Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro I/VIII

Libro I - Cap. VIII

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CAPITOLO OTTAVO.

Descrizione della Imperial Città di Nankin.


K
Iamnim, o Nankin, cioè a dire in lingua Cinese corte di mezzo dì; è in 32. gr., e 53. m. d’elevazion di polo: situata per lo più in piano. Fu in tempo del Minciau sede Imperiale, siccome è oggi Pekin del Zinciau Tartaro. Min, e Zin son come si dicesse in Francia Valois, e Bourbon: Ciau vuol dire Impero, o tempo dell’Impero; antiponendo coloro il genitivo, al roverscio del nostro modo [p. 75 modifica]di parlare, poiche usano i Cinesi P. Magaillans novelle Relat. de la Chine pag. 2. distinguere i lor Reami per diverse famiglie Reali con gli nomi Hia-que, Xam-que, Cheu-que, etc. Il P. Luigi Lecomte fà di 48. miglia di giro Nankin, sembrandogliene le mura più tosto confini d’una Provincia, che di Città Memoires sur l’etat present de la Chine letr. III. pag. 233.; nondimeno per quel che io compresi andandola osservando, non potrà aver di giro più che 36. miglia Italiane, ancorche Monsignor d’Argoli la facesse di 40. Le mura, che la cingono son pochi Bastioni, e non più d’otto palmi larghi. Si comprendono in questo circuito campi, e giardini disabitati. I Borghi intorno alla Città son poco meno di essa, prendendosi sotto nome di Nankin, oltre di quelli, un altra Città natante sù i Canali in tante Barche: Dimandato il suddetto Prelato del numero degli abitanti di sì vasta Città, mi rispose, che da più Mandarini gli era stato riferito essersi numerati per l’esazzione del Tributo sino ad otto milioni di Porte, o di Case, le quali computate per quattro anime l’una, sarebbero al dir del detto Prelato, trentadue milioni d’anime: la qualcosa mi parve impossibile a credere. E reputandola menzogna (benche uscisse di bocca d’un [p. 76 modifica]¿Missionario Apostolico Riformato di S. Francesco, e Vescovo dell’istessa Città) quando poi giunsi a Pekin volli udir ciò, che no giudicavano i PP. di quella Corte: e raccontato loro il numero grandissimo delle genti, che me n’avea detto quel Prelato, mi rispose il Padre Ossorio Portoghese, che io non lo tenessi per menzogna; perciò che essendo passato per Nankin pochi anni prima un lor Padre della Compagnia Francese, e maravigliato di quell’immenso popolo aveva detto, che la Città sola senza i Borghi faveva più abitanti, che tutto il Reame di Francia; Io però ho riferito quel, che mi narrarono persone di buona fede: nè già intendo esser mallevadore di que’ cotanti milioni: Credane pur chi legge quel, che gli piace, perche io non gli ho annoverati: ho nondimeno i libri di tutto l’Imperlo Cinese, in cui è numerata ciascuna Città di quello, onde ben potrebbe cavarne la verità chi intendesse la lingua; poiche se il P. Bartoli Par. 3. lib. I. car. 22. vuol che faccia quell’Impero trecento milioni di gente, egli è necessario, che quelli siano nel suolo Cinese, non già appese nell’aria, e alla perfine i Villaggi non possono comporre questo numero; nè si trova nella Cina altra [p. 77 modifica]Città uguale à Nankin, essendo Pekin molto minor di quella.

In ordine a render popolata la Republica, ed Imperio, deve notarsi in questo luogo, che le massime Cinesi sono differenti dall’Europee; poiche quivi è tenuto per uomo dappoco, e vile chi non si ammoglia, mentre così non suscita, ma estingue il seme paterno, e la famiglia; onde se faranno dieci figli tutti si casano, e prendono tante mogli, quante ne permette la facoltà loro, tenendone cento tal’uno, comprese le Concubine: In Cina difficilmente permetton meretrici, acciòche non si corrompa la Gioventù: e trovandosi alcuna, n’è severamente gastigata, onde per necessità bisogna che ogn’un s’ammogli. I Cinesi non escono dal lor Paese per popolar Reami stranieri; anzi sono reputati infami i vagabondi, che lasciano di propagar la loro famiglia, e di prestar gli ossequij dovuti a’ loro maggiori Defonti, da cui eglino han avuto l’essere. L’aria, e temperamento Cinese è ottimo alla generazione: e le donne son fecondissime; non avendone io veduta una in età di partorire, che non tenga due figlioli all’intorno, ò uno nel ventre, et [p. 78 modifica]altro al petto; mentre le donne Cinesi si affaticano a rendersi feconde, per aver l’estimazione dell’altre appresso la suocera e’l marito, i quali non ammettono alla lor tavola le sterili, mi da loro si fan servire, come se fussero fanti.

Gli abitanti, che sono in Nankin, non son tutti Cinesi, ma vi sono ancor molti Mori venuti dalla G. Tartaria (accertandomi il Padre Filippo Grimaldi, ch’in tutta la Cina ve ne siano due milioni), i quali han per politica di non casar le loro figlie, sol che nella propria Setta; onde moltiplicano per tutto l’Imperio, come Locuste: Il Palagio Reale e dentro la Cittadella situata ad Oriente della Città, e tenuta dal Presidio Tartaro, che non vi permette l’ingresso; oltre che non vi è rimasa nel Palagio suddetto cosa degna da vedersi: Le strade di questa Imperial Città son convenevolmente larghe, e ben lasiricate: i canali molti, e profondi: le case basse, e pulite: le botteghe ricche, e fornite di tutte sorti di drappi, ed altre opre di prezzo. In fine questa è come il centro dell’Imperio: dove si trova tutto ciò, che è di più raro, e di più curioso dentro l’altre Provincie. Ivi vengono a stabilirsi i Dottori più famosi, e [p. 79 modifica]Mandarini fuori delle loro cariche; le librarie son numerose, e i libri scelti: la stampa è la più bella: gli Artefici più diligenti: la lingua più colta: in fine non vi sarebbe altra Città più acconcia, e degna per esser sede ordinaria degl’Imperadori; se la loro presenza non fosse necessaria nelle frontiere per opporsi a’ loro nemici.

Questa è la Citta delle sete per la buona qualità, e quantità de’ drappi, che vi si lavorano, e si mandan per tutto l’Imperio, e fuora: nè l’Imperadore si provvede altrove, ch’in Nankin, di quanto fà mestieri per la sua innumerabil Corte. Nella Provincia son grandi campi di mori bianchi: e se ben gli alberi sian piccioli, hanno nondimeno le lor frondi grandi, di cui si pasce il verme, che nasce nella Primavera, et in 40. dì rende perfetta la seta: la qual tutta si conduce a lavorarsi in Nankin da infiniti, e diligenti Maestri, che vivono di tal mestiere. Ben se ne lavora ancor nella Provincia di Cekian molta quantità; ma que’ drappi non vengono della qualità di quelli di Nankin.

Oltre della seta artificiale, si raccoglie ancor nelle suddette 2. Provincie di Cekian, e Nankin la naturale, e selvaggia, la qual fassi su gli alberi da alcuni vermi, [p. 80 modifica]ritrovandosi i follicelli quivi, senza che alcuno ne abbia avuto cura: ma non è sì fina, nè di cotanto pregio la selvaggia, come è quella fatta per industria. Io ne portai drappi dell’una, e dell’altra seta lavorati, per fargli vedere a’ curiosi. Trac tanta quantità di seta il negozio, e’l concorso de’ mercatanti da’ remotissimi paesi, che la trasportano in drappi, non solo per vendergli, ma per cambiargli ancora con musco, ed oro, spezialmente nel Reame del Lamà, dov’è tanto copioso quello metallo; perche quantunque i Cinesi tengano le lor mine d’oro, nondimeno non ardiscono di calar sotterra per cavarlo; e ne raccolgono sol qualche mica ne’ fiumi, facendovi fossi nelle rive, dove quelle portate giù da’ torrenti de’ monti, tal volta si ritrovano.

Per riguardo della sua grandezza, è governata la Città da due Governadori, a’ quali son sottoposti centinaia di Mandarini per l’amministrazione della Giustizia: oltre a gli altri, che non han dipendenza alcuna, fuor solamente che dall’Imperadore.

Assiste in Nankin un Suntù, ch’è come un Vicario generale sopra due V. Re; [p. 81 modifica]e due Provincie; mà non hanno costoro l’autorità, e le regalie de’ nostri Vicerè; poiche per giustizia non possono far morire alcuno senza la partecipazione, e confermazione della Corte, ma solo con bastonate possono indirettamente farlo. Nè tengono facoltà di mandare un Governatore, o Mandarino a qualsivoglia picciola Città delle loro Provincie; spettando ciò solo all’Imperadore: e suoi Tribunali: e sol eglino posson mandarvi il Luogotenente, fin’à tanto che venga dalla Corte il Proprietario. Per togliere quanto sia possibile l’estorsioni, e dipendenze, non possono praticare gli stretti parenti de’ Ministri co’ loro sudditi; onde teneva allora il Suntù un nipote rinserrato in una camera come un Religioso, senza poter uscire, dandogli il cibo per una ruota: vietando anche le leggi fondamentali del Reame, che niuno possa aver giuridizione nella sua patria, o tener famigliari della Provincia, ove governa.

Riposai tutto il Mercoledì 12. in casa, ritrovandomi molto pesto da’ disagi del viaggio. Per quanto permette la povertà religiosa, la casa, e Chiesa di que’ PP. Missionarj sono bastantemente ornate. [p. 82 modifica]S’entra per cinque piccioli cortili, o corritoj nelle stanze loro, ornati in mezzo di vaghi filari di fiori, poichè l’industriosa mano Cinese fra le fissure de’ mattoni, che cuoprono il suolo, pianta diversità di fiori, che s’alzano ad agguagliare la statura d’un’uomo per fargli una spalliera fiorita dall’uno, e dall’altro lato; crescono in 40. giorni, e riserbano questa fragil tapezzeria quattro mesi. Son fiori particolari di quel paese, che non si trovano altrove: uno è detto Kiquon di più spezie, colori, e forme strane, ma molto vago, essendo di color di canna uno, altro di rosa secca, altro giallo, ma come una morbida seta felbata. Vi è spezialmente fra dette fissure un’erba, che se ben non dia fiori, è nondimeno molto vaga a vedere, con le fronde listate, e dipinte dalla natura d’un vivo colore giallo, rosso, e verde. I Tulipani, che fioriscono per que’ cortili, son più grandi degli Europei: le Tuberole sono assai copiose, e di molta fraganza, che s’incontrano per tutti i viali, con altri fiori; per maniera che ne godono bastantemete gli occhi, e le narici, sin’agli appartamenti del Prelato, e de’ suoi Religiosi. La Chiesa è picciola, ma bella. Il [p. 83 modifica]servigio, che tengono de’ fanti, è acconcio, ma non soverchio: il giardino è vago assai, e ben coltivato di piante, e d’erbe; poiche vi sono uve, pesche, poma, mele granate, castagne, e quantità di fichi neri, e bianchi, di assai buon sapore; avendone io mangiato quivi a bastanza dopo la privazion di due anni; perche nella Cina ne uve, ne fichi si trovano, fuor solamente che nelle Case de’ PP. Missionarj, non curandosene troppo i Cinesi per lo diletto maggiore, che sentono nell’altre loro frutta. Nel medesimo giardino è una peschiera di ottimi pesci, i quali sol vivono d’erbe, che lor si danno. I PP. Gesuiti tengono in Nankin una buona Chiesa: in cui, mentre io passai, era un Padre Siciliano, ed un’altro Cinese.

Giovedì 13. postomi la mattina in sedia, andai a veder due maravigliose campane: una stiva nel Ciun leu caduta a terra dal gran suo peso: la sua altezza era d’undeci piedi: il maggior suo diametro di sette, compresavi ancor la grossezza delle labbra: la circonferenza di fuora era di 22. piedi, la qual s’andava ristrignendo alquanto fino al mezzo dell’altezza, dove poi quella di nuovo si rienfiava. Era la grossezza del metallo di [p. 84 modifica]sei pollici, e mezzo. Il suo peso, con comprendervi ancora quello del manico, per quanto mi fu detto, e mi sembrò vero, poteva esser di cinquanta mila libbre, altrettanto più di quello della tanto famosa campana d’Erfort, la qual dice il P. Kirker, che sia la maggior campana del Mondo. Mi raccontavan coloro, che era ben’antica, più da trecento anni addietro: e che essendo caduta a terra, non si eran poi curati più di riporla in alto per uso di sonarla.

Presso al narrato Ciun-leu è un quadrato di fabbriche sopra 3. gradi volte, in cui è alzata una sala, o loggia con sei porte all’intorno. Dentro vi è una pietra nera con iscrizione (chiamasi Culeu, ed era sostenuta da un grande animale) in lode dell’Imperador regniante, fatta dalla Città per gratitudine de’ beneficii ricevuti dalla magnificenza di lui, in due volte, ch’egli vi passò; essendogli uscite incontro 800. m. persone.

Passai appresso a veder il luogo de’ Matematici, dove si facevano l’osservazioni, in tempo che la Sede Imperiale era in Nankin, e Yonlo non ancor l’avea trasferita in Pekin. Questo è sopra un’alto monte a modo di galena, o di [p. 85 modifica]loggia sostenuto da più colonne. Egli è aperto per tutti i lati: e sol vi sono all’intorno balaustri, e sedie di marmo per potere scorger da tant’altezza la Città tutta; chiamasi da’ Cinesi Quansintay. Vidi quivi un’altra iscrizione fatta ad onor dell’Imperadore, la seconda volta, ch’egli vi andò: la qual stava entro una gran sala, o loggia di nuovo allor fabbricata, e dipinta all’uso di quel paese. Era intagliata in una pietra nera con geroglifici, non già incavati nella pietra, sicome noi usiamo far nelle nostre lapide, ma rilevati su la faccia di quella: il qual’uso è appresso coloro in tutte le loro lapide. Mi dissero, che que’ caratteri aveva lor dati di sua mano il medesimo Imperadore, acciocchè sì s’intagliassero.

Sopra questo monte era una Pagode detta Cuni miau con due Pagodini allato del cortile, e più Idoli di sconcissime figure. Entrai nella principale, e ve ne vidi uno con la faccia macchiata, come un Covello di commedia, il qual chiamano Cecoali. Alle spalle di quello rivolta, girandosi dietro dall’altare, vedevasi la statua d’un’altr’Idolo, che chiamavano Tauzù, tutta dorata: il qual stava a sedere, con una mazza in mano, e con la [p. 86 modifica]corona in testa, e con barba, e mostacci. Eranvi ancora altri due Idoli assai brutti, ed orribili a vedere.

Sopra altro monte vicino vi è un Tempio di Religiosi detti da loro Xoscian, o da noi Bonzi. Costoro tengono un buon giardino, e boschetto. Entrando io quivi in una cappelluccia, vidi un’Idolo detto Quan lauye, che stava seduto, tenendo lunghi mustacci. Di questi, e d’altri narrano i Cinesi favolosi successi. Sonovi ancor due Colossi in piedi, uno con la spada in mano, e l’altro con la mannaja, tinti nella persona tutta di diversi colori; i quali chiamansi Kinkan: nè vi mancano di tali mostri nella maggior parte delle Pagodi. Fatta una gran salita sopra il monte per gradini di pietra, mi vennero i Bonzi incontro per presentarmi il Cia, o erba Te, la quale io ricusai; poi mi condussero per la Pagode: nel cui entrar si vedeva una statua seduta con abito da Mandarino. Giudicai esser stato colui alcun’uomo ragguardevole, che per le sue rare qualità sia quivi adorato da quella cieca gente.

Andato poi in altra Pagode, entrando vidi un’Idolo ignudo a color d’oro, che [p. 87 modifica]dissero essere Quoija: a cui dietro rivolto stava un’altro dell’istesso colore sedendo, coperto d’una veste dì sera bianca: teneva lunghi mostacci, ed era detto Quoinsan. Nell’istessa Pagode vi è una Piramide, con più lanterne, per accendersi in tempo di feste. Mi feron vedere una campana ben grande di bronzo appesa, che toccavasi a mano con un martello di legno coperto d’un panno.

Ritornato per dove venni, passai a vedere un’altra campana, la qual stava in un giardino distesa per lungo, e mezza sepolta: misuratane l’altezza, la trovai di sedici palmi senza il manico, e di un palmo di grossezza. Dicono, che questa pesi ottanta mila Catì Cinesi (ogni Catì è 20. once d’Europa) e che quando si toccavano queste campane, si sentivano ben da lontano molte miglia.

Venerdì 14. postomi in sedia andai alquante miglia per entro la Città, uscendo appresso per la porta di Nan muen, (sogliono i Cinesi in tutte le lor Città a’ quattro venti principali far altrettante porte, appellando quella di Levate Tun, quella di Ponente Si, quella di Mezzodì Nan, e quella di Settentrione Pe) gli uscì son di ferro ben forti: e in ogni [p. 88 modifica]entrata ve ne sono quattro, un dentro l’altro, essendo un tiro di moschetto larghe le fabbriche, ove quelli sono. Passai appresso il canale, e braccia del fiume sopra un buon ponte, per andare al Borgo a vedere la Torre, e Tempio di Paùnghen su. Significa Paù in lingua Cinese gratitudine, o guiderdone, Nghen beneficio, Su Tempio; poiché avendo un gran Signor Cinese aiutato l’Imperador Tartaro ad entrare, e impadronirsi del Reame, e rinunziando poi colui al Mondo, e fattosi Bonzo, l’Imperador Yonlo li fabbricò (son più di trecento anni addietro) quel Tempio, e Torre per gratitudine. Entrasi quivi per due porte in un gran cortile: in fronte del quale si trova la prima Pagode; ove si entra per altrettante porte, montandosi alcuni gradini, dentro la quale vi è una figura d’una Donna in piedi, e ne’ suoi lati quattro Colossi, che diconsi Kinkan, con armi in mano, e di più colori dipinti, che porgono orrore a mirargli. Nella parte di sù, o altar maggiore vi era seduto un’Idolo col piè sopra il ginocchio, e tutto di color d’oro nella persona: dietro il quale eravi altr’Idolo dell’istesso colore anche sedendo. Passato al secondo [p. 89 modifica]cortile, ed al terzo vidi all’intorno l’abitazioni di quei Bonzi, che assistono alle Pagodi, che sono intorno a mille, e vivono di rendite. Al lato sinistro del secondo cortile, o chiostro e altra Pagode, alla quale si monta per pochi gradini. Vidi in quella le statue di due Donne sedute, l’una di spalle all’altra, ma alquanto più in alto la seconda, e di color d’oro, con più Idoli piccioli a’ piedi, ed’intorno alla Pagode. Dal lato destro per 15. gradini montavasi a tre Pagodi, entro a cui erano più statue d’Idoli, e di Mostri, a’ quali erano cortine di seta avanti.

Passando più oltre, alla fine del cortile si trova la Pagode maggiore coperta tutta di porcellana di più colori. Montasi a quella per una grande, ed ampia sala, sopra la quale è un’atrio, da cui per cinque porte si entra nel Tempio. Vedonsi quivi alti dal pavimento 12. palmi in nicchie fatte nella fronte dell’altar maggiore distaccata dal muro, gl’Idoli di tre Donne di color d’oro sedute, con più epitaffij avanti, e vasi di bronzo molto pregiati: ed intorno al muro un gran numero d’Idoli a piedi, e a cavallo: dietro la qual facciata vi è un’altr’Idolo di Donna in piedi, e ad un lato vi è un [p. 90 modifica]tamburo, che tre persone non lo potrebbono abbracciare: ed all’altro una gran campana di bronza, la qual picchiasi con un martello di legno.

Si rappresentava nel primo cortile da buoni Comici una commedia, col concorso di più migliaja di persone, che stavano in piedi. Mi vi fermai alquanto, e poi passai a veder la Torre, di che n’ebbi la licenza dal Bonzo col pagamento di poche ciappe. Era quella di porcellana fuori, e dentro, di color giallo, verde, turchino, ed altri, con figurine di più, e diversi Idoli. La sua figura era ottogona di circa 40. piedi di giro: aveva nove palchi, o appartamenti, divisi al di fuor con altrettanti cornicioni ingegnosamente lavorati: e la sommità era coperta di bronzo, con un globo dorato sopra. Per ogni palco eranvi quattro grandi finestre, rispondenti a quattro principali venti. Montai per due scale di legno fatteci a lumaca nella prima stanza: e da quella passando sino a quella di sù, vi annoverai 183. gradini ben’alti, oltre ad altri cinque gradini, ch’erano fuor la porta: ed era ancor la sommità della Torre alta più delle scalinate; di maniera che giudicai esser quella alta almeno 200. piedi. [p. 91 modifica]Le stanze erano nove, quanto i piani: ed in ogn’una vi era in mezzo una fabbrica, come pilastro, per porvi varj Idoli intorno. Il muro nel piè della Torre aveva dodici piedi di grossezza, e nell’alto otto, e mezzo. A confessare il vero, l’edificio era ben’inteso, e saldo, e’l più magnifico, che sia entro l’Oriente; essendo tutta l’opra dorata, che par che sia di marmo, o di pietra cisillata; poiché l’industria, ed ingegno de’ Cinesi è maraviglioso per imprimer tutte sorti d’ornamenti ne’ loro mattoni, per la finezza della terra ben Cagionata. Da su questa Torre (la quale i Cinesi appellan della Porcellana) mirasi tutta la Città, e’l famoso Edificio ancora delle matematiche; avvegnaché le sia lontano ben una lega.

Mentre io usciva dalla Torre, vidi passar la preghiera de’ Bonzi processionalmente. Precedeva uno con piviale attraversato per le spalle: appresso veniva altro con una beretta nera in testa schiacciata ne’ lati, e con la Corona Cinese in mano. Seguivano a due a due i Bonzi, toccando un campanello con un martello, altri un vaso di legno, e cantando a voce bassa. Entrarono nel basso della [p. 92 modifica]Torre, e girando due volte intorno adorarono gl’Idoli, che stavano in quello. Passarono appresso nel terzo cortile, ed entrarono nella Pagode, che sta in mezzo agli ultimi loro appartamenti: in cui il principale Idolo è come un Bacco, che sedendo mostra di ridere. Vi sono altre Pagodi, e Idoli in quel Tempio, i quali per non annoiare il Lettore, or si tralasciano di notare. La forma della narrata Torre meglio si vedrà nella presente figura.

Dopo desinare andai a vedere il sepolcro del primo Imperadore del Minciaù. Questo è fuor la Città in un monte custodito da Eunuchi, i quali quivi menan vita Religiosa. Consiste in una gran Sala ben coperta, con una come Tribuna dentro, dove si tien rinserrato il Ritratto di quello. Il tumulo è dentro una grotta cavata nel monte: e n’è chiuso l’ingresso. Mi disse Monsignor d’Argoli, che se io attendessi in Nankin un giorno di sepoltura (che segnavan gli Astrologi fortunato per tal funzione) avrei veduto passar più migliaja di tumuli; poiche i Cinesi non sol si fanno quelli in vita di legno fortissimo, e grosso mezzo palmo, misurandovisi prima dentro, per vedere se vi [p. 93 modifica]stiano agiati, ma dopo morte ancora rimangon per qualche tempo in casa i cadaveri quivi chiusi, sin’a tanto che dagli Astrologi loro sia prescritto il giorno della sepoltura; prolungando altri questa lugubre funzione per mancanza di mezzi, mentre li fa con gran pompa, e spesa.

Bisogna turarsi ben le narici colui, che cammina per Nankin, poiche s’incontrano sovente facchini con cati pieni di sterco per dover letamare i loro ortaggi; perciocchè mancando loro il letame degli animali, è di mestieri servirsi di quello degli uomini, che pagasi molto bene da’ giardinieri in ortaggi, o aceto, o denaro; comprando a più caro prezzo quello, che fassi dalla digestione della carne, che del pesce: i quali conoscono alla prova della lingua. Per gli fiumi non si vedono, che barche cariche di tal puzzo: e se per isventura alcuno è colto in mezzo di quelle barche, n’è per morire. Per le strade si trovano luoghi ben’accomodati, e imbianchiti, con loro sedie, e ripari, per allettare i passaggieri a scaricarsi del peso del corpo: tenendovi sotto un gran vaso di creta, per non perderne parte.

Se per render fecondo il terreno [p. 94 modifica]usano questa diligenza, che annoja il naso di chi passa; non sono però rese sporche le strade della Città dal calpestio di tanti animali, come in Europa; poichéènon si vedono porci per la Città, e campi, quantunque i Cinesi ne consumino grandissima quantità, uccidendosene in Nankin cinque, e sei mila il giorno: oltre delle vacche, che mangiano li Mori, e capre i soldati. Provedono a quello gran macello i particolari; poiché non vi è povero, che non allevi un porco in casa, o nella barca, che poi a tempo il vende per pagare il tsien lean, o tributo all’Imperadore, o per altre sue necessità; essendo sì buona la carne, che si dà agl’infermi. In tutti questi dì Monsignor Argoli, e’ due Padri suoi compagni mi persuasero a non andare in Pekin, perché i PP. Gesuiti Portoghesi non vogliono, che verun’Europeo prenda conoscenza dello stato della Corte: e che se io vi andava, senza dubio m’avrebbono fatto villania. E rispondendo io, che colà non andava per spiar gli affari della loro Missione, ma per sola curiosità di veder quella gran Corte: e che perciò non temeva niente: e che sarei andato di stanza nell’istesso Convento de’ Padri; in fine [p. 95 modifica]vedendo eglino, che non mi potevano rimuovere dalla mia ferma determinazione, feron la diligenza per disporre ciò, che mi faceva mestieri per lo viaggio.

Ben si poteva continuare l’andare per acqua sino a mezza giornata presso a Pekin; ma nondimeno si fa gran giro, e si allunga il cammino: onde tutti da Nankin prendendo la strada per terra, risolsi anch’io lo stesso. Feci dunque passare il servidore dall’altra parte del fiume Kian per prendere le vetture, che facevano di bisogno per proseguire il cammino sino alla Corte: e con l’assistenza d’un Cristiano Cinese, che l’accompagnò, egli le patteggiò per 5. lean, e 2. zien, che son sette pezze d’otto, e mezza l’una: dopo aver data la caparra ritornossi.