempo e di agire sulla parte piú debole.10 D. Abbondio si preparò a questo esperimento,11 passò in rassegna tutti i mezzi di superiorità e d’influenza che12 l’autorità, la scienza, (in paragone di Fermo, e13 la pratica gli davano sopra quel povero giovane, e14 pensò al15 modo di farli giuocare.16 Questi bei trovati di D. Abbondio appariranno17 più chiaramente nel18 discorso ch’egli ebbe con Fermo.19 Fermo20 non si fece aspettare, e appena appena gli parve ora da potersi presentare al Curato senza indiscrezione, vi andò, colla lieta impazienza di un giovane che in quel giorno deve sposare quella ch’egli ama. Era Fermo un tessitore di seta, sorta d’industria che da una grande attività21 era allora in decadenza, ma non però al segno che22 l’operajo abile non potesse onestamente vivere del suo lavoro. L’emigrazione di molti lavoranti suppliva per cosí dire alla diminuzione del lavoro lasciandone a sufficienza a quelli che rimanevano. In progresso di tempo crescendo a dismisura le cause23 che avevano diminuita quella industria, essa fu24 ridotta quasi a niente.25 Oltre la sua professione aveva Fermo un pezzo di terra che faceva lavorare, e che lavorava egli stesso nel tempo in cui era disoccupato dal filatojo, dimodoché non aveva a26 contrastare col bisogno. Era in quel giorno vestito dalla festa con piume di vario colore al cappello,27 col suo coltello dal bel manico, e28 mostrando in tutto l’abito e nel portamento29 un aria di30 festa e nello stesso tempo di braveria, comune a quei tempi anche agli uomini i più quieti, come infatti era Fermo. L’accoglimento serio, freddo, misterioso di D. Abbondio fece un contrapposto singolare coi modi gioviali e risoluti di Fermo. Ecco una parte del dialogo curioso che ebbe luogo fra quei due: «Son venuto, signor Curato,» disse il giovane31 «per sapere a32 che ora le convenga che noi veniamo alla chiesa.» 33«Di che giorno intendete?»
«Oggi, Signor curato, non siamo intesi cosí?»
34«Oggi?» replicò il curato come se ne sentisse parlare per la prima volta. «Oggi, non posso.»
«Come non può? che cosa è accaduto?»
«Prima di tutto non mi sento bene, vedete.»
«Ma grazie al cielo il suo incomodo non è serio, e35 quello ch’ella ha da fare è cosa di sí poco tempo e di sí poca fatica...»
«E poi, e poi, e poi...»36
«E poi, che cosa, Signor curato?»
«E poi ci sono degl’imbrogli.»
«Degl’imbrogli?37 che imbrogli ci ponno essere?»
38«Bisognerebbe essere nei nostri panni per conoscere quanti impicci v’è in queste materie, quanti conti da rendere, Io sono troppo dolce di cuore,39 procuro di togliere gli ostacoli, di facilitare40 tutto, di fare quello che gli altri vogliono, e41 trascuro il mio dovere, e poi mi toccano dei rimproveri, e peggio.»
42«Ma col nome del cielo, non mi tenga cosí sulla corda; mi dica che cosa c’è.»
«Sapete voi quante e quante formalità sono necessarie per fare un matrimonio che non levi il sonno a chi lo ha fatto?»
«Ma43 queste formalità non si sono già fatte?»
«Fatte, fatte, pare a voi, perché la bestia son io che trascuro il mio dovere per non far penare la gente. Ma ora, so io quel che dico, non posso piú44 andare avanti a questo modo.»
«Ma via, quale è la formalità com’ella dice, che bisogni fare? la si farà subito.»
45«Ecco: nessuno è contento a questo mondo: voi stavate bene colla vostra professione, libero, industrioso, col tempo avreste potuto46 comperarvi un luoghetto vicino al vostro e poi un altro, e a poco a poco vivere d’entrata: ecco che vi salta in capo di ammogliarvi.»
«Ma47 a che serve questo discorso? appunto perché Dio mi dà un poco di bene voglio maritarmi;48 io non49 son venuto adesso a domandarle un parere, ma a sapere quando mi vuol maritare.»
«Sapete voi quanti sono gl’impedimenti dirimenti?»
«Che vuole che sappia io d’impedimenti? Mi sbrighi, mi dica, che cosa manca ed io farò tutto.»
« Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis...»
«Si piglia ella giuoco di me? Ella sa che io non so il latino.»
«Dunque se non sapete le cose rimettetevene a chi le sa.»
«Mi rimetterò alla ragione, quando ella me ne dia una, e mi dica quello che vuol da me, perché io non capisco niente.»
«Tutti questi che vi ho detti50 sono impedimenti, e non son tutti, eh, ce n’è una filza.»
«Insomma al mio matrimonio c'è un impedimento?»
«Ve ne possono esser dieci, dodici.»
«Voglio sapere quale è l’impedimento a fare il mio matrimonio.»
Fermo disse queste parole con voce51 tranquilla ma con un52 rovello interno che cercava di53 contenere.
D. Abbondio non si avvidde dello sforzo di Fermo, e tra perché lo conosceva come giovane buono e l’aveva provato sempre rispettoso e quieto, e tra perché il dover sempre arzigogolare pretesti mentre aveva una buona ragione che non poteva dire, lo aveva messo di mal umore, vi s’abbandonò e rispose con54 tuono di corruccio e d’impazienza: «Voglio, voglio, tocca a voi dir: voglio?» Queste parole sciolsero l’ultimo freno alla pazienza di Fermo che già55 aveva voluto scappare più volte, come il lettore avrà veduto, nel caldo crescente delle sue risposte. «Lo voglio per...» gridò con una subita trasformazione, «e s’ella crede di56 farsi beffe di me perché son povero figliuolo, le farò vedere che quando mi si fa torto so fare anch’io uno sproposito come qualunque signore» «Via, via,» rispose D. Abbondio spaventato,57 «non siete piú quel buon giovane ch’eravate?»
«Mi dia ragione, se non vuol portarmi fuori di me.»
«Se volete ch’io possa parlare tranquillatevi.»
«Son tranquillo, e parli.»
«Sappiate adunque che è nostro dovere, dovere preciso di fare ricerche, ricerche esatte per vedere se non ci sieno impedimenti.»
«Ma se ve ne fosse, perché non me li sa indicare?»
«Sono formalità, ma bisogna fare tutte queste ricerche. Ma non basta il non saperne bisogna aver fatte quelle tali ricerche, e poi bisogna informarsi di molte altre cose, altrimenti?... il testo è chiaro: Antea quam matrimonium denunciet, cognoscet quales fiat...»
«Non voglio latino. Ma perché non le ha fatte prima queste ricerche?»
«Ecco mi rimproverate la mia troppa bontà. Ma adesso, mi son venute... basta, so io.»
«Insomma quanto tempo ci vuole?»
58«Molto, molto.»
«Quanto?»
«Almeno un mese.»
«Un mese?» [esclamò Renzo] con vólto burbero e sorpreso. . . .
Ma se vi disturba questo ritardo... Via in quindici giorni si procurerà...»
Signor Curato...»
Ebbene voi non volete intender ragione, vedrò se in una settimana... »
Or bene, aspetterò una settimana, mi esporrò alle ciarle, ed ai fastidj di questo ritardo. Ma la prevengo59 che questo ritardo non mi renderà di buon umore, né disposto a contentarmi di ciance. S’ella vuol farmi una ingiustizia, si ricordi che tutto quello che può accadere è sulla sua coscienza. La riverisco.» E cosí detto60 se ne andò facendo un inchino frettoloso, e molto meno riverente del solito, e lasciò D. Abbondio piú soprappensiero di prima. Il povero sposo che61 entrato nella casa del Curato per parlare di nozze e di festa62 non aveva sentito altro che impedimenti ed imbrogli, in mezzo alla stizza che lo rodeva,63 andava però riflettendo sui discorsi64 e sul contegno del Curato, e trovava tutto pieno di mistero...65
L’accoglimento freddo e imbarazzato, l’impazienza e66 quasi la collera, il tuono continuo di rimbrotto senza un perché, quel67 farsi nuovo del matrimonio che pure era concertato per quel giorno,68 e non ricusando mai di farlo quando che sia, parlare però come se fosse cosa da piú non pensarvi, le insinuazioni69 fatte a Fermo di metterne il pensiero da un canto:70 il complesso insomma71 delle parole di D. Abbondio72 presentava un senso cosí incoerente, e poco ragionevole, che a Fermo, ripensandovi cosí nell'uscire, non rimase piú dubbio che non vi fosse di piú anzi tutt’altro di quello che D. Abbondio aveva detto. Stette Fermo in forse di ritornare al Curato per incalzarlo a parlare, ma73 sentendosi caldo, temette di non passare i limiti del rispetto, pensò alla fin fine che una settimana non ha piú di sette giorni, e si avviò per portare74 alla sposa questa triste nuova. Sull’uscio del Curato abbatté in Vittoria che andava per una sua faccenda, e tosto pensò che forse da essa avrebbe75 potuto cavar qualche cosa,76 e salutatala, entrò in discorso con lei:
«Sperava che saremmo oggi stati allegri insieme, Vittoria.»
«Ma quel che Dio vuole, povero Fermino.»
«Ditemi un poco,77 quale è la vera ragione del Sigr. Curato78 per non celebrare il matrimonio oggi, come s’era convenuto.»
«Oh! vi pare ch’io sappia i secreti del Sigr. Curato?» È inutile avvertire che Vittoria pronunziò queste parole come si usa quando non si vuol esser creduto.
«Via, ditemi quel che sapete, ajutate un povero figliuolo.» «Mala cosa nascer povero, il mio Fermino.»
Per timore di annojare il lettore79 non trascriverò80 tutto il dialogo, dirò soltanto che Vittoria, fedele ai suoi giuramenti non disse nulla positivamente, ma trovò un modo per combinare il rigore dei suoi doveri colla voglia di parlare. Invece di raccontare a Fermo ciò ch’ella sapeva, gli fece tante interrogazioni, e81 che toccavano talmente il fatto noto a Vittoria, che avrebbero messo sulla via anche un uomo82 meno svegliato di Fermo, e meno interessato a scoprire la verità.83 Gli chiese se non s’era accorto, che qualche signore qualche prepotente avesse gettati gli occhi sopra Lucia, ecc.;84 parlò dei rischj che un curato corre a fare il suo dovere, del timore che uno scellerato impunito può incutere ad un galantuomo,85 fece insomma intender tanto che a Fermo non mancava più che di sapere un nome. Finalmente, per timore86 come si dice, di cantare, si separò da Fermo raccomandandogli caldamente di non ridir nulla di ciò che le87 aveva detto.
«Che volete ch’io taccia, disse Fermo, se non mi avete voluto dir nulla.»
«Eh! non è vero che non vi ho detto nulla? Me ne potrete esser testimonio, ma vi raccomando il segreto.» Cosí dicendo88 si mise a correre per un viottolo89 che conduceva al luogo ov’ella era avviata.90 Fermo che aveva acquistata tutta la certezza che91 una trama iniqua era ordita contro di lui,92 e che il Curato la sapeva, non poté piú tenersi, e tornò in fretta alla casa di quello, risoluto di non uscire93 prima di sapere i fatti suoi che gli altri sapevano cosí bene. Entrò dal curato, lo sorprese nello stesso salotto,94 e gli si avvicinò con aria risoluta: «Eh! eh! che novità è questa,» disse D. Abbondio.
«Chi è quel birbante,» disse Fermo colla voce d’un uomo che non vuole esser piú burlato, «chi è quel birbante che non vuole ch’io sposi Lucia?»95
D. Abbondio96 diede un salto dal suo seggiolone per correre alla porta, Fermo 97 vi balzò prima di lui, come doveva accadere, la chiuse e si pose la chiave in tasca.
«Ah! ah! Sig.r Curato, adesso, parlerà ella?»98
«Fermo, Fermino, per amor di Dio, aprite, guardate miei che fate, pensate all’anima vostra.»
«Che pensare? Mi si è aperta la vista,» rispose Fermo: un Toscano avrebbe detto: non vedo più lume. E continuò: «lo voglio sapere subito, subito,» e cosi dicendo pose forse inavvertitamente la mano al coltello che però, non si cavò di tasca. «Jesummaria!» sclamò D. Abbondio.
«Lo voglio sapere,» gridò ancor più forte il giovane.
99«Volete voi la mia morte?»
«Voglio sapere ciò che ho ragione di sapere.»
«Ma se parlo, io son morto. Non m’ha da premere la mia vita?»
«Ah! le preme dunque la sua vita? Bene la sua vita è in mano mia in questo momento. Parli.»
«Oh povero me! mi promettete, mi giurate di non dir niente?»
«Le prometto di fare uno sproposito se non parla subito.» Di botta in risposta il volto di Fermo diveniva più infocato, il labbro più fremente, e 100 l’occhio più 101 stralunato. D. Abbondio 102 vide che non poteva cavarsela che col proferire una parola, e articolò: 103 «Don...» «Don,» replicò Fermo come per aiutare D. Abbondio a pronunziare il resto: «D. Rodrigo» disse finalmente il Curato. 104 E non l’ebbe appena proferito, che sentendo cessato il pericolo imminente, e vedendo che Fermo non aveva più pretesto da minacciarlo, 105 la paura si cangiò in collera e cominciò a rimproverarlo. «Avete fatta una bella azione. Mi avete reso un bel servizio.» «Signor Curato,» interruppe Fermo che provava una gioja 106 trista e feroce di conoscere il suo nemico, «signor Curato, 107 ho fallato, le domando scusa, ma si metta una mano al petto, e pensi se nel mio caso Ella avrebbe avuto più pazienza. »
«Si si, voi sarete cagione della morte del vostro Curato: aprite almeno, aprite.»
Fermo108 sentiva un vero rimorso di aver minacciato e
trattato a quel modo il Curato, e gli domandò di nuovo perdono sommessamente. «Aprite, aprite,» replicò il Curato.
Fermo109 si tolse la chiave di tasca, e la presentò al curato col vólto confuso d’un uomo che sente d’aver commesso
una violenza. Il Curato la prese, aperse, e andò verso 110 l’uscio della via,111 mentre Fermo lo seguiva112 colla testa bassa, e fremendo nello stesso tempo. Quando furono sulla porta: «Mi promettete ora,» disse il curato, «di non dir niente?» Fermo, senza rispondere gli chiese di nuovo perdono113 e
da lui che molto anco volea
chiedere e udir qual lume al soffio sparve.
D. Abbondio dopo d’averlo invano richiamato, tornò in casa, chiamò Vittoria, Vittoria non c’era; egli non sapeva più quello che si facesse.
È accaduto spesse volte114 a personaggi assai più importanti di Don Abbondio di trovarsi in situazioni imbrogliate a segno di non sapere quale determinazione prendere,115 e non avendo nulla116 di opportuno da fare, e non potendo stare senza far nulla senza una buona ragione, trovarono che una117 febbre è una118 ragione ottima, e si posero a letto colla febbre. Questo disimpegno D.Abbondio non ebbe bisogno d’andarlo a cercare perchè se lo trovò naturalmente.119
Lo spavento del giorno passato, l’agitazione della notte, e lo spavento replicato120 di quella mattina lo servirono a maraviglia. Si ripose sul seggiolone tremando dal brivido e guardandosi le unghie e sospirando, giunse finalmente Vittoria.121 Risparmio al lettore i rimproveri e le scuse. Basti dire che D. Abbondio122 ordinò a Vittoria di chiamare due contadini suoi affidati e di tenerli come a guardia della casa, e di far sapere che il curato aveva la febbre. Dati questi ordini si pose a letto, dove noi lo lasceremo senza
più occuparci di lui per lungo un tratto di123 tempo, nel quale egli cessa d’avere un rapporto diretto colla nostra storia.124 Soltanto per prestarmi alla debolezza di quei lettori che non capiscono che125 l’uomo timido, il quale lascia di fare il suo dovere per ispavento merita meno pietà dello scellerato consumato126 il quale cercando il male e facendolo spontaneamente mostra almeno di avere una gran forza d’animo, e di sentire le alte passioni, e che potrebbero esser solleciti per quel127 meschino,128 credo di dover informare che D. Abbondio non mori di quella129.
Fermo toltosi in fretta dalla vista di D. Abbondio uscito dal villaggio,130 si avviò a gran passi quasi senza avvedersene131 da quella parte che conduceva al palazzotto di Don Rodrigo, ch’egli desiderava in quel momento d’incontrare132 come un amico dopo una lunga assenza. I provocatori, i soperchiatori, tutti quelli che in ogni modo133 ed134 invadono i diritti altrui, sono rei non solo del male che fanno, ma del pervertimento135 a cui portano gli animi di coloro che offendono.
Fermo era come l’abbiamo detto un giovane tranquillo, ed innocuo, ma in quel punto136 il suo cuore non batteva che per l’omicidio. Andava dunque per affrontare lo scellerato quando pensò che137 a quella casa138 benchè139 discosta alquanto dall’abitato pure140 era cosa insensata e piena di pericolo l’avvicinarsi con mire ostili; giacch’ella era una specie di picciol forte con una guarnigione di bravi.141 Egli senti tosto che ad una sola parola irriverente che avesse detta sarebbe stato scacciato,142 che mostrandosi anche senza parlare intorno a quella casa sarebbe stato provocato, e ucciso,143 che144 i suoi uccisori lo avrebbero dipinto come un assassino. Ma risoluto alla vendetta, pensò che 145 l’unico modo di eseguirla era aspettare un momento in cui per caso D. Rodrigo uscisse scompagnato dai suoi bravi, di aspettarlo dietro una macchia o un muricciuolo. In questa risoluzione si rivolse quasi macchinalmente per tornare a casa a prendere il suo archibugio. Andando, egli s’immaginava di starsene appiattato, gli pareva di sentire una pedata, di alzare chetamente la testa, di vedere D. Rodrigo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere, 146 gli lanciava una maledizione, e correva verso il confine per mettersi in salvo. E tripudiava, in questa immaginazione, gli si attraversò un pensiero:
— E Lucia ... che ne sarà? 147 Appena la catena delle idee feroci che lo dominava in quel punto fu 148 interrotta, le 149 migliori idee a cui era avvezzo entrarono in folla. Si ricordò 150 la consolazione che aveva tante volte provata pensando di esser mondo di sangue, gli avvisi di suo padre, le preghiere 151 ripetute e sollecite di sua madre moribonda, 152 pensò all’inferno, a Dio, alla Beata Vergine 153 e si risvegliò da 154 quel sogno di sangue con ispavento e con rimorso e con una specie di gioja di non aver fatto niente. — Dio mi ajuterà, — disse, e deposto ogni pensiero di pigliar l’archibugio continuò la sua strada per andare ad informare Lucia e la madre del tristo stato delle cose. In mezzo alla ripugnanza che sentiva a dovere 155 dare una tal novella alla sua sposa, egli ardeva di parlargliene 156 per togliersi un fiero sospetto dal cuore. La prepotenza di D. Rodrigo non poteva venire da altro, che da una sua brutale passione per Lucia. E Lucia ne era ella informata? Cosi arrovellato giunse nel cortiletto della casa, e senti un gridio nella stanza 157 superiore dov’era Lucia e s’immaginò che sarebbero amiche e comari, e non si volle mostrare. Una fanciulletta che si trovava nel cortile gli corse incontro gridando: «lo sposo, lo sposo!» «Zitto, zitto,» disse Fermo, 158 « sali da Lucia, pigliala in disparte e dille all’orecchio, ma 159 all’orecchio ve’, che ho da parlarle, e che l’aspetto nella stanza terrena, e non lo dire a
nessun'altro.» La fanciulletta salí subito le scale, lieta di avere una incombenza segreta da eseguire. Lucia usciva in quel momento160 tutta attillata dalle161 mani della madre.162 Le amiche se la rubavano, e le facevano forza perché si lasciasse vedere, ma ella si schermiva con quella modestia un po’ guerriera delle foresi, chinando la faccia sul busto e facendole scudo col gomito. Aveva i neri capegli spartiti sulla fronte con una dirizzatura163 ben distinta, e164 ravvolti col resto delle chiome dietro il capo in una treccia tonda e raggomitolata a foggia di tanti cerchi e trapunta da grossi spilli d’argento che s’aggiravano intorno alla testa in guisa d’una diadema, come ancora usano le donne del contado milanese. Al collo una collana di molte fila, di granate alternate165 con bottoni d’oro a filigrana. Un bel busto di broccato a fiori, le maniche corte fino al gomito dello stesso colore, allacciate sopra le spalle con nastri di seta, e terminate da due gran manichetti, una gonnella corta di filaticcia di seta terminata all’allacciatura con fitte e spesse pieghe, due calze166 vermiglie e due167 pianelle coperte di seta e ricamate sul piede.168 Oltre questo che era l’ornamento particolare di quel giorno,169 Lucia170 aveva quello quotidiano171 di una modesta bellezza, la quale era allora accresciuta e per dir cosí abbellita dalle varie affezioni dell’animo suo in quel giorno. Poiché172 appariva nei suoi tratti173 una gioia174 non senza un leggier turbamento, un misto d’impazienza e di timore e quella specie di accoramento tranquillo che ad ora ad ora si mostra sul vólto delle spose, e che temperato dalle emozioni gioconde e liete non turba la bellezza, ma la accresce, e le dà un carattere particolare. La picciola Santina entrò nella stanza, non fece vista di nulla, aspettò un momento in cui Lucia si era staccata dalle donne, le disse la sua parolina all’orecchio, e se ne andò, per timore di non lasciarsi scorgere di quello che aveva fatto. Lucia175 disse, «torno,» e scese infretta infretta. La faccia stravolta e il portamento agitato di Fermo la spaventò.176 «Che c’è di nuovo?» gli chiese ansiosamente. «Lucia,» disse Fermo, con una voce nella quale più non si distingueva che la tristezza, «Lucia per oggi è finita, e Dio sa quando saremo marito e moglie.» «Perché perché?» chiese ancor più spaventata Lucia. Fermo le narrò brevemente tutta la storia di quella mattina, tacendo però il nome di D. Rodrigo.
«Ah! non può essere che quel demonio in carne,» sciamò Lucia pallida, e sconfortata. «Chi?» domandò Fermo. «Don Rodrigo.» «Dunque voi sapevate?...»
«Pur troppo » interruppe Lucia, «e non ve ne ho parlato per buone ragioni; ora vi dirò il tutto: lasciate che possiamo esser sole con voi.» Cosi detto sali infretta le scale, ritornò nella stanza dove le donne erano radunate e componendo il vólto come poté meglio: 177 «Il signor Curato disse, «è ammalato, e per oggi 178 non si fa nulla.» Detto questo salutò le donne e riparti. 179 Quando non ci fosse stata altra ragione di ritardo, la situazione era abbastanza imbarazzante 180 per una sposa per motivare 181 la sua subita scomparsa. 182 La società si disciolse: la madre segui la figlia per ansietà e per curiosità 183 di saper tutto, e le donne uscirono per potere verificare il fatto, e far congetture. Ma la verità de fatto le troncò tutte. 184 Fermo seppe allora dalle donne gli antecedenti che noi racconteremo nel seguente capitolo.
Note
- ↑ [fare le proposizioni, e cosí fu] trovare il ripiego
- ↑ daremo la
- ↑ per qualche tempo, tanto che venisse qualche uno
- ↑ messo in|trovato tropp inopportuno, [giacché] perché
- ↑ era troppo tardi. Infatti il matrimonio era rimandato
- ↑ Il matrimonio doveva e
- ↑ che si avvicinava
- ↑ sarebbe
- ↑ Si riservò quel|però
- ↑ D. Abbondio si preparò a questo esperimento con trovati corrispondenti
- ↑ riandò tutti i mezzi [coi quali] di superiorità
- ↑ la scienza
- ↑ l'esperie
- ↑ risolvette
- ↑ mezzi migliori di far
- ↑ giuocare è sottolineato, e a margine vi si richiama con croce in lapis.
- ↑ [chiaramente] meglio
- ↑ dialogo
- ↑ , il
- ↑ Fermo sottolineato, e a margine, in lapis: «Questi»
- ↑ era allora consi
- ↑ [un abile] chi
- ↑ che avevano cominciato quella decadenza che giunse al colmo|quale distrugge
- ↑ quasi del
- ↑ Fermo
- ↑ lottare
- ↑ con un coltello
- ↑ nell'abit
- ↑ qualchecosa di solenne, e nello stesso tempo di
- ↑ Qui finisce il foglio 15°: il 16° per metà fu portato nella copia o seconda minuta, con correzioni a margine; e il testo corretto risulta dopo contrastare col bisogno quale è nell’Appendice D.
- ↑ a vedere
- ↑ quale
- ↑ Quando
- ↑ Oggi non posso
- ↑ la cerimonia è cosí
- ↑ Bestia, bestia io! pensò don Abbondio, che avrei potuto starmene a letto. Ma, disse poi ad alta voce, mi reggo, mi sono alzato, perché ... son cosí io sprezzo il male ... e poi ...
- ↑ me lo dica subito perché non per
- ↑ Avete buon tempo voialtri, che non vi pigliate briga di niente, e vi fate servire, e non avete conti da rendere. Ma io sono
- ↑ voglio
- ↑ , e poi
- ↑ poi
- ↑ Ma per carità
- ↑ non sono
- ↑ fare [cosí] a questo modo
- ↑ Cheto
- ↑ cangiare
- ↑ questo
- ↑ e co|che lui
- ↑ le dom
- ↑ e tanti
- ↑ Di qui sino a riflettendo sui cioè le pp. 36 e 37 r. e v., o foglio 17°, tutte a freghi verticali, e in margine a sinistra: testo corretto
- ↑ senso di
- ↑ fremere
- ↑ vólto
- ↑ st
- ↑ fare b
- ↑ non siete piú cosí
- ↑ A buon
- ↑ che in questi sette giorni non avrò
- ↑ lasciò D. Abbondio piú soprappensiero di prima
- ↑ era
- ↑ era|ci usciva
- ↑ non poteva a meno
- ↑ del Curato, e gli trova|e gli
- ↑ e si spettava, anzi teneva per certo che|Il contegno freddo nell'accoglierlo, l'impazienza e la rabbia con cui
- ↑ la rabbia
- ↑ parlare del matrimonio come
- ↑ quel...
- ↑ di abbandonare
- ↑ il complesso di tutte [basta] il risultato
- ↑ dei discorsi
- ↑ dava un senso
- ↑ trova
- ↑ questa
- ↑ potuto saper qualche
- ↑ [e si mise|e sul quale] ed entrò con l
- ↑ perché il
- ↑ non vuole f
- ↑ noi
- ↑ trascriveremo
- ↑ cosí cavate talmente dal
- ↑ che non avesse avut
- ↑ Allora che indi
- ↑ si estese sui
- ↑ [disse insomma tutt] disse insomma tanto che
- ↑ di ciarlare
- ↑ Sic.
- ↑ Fermo
- ↑ lasciando Fermo coi suoi pensieri
- ↑ Allora Fermo non poté piú
- ↑ egli non
- ↑ e che|non ne aveva poiché
- ↑ senza sapere
- ↑ e vi si rinchiuse con lui.
- ↑ Aprite aprite
- ↑ fece
- ↑ vi bal|I
- ↑ Ohibò, ohibò, non sapete che peccato
- ↑ Ma
- ↑ gli
- ↑ intenti
- ↑ ricorse al
- ↑ È se
- ↑ Avete fatto una bella azione
- ↑ diede corso al
- ↑ feroce e
- ↑ le domand
- ↑ continuò a dom
- ↑ gli diede la chiave
- ↑ la porta
- ↑ seg
- ↑ coll’occhio basso
- ↑ e se ne andò e da lui
- ↑ È accaduto molte volte ... Avendo il Manzoni dimenticato di riscriverlo nella correzione, È accaduto, fu opportunatamente posto, in lapis, a margine, e vicino a personaggi fu messo l'a per il costrutto.
- ↑ [e di dovere] p. dovere
- ↑ di buono
- ↑ malattia
- ↑ buon
- ↑ L’agitazione del giorno
- ↑ della mattina
- ↑ ed egli allora andò a coricarsi
- ↑ raccomandò
- ↑ Sic; ma cancellato per lungo, essendosene dimenticato il Manzoni, e messo tra parentesi il resto de! periodo, con scritto a margine : « inutile?» Sottolineati Soltanto e prestarmi,con a margine due croci di richiamo in lapis.
- ↑ Accennò [soltanto per...] soltanto per accondiscendere a quegli animi deboli
- ↑ il timido e
- ↑ Cancellatura illeggibile.
- ↑ povero
- ↑ accennerò | gli avverto che
- ↑ febbre
- ↑ si avviò
- ↑ prese la
- ↑ con quel
- ↑ offendono
- ↑ Sic; ma ed cancellato con lapis.
- ↑ ch’essi
- ↑ l'animo suo
- ↑ [un buon] la sua
- ↑ era come
- ↑ lontana dall
- ↑ non era cosi facile ad attaccarsi giacchè il (cancellatura illeggibile) era assai pericoloso l'avvicinarsi. Il si cancellato con lapis.
- ↑ Perciò
- ↑ e avrebbe lasciato Poi cancellatura illeggibile.
- ↑ e
- ↑ si sarebbe detto anche
- ↑ non sarebbe
- ↑ alza
- ↑ Appena questa idea potè Poi can-cancellatura illeggibile .
- ↑ rotta
- ↑ idee abituali
- ↑ gli avvisi di suo padre
- ↑ di
- ↑ pensò a Dio alla
- ↑ ed ebbe uno
- ↑ dal sogno tr
- ↑ informare la sua sposa
- ↑ [per iscoprire] perchè si aspettava che
- ↑ [dov’era Lucia] dove
- ↑ senti saresti capace [di farmi] a fargli | e la pregò
- ↑ bene
- ↑ dalle
- ↑ dalle scritto in lapis
- ↑ che erano state occupate ad attillarla
- ↑ bianca
- ↑ intrecciati
- ↑ Sic.
- ↑ d'un rosso brillante
- ↑ zoccoli
- ↑ Questo era
- ↑ ma
- ↑ Qui un ne cancellato con lapis.
- ↑ che consisteva in due occhi neri, vivi e modesti, e un vólto di una regolare e non comune bellezza. Questo
- ↑ ad ora ad ora
- ↑ la gioia
- ↑ mista di turbamento
- ↑ prese
- ↑ Sic.
- ↑ oggi disse, rivolta a sua madre, non
- ↑ tutto è finito
- ↑ lasciando credere [che | di volere] di voler togliersi
- ↑ Sottolineato in penna da! Manzoni.
- ↑ Sottolineato motivare in lapis, con richiamo di croce a margine.
- ↑ Le donne cominciavano a far grandi chia
- ↑ Sottolineate, dal Manzoni, ansietà e curiosità
- ↑ Le donne rinchiuse con Fermo lo
- ↑ Prima del testo, a margine, in lapis: «Ce titre n'est il pas un peu trop vague?»