Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro II/V

Libro II - Cap. V

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CAPITOLO QUINTO.

Ultima persecuzion della Religione Cattolica

nella Cina, e felice restabilimento

di quella.


D
All’istesso Testo di Confusio, che confessa un supremo, e sovrano Bene, si deduce che gli antichi Cinesi han conosciuto, che ci sia un Dio. Ma una pietra, o monumento, che si trovò nel 1625. nella Metropoli di Siganfù, o Samyun della Provincia dì Xensì, fa bastante prova, che la Fede Cattolica sia stata introdotta, e predicata in quel Reame fin dal 636. per gli Successori degli Apostoli; poiche la pietra Suddetta fu eretta nel 782. per dar una compendiosa notizia della Religion Cattolica, e de’ privilegi conceduti dagl’Imperadori Cinesi di quel tempo a’ Vescovi, e Sacerdoti, che si leggono in essa. Questa carnalmente si scoprì nella detta Città, mentre si cavavan le fondamenta per ordine de’ PP. della Compagnia, a fine di far la lor Chiesa; P. kircher. Chin. illust. cap. 11.onde rimetto il curioso, che vorrebbe più diffusamente saperne l’interpretazione, che i Dotti han dato a quei caratteri [p. 176 modifica]Siriaci, e Cinesi P. Martin. in suo Atlante, che vi si trovarono intagliati, il cui originale si riserba nel Collegio Romano della Compagnia di Giesù P. Alvarus Semdus., e la copia nell’Archivio della Casa Professa P. Michael Boimus Polonus..

Estinta appresso la Religion Cattolica dalle persecuzioni, che suscitarono i Bonzi con la morte di più Cristiani, surse di nuovo nel 1256. con l’entrata che vi fè il Gran Kan de’ Tartari: il quale occupato con poderose forze tutto l’Impero della Cina, sicome bene inchinato a’ Cattolici, permise loro il libero uso della lor Religione. Ma scacciati poi i Tartari da’ Cinesi con la recuperazion dell’Impero, seguirono i Cristiani (lasciata la Cina) la uscita de’ Tartari, per non soggiacere a nuove persecuzioni; onde rimase di nuovo estinto in quel grande Impero il lume del Vangelo, continuando i Cinesi nel culto degl’Idoli.

Dopo aver il gloriosissimo S. Francesco Saverio seminata nel 1542. la parola di Dio per le più rimote parti del Mondo con grandissimo frutto, ed aggregate a Cristo l’Isole del Giappone, rivolse l’animo alla conversion de’ Cinesi: e mentre egli usava le diligenze per entrare in quel grande Impero, d’una febre [p. 177 modifica]oppresso morì nell’Isola di San-cheu per godere della gloria, che alle sue virtuose fatiche era dovuta.

Si compiacque poi Nostro Signore Relat. de la Chine du P. Magaillans c. 4. p. 203. nel 1610. aprir questa porta alla cultura della sua vigna; agevolandone l’entrata al Padre Matteo Riccio da Macerata, in compagnia del Padre Michel Rogerio dell’istessa Compagnia di Giesù. Ben vero v’incontrarono grandissime difficoltà, e intoppi, prima di conseguir da’ Cinesi il poter vivere fra loro; ma sì, e tanto oprar seppe il Padre Riccio, che acquistossi in brieve non poca stima, e credito fra Grandi, e Signori; poiche essendo egli stato discepolo del Padre Cristofaro Clavio, era peritissimo nella matematica; alla quale i Cinesi son molto inchinati: e per la curiosità di tanti orologi, e istrumenti matematici, che i Padri seco portavano, erano stimati per uomini scesi dal Cielo; di maniera che non solo il V. Re di Canton gli ritenne appresso di sè, ma da parti rimote venivan i Letterati ad ammirar la dottrina loro; onde acquistata la benevolenza non sola de’ Signori, ma dell’istesso Imperadore, in brieve tempo propagaron la fede in più parti dell’Imperio, chiamando [p. 178 modifica]nuovi operarj a quella copiosa messe.

Invidiosi i Bonzi di veder pubblicare il Vangelo con tanto frutto, suscitarono a’ Missionarj gravissime persecuzioni, che scoppiarono in tormenti, carcerazioni, e bandi; de’ quali soffrirono la lor parte anche i nuovi Cristiani Cinesi. Si placarono appresso alquanto i Giudici, considerando il gran servigio, che ricevevano da’ nostri Europei, sì nella direzione del loro Kalendario, e nell’osservazioni dell’Eclissi, e delle Comete, come per gli buoni orologi, che lor facean tenere; ma questa sofferenza durava tanto ne’ lor barbari petti, quanto la necessità loro persuadeva; usando in più, e diversi tempi la cupidigia de’ Mandarini orribilissime tempeste contra i nostri Missionarj.

A suggestion del Tribunale de’ Riti mentre l’Imperador Regnante era di 7. anni, e governavano per la sua fanciullezza i Tutori, si pubblicò bando, che non potessero alzarsi nuovi Tempj al vero Dio, nè predicarsi la sua legge, nè entrar nuovi Missionarj in Cina; s’andò nondimeno dissimulando nell’essecuzion di quello, per la necessità, che avevano i Cinesi degli Europei; intanto che con [p. 179 modifica]l’assistenza de’ Padri della Compagnia in Pekin si predicava il Vangelo per tutto l’Impero. E quantunque per fini particolari diverse volte i Mandarini coll’esecuzion di tal bando avesser mosse gravissime persecuzioni; furono nondimeno i nostri rimessi nel loro esercizio per la cagion suddetta.

Ma l’ultima persecuzione, di cui intendo ragionare, che fu per dare il tracollo affatto alla Religion Cattolica nella Cina, seguì in tal forma. Partì dalla Regia di Pekin nel 1689. l’Imperador Regnante; e discorrendo le Provincie di Cekian, Nankin, e Sciantun, faceva speziali accoglienze a’ Padri della Compagnia. Trovavasi nella detta Provincia di Cekian per Superiore il Padre Prospero Intorcetta Siciliano: il quale uscito incontro all’Imperadore, che veniva con un accompagnamento di 50. mila persone, per esser ben visto dall’Imperadore, fu da colui accolto nella sua gondola. Avvenne, che dopo ciò giunse il V. Re di quella Provincia, il quale tosto dall’Imperadore fu privato del posto, per male relazioni avute de’ suoi portamenti: ponendovi altro in suo luogo. Sospettò colui, che per mali ufficj fattigli dal P. [p. 180 modifica]Intorcetta fosse ciò seguito: onde tanto egli, quanto altri Grandi suoi amici concepirono odio contro detto Padre, attendendo l’opportunità per vendicarsene.

Nel 1691. cominciò il nuovo V. Rè a vomitar questo veleno, prendendo principio da’ Bonzi di Nanceu, a’ quali fe chiuder tutti i Tempi in esecuzion de’ decreti antichi del Regno: e continuandolo ne’ Missionarj Cattolici, esaminò questi, per saper, se fossero nuovamente entrati, o pur fossero degl’antichi permessi nel Regno per lo decreto del 1671. dopo la persecuzion del 1664.

Appresso co’ Consiglieri di Cekian tenuto consiglio, fè dimandare al Padre Intorcetta, come essendo destinato nella Provincia di Kian-sì, egli dimorasse in Cekian: e come dopo essere stata chiusa quivi la Chiesa nel 1664. si avea presa l’autorità d’aprirla: e come essendo vietato l’uso della Cristiana Religione, o di trarre a quella i Cinesi per lo Decreto del 1668. egli aveva battezzato il Scintà-Seng Cinese.

Soddisfè il Padre Intorcetta a queste dimande; ma la malignità del V. Re avendo a cuore la vendetta, non si appagò: e serrata la Chiesa di detto Padre, fè [p. 181 modifica]brugiar tutti i libri, e tavole delle stampe (perciocchè la stampa Cinese fassi con intagliar la composizione su le tavole) dando bando al Padre Intorcetta da tutta la Provincia di Cekian, per andare a vivere nella Città di Kìen-Scian della Provincia di Kiansì: et ordinando, che le Chiese grandi in tutta la Provincia fussero convertite in Tempj d’Idoli, e le picciole in studj: e che tutti i Cristiani ritornassero all’Idolatria sotto gravissime pene, anche da porsi in opra contro i Cinesi, che non gli rivelavano. Ben alcuni Consiglieri non concorsero a questo violente proponimento del V. Re; ma non ostante ciò egli il fè porre in esecuzione.

Dopo ciò fè egli una consulta all’Imperadore, rappresentandogli, che non conveniva lasciar vagare gli Europei per tutto il Reame: ma che si dovessero ritrarre in un luogo, per servirsi di loro all’uso della matematica.

Mentre ciò opravasi in Cekian, avutane la notizia i Padri di Pekin, diedero tosto all’Imperador memoriale, col quale si riparò a qualche improvisa risoluzione: ed appresso consigliato l’affare con Sciàòlaòje, paggio Tartaro diletto [p. 182 modifica]dell’Imperadore, e protettore della Religione, e della Chiesa di Pekin, colui si prese l’incarico di portare al Re un nuovo memoriale a favor de’ Padri. Come in effetto, rappresentata l’indebita persecuzione, suscitata dal V. Re di CeKian: rispose l’Imperadore, che i Padri non doveano maravigliarsi della molestia Cinese, perocchè anche i suoi Tartari il più delle volte la soffrivano, benche costoro stessero in riguardo di non offendergli; ma che i Cristiani con la protezione, che trovavano ne’ Padri, facevan dell’insolenze, dispregiando gl’Infedeli, e lor Religione, e vivendo segregati da loro, con usar solamente con quelli della lor legge; la qual cosa avea cagionato nel Comune tanto odio verso loro.

Amando nondimeno l’Imperadore teneramente i nostri Missionarj, soggiunse al Paggio, che facesse sapere a’ Padri, che stessero di buon’animo, perche colui, che l’anno innanzi aveva acchetata la persecuzione di Sciantun, della medesima maniera senza rumore accheterebbe ancora quella di Cekian.

Andati i Padri al palagio per ringraziar l’Imperadore, egli fè loro domandare, se volevano passare per la via [p. 183 modifica]publica de’ Tribunali. Risposero i Padri, che accettavan la benevolenza di Sua Maestà, sperando, che non lascerebbe la lor causa alla discrezione del solo Consiglio de’ Riti; il quale egli sapeva per isperienza di quanto mal talento stesse verso la Religion Cattolica; mentre riponevano nella pietà di Sua Maestà la giustizia, e la speranza del buon’esito della causa, e di doversi rivocare il bando del 1668. che vieta l’esercizio della Religion Cattolica nella Cina.

Diedero i Padri per mezzo dell’istesso Paggio altro memoriale in mano dell’Imperadore, dimandando l’esercizio pubblico di lor Religione, ed offerendosi di rispondere a qualsisia dubio, et argomento, che da’ contrarj lor si facesse. Due giorni dopo ebbero dall’Imperadore risposta, che non stava il memoriale in buona forma concepito, per poter conseguir il lor desiderio. E a’ 5. di Gennaro 1692. andò in casa de’ Padri Sciàòlaò-je mandato dall’Imperadore, che ritiratigli in un gabinetto, fè lor sapere, che Sua Maestà avendo veduto il memoriale inefficace a conseguir il loro intendimento, compatendo il lor travaglio, ne mandava loro un’abozzo in lingua [p. 184 modifica]Tartaresca, non ancora compito, per dimostrar loro come doveva essere: e che eglino vi aggiugnessero, e ne togliessero a lor piacere. Genuflessi batterono i Padri la testa al suolo, com’è costume, in segno di gradimento dell’ufficio, ed amore. Furono appresso al palagio, per dargliene le grazie, e lodare l’eloquenza della scrittura, domandandogli ancor licenza di presentarla il dì seguente. Ed egli per evitare la difficoltà, che s’incontrava di dover esser esaminato il memorial prima, che si presentasse a lui dal Tribunale, ordinò, che in lor nome (come persone publiche nell’Imperio, e del Tribunale della matematica) il presentassero i PP. Pereira, e Antonio Thomas: il che seguì il giorno della Purificazione della Madre Santissima.

S’ebbe notizia l’istesso giorno de’ 2. di Febbraro, che dal Consiglio delli Kolao (è questo il Consiglio supremo di Pekin, per esser i Consiglieri Assessori dell’Imperadore) fosse la causa rimessa a quel de’ Riti, affine di darne il parere; ma per l’imminente Pasca de’ Cinesi, si dilatò la determinazione.

Sul principio di Marzo s’aprirono i Tribunali, e’l Consiglio de’ Riti fè la [p. 185 modifica]relazion sotto al memorial presentato in malissima forma, rinovando tutti i decreti che vietavan l’esercizio della Religion Cattolica a’ Cinesi, e che solamente permettevanla agli Europei.

Avuta la notizia di tal cattivo esito, furono tutti i Padri al palagio a rammaricarsi col Sciaò laò-ie; il qual gli rimandò con promessa di parlarne all’Imperadore per darsi nuovo memoriale; offerendosi i Padri di difender la verità della lor Religione.

Il giorno de’ 9. dimandò l’Imperadore al Paggio, come stavano i Padri, e se sapevan la determinazione della loro causa. Rispose colui di sì: e ch’eran venuti al palagio afflittissimi a dimandare il consuolo dalla sua pietà. Inteso ciò l’Imperadore disse a’ suoi domestici: Io non so che tengano questi Consiglleri Cinesi con gli Europei; già questa è la terza volta, che ho loro insinuato di dovergli favorir in ciò, che dimandan di lor legge. Mi parve il memoriale presentato molto efficace ad aprirmi la via per condescendere alla loro dimanda, ma questi ostinati me lo chiusero; onde trattando con li Kolao sopra la consulta del Consiglio de’ Riti, non potei [p. 186 modifica]rimovergli, che quella s’emendasse, o moderasse; di maniera ch’ebbi da firmarla.

Nel dì seguente l’Imperadore mandò a dire a’ Padri, che non si sconfortassero, e che avesser patienza senza precipitare il negozio.

Agli 11. fu giuridicamente intimato il decreto a’ Padri. Si chiamò alli 18. l’Imperadore il Sosàn lao-ie suo socero, Tartaro di nazione, ed Avo dei Principe giurato successore alla Corona; e facendosi saper ciò, che passava intorno alla risposta data al memorial presentato da’ Padri; colui con prontezza Tartara gli rispose, che non doveva Sua Maestà permetter tal’ingiustizia, ma ch’era bene in ciò usar della sua autorità; e per persuaderlo ricordogli i servigi fatti all’Impero dagli Europei senza esserne guiderdonati: e ch’allora una cosa tanto giusta, com’era la pubblicazione della lor legge lor si negava, essendosi sperimentata cotanto buona, e conforme alla ragione. E proseguendo il ragionamento soggiunse: Volesse pur Iddio, che fusse tutto il Regno di Cristiani; che si risparmierebbe la spesa di tanti soldati per guardarlo da’ ladri, e ribelli; poiche nelli trenta, e più anni, che governa V. M. non s’è inteso [p. 187 modifica]richiamo, che gli Europei fomentassero alcuna ribellione nelle Provincie, dove vivono: et io mentre era Kolao, ben seppi quel che oprano costoro, e quel che per contrario fanno i Xoscian, o Bonzi. Costoro sono al servigio di V. M. senza desiderare onori, nè ricchezze per le loro fatiche, ma sol la predicazione della lor Religione. Sa ben V. M. quanto han faticato alla riformazione del Kalandario: con che attenzione assistano al Tribunale della Matematica: il prò che se n’ebbe per l’artiglieria fatta con la loro disposizione: e l’utile dell’accomodamento, e pace seguita co’ Moscoviti per mezzo loro.

Udito tutto ciò l’Imperadore rispose: Voi dite bene, ma la sentenza già è data; or come s’ha da riparare? Replicò il Sòsanlaò-ie, V. M. può usar della sua autorità, e non permettere ch’il Tribunal de’ Riti faccia ingiustizia. Restò sospeso l’Imperadore con questa risposta; ma poco dopo risolvendosi disse: Io manderò a dire al Consiglio, che ritiri il dispaccio dato contra gli Europei, e che consigli di nuovo con più salde ragioni quest’affare; ma conviene che voi andiate a’ Consiglieri, e Kolao, e facciate lor [p. 188 modifica]conoscere l’ingiustizia fatta, nel decreto dato, ripetendo le medesime ragioni a me rappresentate. Si offerse di farlo quel Signore, Tartaro di nazione, ma ben d’inchinazione Cattolico: et in effetto il giorno de’ 19. fu a riferire al Tribunal de’ Riti, e Kolao quanto è detto, persuadendogli in maniera, che confessarono, ch’il decreto s’era fatto per sospetto, ch’abbracciando molti la legge Cattolica, ne seguirebbero tumulti, e ribellioni nel Reame. E fu da notare in ciò l’arte di sì buon Signore, che benche fosse poco amico del Presidente de’ Riti, ch’era un Kolao Cina, non però di meno per guadagnarlo, parlandogli, gli diede titolo di Lao-sien-sang, che vuol dire Signor Maestro, che è titolo di grand’onore, e di rispetto appresso i Cinesi; di maniera che per tal modo egli obligò il Presidente ad esser dalla parte de’ Padri. Riferita all’Imperadore l’operazione suddetta, e che i Consiglieri erano ben disposti, ordinò, che due Kolao Tartari manifestasser la sua volontà, che era di trovarsi il Sosan laò iè nella consulta, che dovevan fare i Consiglieri Cinesi, acciocche seguisse favorevole a’ Padri sudetti; onde per esser seguita questa mutazione [p. 189 modifica]dell’Imperadore il giorno de’ 19. di Marzo dedicato a S.Giuseppe, fu perciò questo Santo preso per Protettore della Missione della Cina, e scrittosene in Roma per la confermazione.

Secondo l’ordine Regio si fe la consulta in Palagio il dì 20. di Marzo, presente il Sòsan laò-iè: e finita, il medesimo giorno egli passò al Tribunale delli Kolao: il quale approvò la cosa, ma non inserì l’elogio, che della nostra legge avea fatto il detto Signore, che non potendogli ridurre a porlo nel decreto, fe almeno far menzione in quello de’ servigi degli Europei. Conclusa la consulta la sottoscrisser tutti, e nel medesimo giorno la presentarono al Re.

Il 22. segnò l’Imperadore il decreto, in cui diè permissione a’ suoi vassalli di potersi far Cattolici, derogando a gli antichi bandi. Il decreto tradotto in nostra favella è il seguente.

Kù pàtaì (nome aggiunto per averseli tolto un grado di Presidente del Consiglio de’ Riti) con la riverenza che deve, fa relazione a V. M. Noialtri Consiglieri del Consiglio de’ Riti femmo Giunta, e Consulta: ed avendo esaminato, troviamo, che gli Europei vengono da nove mila leghe imbarcati per mare, amando il [p. 190 modifica]buon governo di Vostra Maestà; ed al presente han cura della matematica: ed in tempo della Guerra con tutta cura ferono istrumenti militari, e pezzi d’artiglieria: e mandati a’ Moscoviti con somma lealtà ripresero, e trassero a fine il trattato. Il merito fù molto; gli Europei, che vivon quì in ciascuna Provincia, non han vizj nè animo di perturbare il Comune, nè tampoco con dottrina falsa traggono gli altri, ne con bugie ingannevoli muovono ribellioni. Se a’ Tempj de’ Bonzi si permette, che ciascun vada per le sue adorzioni agli Europei, i quali non fan cosa contro le leggi, per lo contrario proibirlo, par che non convenga. Veramente è necessario, che le Chiese d’ogni luogo, come prima, si conservino: ed a ciascuno, che in quelle entra a far riverenza, non conviene vietarlo, ma gli si permetta andarvi come gli piace. Attendiamo il dì, che venga l’ordine di V. M. perche si possa pubblicare in quella Corte, e sua Provincia; mentre noi altri Consiglieri de’ Riti non osiamo usurparci questa autorità, ma con tutta riverenza facciamo relazione, e supplichiamo per l’ordine di V. M.

Il Re s’uniformò con la consulta: e i Padri furono a rendergliene le grazie. Si pubblicò il decreto, e’l V. Re con suo dispiacere per ordine dell’Imperadore rifece loro i danni, aprì le Chiese, e [p. 191 modifica]restituì tutto al Padre Intorcetta: il quale anche datene le grazie all’ Imperadore, ebbe per favore d’andar di compagnia col Padre Antonio Thomas, che con il titolo d’Inviato del Re con due Tartari andava incontro al Padre Filippo Grimaldi, che ritornava d’Europa. In effetto furono tutti e quattro in Macao a congratularsene da parte dell’Imperadore: e l’istesso V. Re di Canton d’ordine del Re andò quivi con altri Mandarini per complire alla medesima funzione, secondo il costume del paese, che è di batter la testa nove volte al suolo, dimandando per la salute dell’Imperadore, con le particolarità sopra notate. La Città di Macao praticò il simile con detto Padre Grimaldi; sì grande è la venerazione, in cui si tengon i favoriti, e domestici dell’Imperador della Cina, non sol da’ sudditi, ma dall’istesso Re, che tre volte vi aveva prima mandati Inviati per dar il ben venuto a detto Padre. Così il mezzo istesso, onde doveva avvenir la rovina della Religion Cattolica, per permission di Dio, fu disposizione al fermo ristabilimento di quella. Dopo sì fortunato fine tutti i Padri ch’erano confinati in Canton, ritornarono alle loro Chiese; e la [p. 192 modifica]Religion, che per l’addietro professavasi nascosamente, e con riguardo nella Cina, per gli editti, che la proibivano, oggi si predica quivi palesemente, e dell’istessa maniera, come in Europa. E per tutto l’Impero si fabbrican Chiese tuttavia al vero Dio, ancorche il contendessero alcuni di coloro; essendo imposto così dall’Imperadore nel narrato decreto, il qual si vede in ciascuna Chiesa Cattolica posto su la porta a lettere d’oro.

In Pekin i soli Padri Gesuiti tengono tre Chiese. Una è dentro il primo recinto del palagio, e s’appartiene a’ PP. Francesi: ove è Superiore il Padre Fontanè, assistendovi i Padri Gerbillon, Buet, Visdalou, ed un Padre Alamanno detto Kiliano Stumps, valentissimi tutti nella matematica, e nell’altre scienze molto ragguardevoli, i quali furon scelti dalla Compagnia, per ordine del Re di Francia, ad istanza del Re di Siam; donde (dopo la morte di colui) son presso a nove anni, che passaron per la Città di Nîmpò in Cina, e si stabilirono in Pekin, non ostante le gagliarde opposizioni, e molestie fatte lor quivi da’ Padri Portoghesi dell’istessa Religione, per impedirne loro lo stabilimento; ad [p. 193 modifica]ogni modo oggi son eglino molto avanti nella grazia dell’Imperadore, il quale diè loro casa nel detto primo recinto, dove ora si fabbricano le stanze, e la Chiesa.

L’altra Chiesa è nella parte Oriental della Città de’ Tartari e si dice Tutang, ove era Superiore il P. Sifaro, che passò Vescovo in Nankin, assistendovi al presente il P. Antonio Tomas di Namur buon Matematico, e con lui il P. Suarez.

Nella terza Chiesa assisteva il P. Grimaldi da Superiore, e V. Provinciale, co’ PP. Pereira, Rodriguez, e Ossorio. Ella è porta nell’istessa Città de’ Tartari alla parte d’Occidente (detta perciò Sitang) presso la porta del Suncimuen: et è la più antica, e la più bella dell’altre. Ha tre Altari ben’adornati: una buona facciata al di fuora, con due Torrette a’ lati. Per lo mantenimento loro assegna l’Imperadore il provvedimento del riso, olio, zuccaro, spezie, sale, legna (che non è poco in Pekin) et altro, in sì buona quantità, che mi dissero i PP. Francesi, che ciò montava al valor di cento lean, o 125. pezze d’otto per ciascun Padre. Co’ quali, e con l’affitto d’alcune botteghe, e case, vivono ben’agiatamente i Padri [p. 194 modifica]Portoghesi, senza abbisognar d’altro del lor paese. Ma non così i Padri Francesi, che vivono molto scarsamente, ancorche loro venga somministrato quivi altrettanto da Francia: per cagion ch’il vivere nella Corte è ben caro: e quantunque l’Imperadore in diverse volte, ch’andò a vedergli, dimandasse se lor mancava alcuna cosa, eglino nondimeno risposero per modestia di nò. E quì non è di passare in silenzio, che quando l’Imperadore va nelle Case de’ Padri Francesi, o Portoghesi a vedergli, bisogna che facciano uscir tutti i servidori, e che stiano aperti tutti gli usci degli armarj, per dimostrar, che non vi è niuno dentro.

Ma la vita dura, e faticosa, che mi narrarono menar quivi i Gesuiti, è ben grande; poiche ogni dì allo spuntar del Sole debbono andar in Palagio i PP. Grimaldi, Gerbillon, e Fontanè, o per dar lezzione all’Imperadore, o per udir ciò, ch’egli desidera; e se per ventura alcun lascia d’andarvi qualche mattina, tosto è mandato a chiamare: e quivi ritengonsi sin dopo mezzo dì. Gli altri Padri sono impiegati a far istrumenti Matematici, acconciare orologi, o correr quà, e in là; a segno ch’il P. Grimaldi mi disse, [p. 195 modifica]ch’egli cambierebbe la sua vita con una galea, ove almeno avrebbe ora di riposo: e rammaricavasi ancora, che l’Imperadore voglia far tutto, et anche cambiare i PP. da un luogo ad altro; intendendo dell’Alemano, ch’egli l’avea condotto, e’l Re l’avea posto a viver co’ Francesi.

Ma egli avea veramente ragione di dolersi, poiche a’ 25. del passato mese di Luglio venendo dal Palagio cadde dalla mula: e rimaso col piè nella staffa, ne fu trascinato due tiri di schioppo, con rischio di morire, uscitogli quasi tutto l’occhio fuora; se ben poi si guarì perfettamente, curato da un Cirusico, che gli mandò l’Imperadore.

Non solo assistono con tanto sconcio (spezialmente d’inverno, che s’attaccano i peli lor nella bocca per lo gelo, e la saliva) all’Imperadore, ma a’ Cristiani Cinesi per la salute delle loro Anime; tenendo nelle porte di Pekin esorcisti Cinesi provvisionati per battezzar gli espositi, che si gittano avanti le porte della Città, e ne sono in pericolo dì morte. Narrommi il Padre Ossorio, che se ne battezzino intorno a 3. m. l’anno, avanti che si portino allo Spedale d’un Miau, o Pagode destinata per allevargli: e [p. 196 modifica]dissemi ancora, ch’ogni anno se n’espongono più di 40. m. buona parte de’ quali gittati in cloache muojono per lo freddo.

Saranno in tutto l’Imperio della Cina 200. m. Cristiani assistiti da’ Missionarj di varie Religioni, ch’a confessare il vero hanno grand’obbligazione a’ Padri Gesuiti di Pekin, ch’in ogni persecuzione si sono opposti alla burbanza de’ Mandarini per difesa de’ PP. che sono per lo Reame alla cura delle loro Chiese. Nè sarebbe capace altra Religione a mantenersi, come mi dicevano i Riformati, e Clerici Missionarii; poiche per dar soddisfazione all’Imperadore, bisogna sapere far tutto, e comporre il lor Kalandario in tre lingue col moto di tutti i Pianeti, e delle stelle più considerabili, et osservar l’eclissi, e far tutte sorti d’istrumenti Matematici: altri acconciare orologj, e tal’uno distillare acque; perciocchè i Cinesi amano per fine d’interesse gli Europei. E con ciò si mantien la missione, non sol de’ Padri della Compagnia, ma di 16. altri Padri Riformati Spagnuoli, e di dieci altri Domenicani, e di 5. dell’Ordine di S. Agostino Spagnuoli, che son mantenuti dalla pietà del nostro Re delle Spagne: così ancor mantengonsi i Clerici Francesi, [p. 197 modifica]che vivono in comunità con gli fondi, che tengono in Francìa, ripartendo fra tutte le Missioni della Cina, Cocincinna, Siam, e Tunchin ogni picciolo sussidio, che lor viene. I meno agiati sono i Padri Portoghesi, ch’al numero di 40. dimorano per l’Impero; poiché non avendo altro fondo, ch’il legato del Vescovo di Munster, e’l poco, che lor viene da Portogallo, ripartito fra tanti, non è ciò bastante al mantenimento loro, che non possono sperar da’ Cristiani Cinesi miserabili, poiché i ricchi, e Mandarini non si fan Cattolici, per non lasciar tante donne. E pure è vero, che son fermi nel loro jus patronato della Cina, non permettendo il Re di Portogallo, nè i Portoghesi, che i PP. Missionarij d’altre nazioni passino in quello Impero per altra strada, che per quella di Lisboa, acciocchè quivi giurino prima fedeltà al Re di Portogallo, senza che nella Cina poi sian mantenuti da lui: nè può egli del suo Reame mandarvi soggetti bastanti, e nè men mantenervili; per maniera che, se non s’inframette in quella Missione la Maestà del nostro Re delle Spagne, non vi faranno gran progresso i Portoghesi, nè gran tempo vi potran durare. [p. 198 modifica]

La nazion Cinese è sì passionata di se stessa, che stima tutte l’altre genti barbare, e rozze. I Missionarj Europei la vanno tuttavia disingannando con l’Impressione di 500. libri della legge di Dio, c’han fatto in meno d’un secolo; avendo tradotte l’opre di S. Tomaso, e la Sacra Scrittura ancora. Tengono perciò in Pekin una buona libreria di libri Cinesi, et Europei; nella quale ho veduto tradotto il Mappa in lingua Cinese, ma in forma quadrata; stimando quella nazione, che la lor Cina sia nel mezzo, e gli altri Regni quasi Isole intorno.

E perche l’incendio della guerra Cinese co’ Moscoviti estinsesi per la buona condotta de’ nostri PP. fia bene prima di terminare questo Capitolo, farne un brieve racconto di quella spedizione. Adontossi l’Imperadore, e venne alla dirotta co’ Moscoviti, per cagion della pesca delle perle della Città, e Lago di Nepehyù; ma poi sospettando, che coloro agevolmente si potrebbero allegar col Tartaro Eluth a danno del Reame, ch’egli possiede nella Tartaria Orientale; spedì un suo suocero Regolo Tartaro con gli PP. Pereira, e Gervillon, a fine di stabilir la pace con coloro. Giunse quel [p. 199 modifica]Regolo Tartaro a vicinanza de’ Moscoviti, e in prima con poco senno per porgli in timore squadronò loro in fronte il nerbo della cavalleria: quindi orgogliosamente fattosi innanzi disse loro: Il mio Imperadore per sua grazia vi concede la pesca nella tal parte sola del Lago. Alle quali altiere parole i Moscoviti risposero per beffa, che di ciò non avevan grado alcuno all’Imperador della Cina, perciocchè eglino già l’avevano: e sdegnati tosto si volser dietro senza voler più udirne parola di pace.

Rimase afflitto il Tartaro in veder rotto il filo del trattato, temendo nel ritorno d’andarne a rischio della persona; poiche ben sapeva quanto fosse a cuore all’Imperadore di stare in buona rispondenza co’ Moscoviti, non già per timor di loro, che non possono porre in piedi più di dieci mila soldati, ma per lo solo riguardo di non accrescersi le forze dell’Eluth Tartaro d’Occidente: il quale è sempre in guerra con l’Imperadore, infestando con continue scorrerie la Tartaria Imperiale. E benche il Re della Cina tenga maggiori forze, nondimeno non son sì buoni soldati i Cinesi, come i Tartari, avvezzi ad ogni disagio, i quali [p. 200 modifica]passano più diserti in una settimana con un sacco di farina sulla groppa del cavallo, e nutronsi de’ cavalli, e camelli: quando i Cinesi son sì delicati, che vogliono andar alla guerra con tutti gli agi, nè pretendono passar oltre i confini, quando quelli vengono lor meno. Onde l’Imperadore per non veder brugiare il suo paese (ben distante da Pekin) da 150. m. cavalli, che porrà in campagna quel Re Tartaro, procura di tenerlo contento con grosse somme d’argento, che gli fa capitare, o per ogni via d’impedir, che non si renda più potente; mentre l’unico capitale dì coloro è la guerra, della quale, e di ruberie vivono; non avendo altro capitale, che l’arco, e freccie.

Vedendo il P. Pereira, che quel Regolo Ambasciadore stava molto dolente per la mal condotta ambasceria, s’offerse egli d’andare al Campo de’ Moscoviti, per ripigliare i trattati della pace. Ricusò il Tartaro da prima, dicendo, che i Moscoviti erano uomini fieri, che l’avrebbono ucciso: ed egli ne sarebbe tenuto darne conto all’Imperadore, che gli l’avea consegnato. Anzi nò, disse il Padre Pereira: eglino son persone molto ragionevoli, e costumate: ed io volentier [p. 201 modifica]mi comprometto di comporre con loro il tutto. In effetto egli vi andò: e quando stava con timor di sua morte colui, egli dopo due giorni ritornato recò le Capitolazioni della pace; di che per l’allegrezza rimase oltre modo confuso il Regolo. Banchettarono poi i Moscoviti con generosità il Tartaro: il qual molto scarsamente restituì loro l’invito.

Accomiatatosi l’inviato Cinese si ritornò a Pekin, traversando per istrada più deserti, senza ritrovar Città, nè Villa ove potesse dimorare. Egli è vero, che vastissimo sia quel gran tratto della Tartaria Imperiale, che si possiede dal Re della Cina; ma egli è sì incolto, e boscoso, che in qualità ben picciolo può dirsi, vivendovi que’ poveri Tartari sotto capanne, senza case murate, a modo degli antichi Numidi, o Hamaxobiti, che tutti intesi alla vita pastorale, nè men case avevano, ma con loro portatili mapali, ove più concio era, andavano ad abitare. Ma l’Imperador odierno della Tartaria, bene al presente dirozzandogli comincia a far loro fabbricare Ville, e raccorgli entro a quelle in comunanza, tenendovi 40. Regoli, e Principi suoi tributari, fra quali sono i Tartari Fautazi, e Xalxa, [p. 202 modifica]che porranno chi 7. e chi 20. m. soldati a cavallo di masnadieri, che vivon di rapine. Il più curioso, che si trova in questo terreno inculto (per quel che mi dissero i PP. Giimaldi, Gervilion, e Pereira) son’i grandi ponti di maravigliosa architettura, e dipintura, che fan coloro sopra i fiumi, per dovervi passar l’Imperad. unendo per mezzo di quelli una montagna con l’altra.

Giunto in Pekin l’Inviato Cinese, fu molto lieto l’Imperadore dell’accordo, che confessò colui doversi a’ Religiosi, Vennero appresso gli Ambasciadori mandati dal G. Duca della Moscovia, i quali ricevè l’Imperadore in un trono elevato 20. gradini da terra, sopra il quale gli fè poi montare per dar loro a bere; e quantunque sul principio rifiutassero coloro di batter la testa al suolo, secondo il costume del paese, alla fine vi s’indussero. Ammirorono grandemente di vedere in tanta maestà una famiglia Tartara, di cui confessarono non aver trovato il luogo dell’origine dopo aver camminato tutto quel vasto paese (mentre da Mosca vengono i Moscoviti per 20. giornate di distanza in Pekin, sempre dentro la loro giurisdizione) avendone quivi presa buona parte spettante alla Tartaria; da che poco [p. 203 modifica]conto ne prese a far l’Imperadore dopo aver fatto passaggio dalle rozze tende alla Regia più maestosa del Mondo.