Geografia (Strabone) - Volume 2/Libro I/Capitolo I

CAPITOLO PRIMO

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Strabone - Geografia - Volume 2 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
CAPITOLO PRIMO
Libro I Libro I - Capitolo II


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CAPO PRIMO

Elogio della Geografia. Motivi che hanno indotto l’Autore a scrivere quest’Opera.



Allo studio del filosofo stimiamo che appartenga quanto verun’altra cosa la Geografia, la quale noi ora ci proponiamo di venire considerando. E che non a torto così stimiamo è manifesto per molti argomenti. Perocchè que’ primi che osarono trattarne furono filosofi: Omero, Anassimandro milesio ed Ecateo suo concittadino (siccome dice anche Eratostene), Democrito, Eudosso, Dicearco, Eforo ed altri parecchi: ed anche quelli venuti dopo costoro, Eratostene, Polibio e Posidonio, furono anch’essi filosofi. La varia dottrina poi per mezzo della quale soltanto può compiersi questo [p. 2 modifica]studio, non è propria d’altr’uomo se non di colui che le divine e le umane cose abbia meditate: e la cognizione appunto di queste cose si chiama filosofia. Oltre di che anche la molteplice utilità che si trae dalla Geografia o vuoi per la vita civile1 e per le pubbliche faccende, o vuoi per la cognizione delle cose celesti, degli animali di terra e di mare, delle piante, dei frutti, e di quant’altro si può vedere in qualsivoglia luogo, annuncia anch’essa un uomo occupato intorno all’arte del vivere ed alla felicità. Ma riassumendo ciascuna di queste cose che abbiamo accennate, veniamole considerando un po’ meglio.

E primamente mostriamo come a ragione e noi e quelli che ci precedettero (de’ quali è anche Ipparco) abbiam detto essere Omero il fondatore della scienza geografica: il quale non solamente nel valore poetico soverchiò tutti quelli che furono prima e dopo di lui, ma sì fors’anche nell’esperienza della vita civile. Però egli non fu diligente soltanto intorno ai fatti per conoscerne il maggior numero ch’egli potesse e tramandarli alla posterità; ma cercò anche le notizie de’ luoghi di ciascuna regione, e quelle di tutta quanta la terra abitata2 e del mare. Senza di ciò egli non avrebbe [p. 3 modifica]potuto spingersi coll’immaginazione fino alle estremità della terra stessa discorrendone la circonferenza.

E primamente la dimostrò, qual essa è nel vero, tutta circondata all’intorno dall’oceano. Delle varie sue parti poi altre le nominò, altre le accennò con alcuni indizii: nominò espressamente la Libia, l’Etiopia, i Sidonii e gli Erembj (che ben si direbbero Trogloditi Arabi); ma le parti orientali e dell’occidente le designò con dire che sono circondate dall’oceano. Perocchè egli pone che dall’oceano si leva ed in quello tramonta il sole, e così parimenti anche gli astri:

                             . . . . . . E già dal queto
                             Grembo del mare al ciel montando il sole
                             Co’ rugiadosi lucidi suoi strali
                             Le campagne feria3
                             . . . . . . . In grembo al mar frattanto
                             La splendida cadea lampa del sole,
                             L’altra notte traendo sulla terra4.

E dice eziandio che gli astri si lavano nell’oceano5.

Degli occidentali poi ci mostra la felicità e il buon clima ch’essi godono; avendo per quanto pare saputo delle ricchezze6 d’Iberia, dove portarono l’armi Ercole e poi i Fenicii (i quali v’ebbero anche grandissima signoria) e finalmente i Romani. Perocchè di quivi traggono i fiati di Zefiro: e quivi è dove il poeta immagina [p. 4 modifica]il campo Elisio, nel quale dice che Menelao sarà dagl’Iddii inviato:

                             Te nell’Elisio campo, ed ai confini
                             Manderan della terra i Numi eterni,
                             Là ’ve risiede Radamanto, e scorre
                             Senza cura o pensiero all’uom la vita.
                             Neve non mai, non lungo verno o pioggia
                             Regna colà; ma di Favonio il dolce
                             Fiato, che sempre l’oceano invia,
                             Que’ fortunati abitator rinfresca7.

Ed anche l’Isole de’ beati8 stanno rimpetto a quella estremità della Maurusia che accenna all’occidente; da quella parte dove anche l’estremità dell’Iberia concorre. Ed è manifesto dal nome, che le stimarono fortunate per essere vicine a que’ luoghi.

Nè ciò solo, ma afferma che gli Etiopi sono gli [p. 5 modifica]ultimi sull’oceano. Che siano gli ultimi il dice in quei versi:

                             Ma del mondo ai confini, e alla remota
                             Gente degli Etiopi in duo divisa9:

nè dice oziosamente in duo divisa, siccome appresso si dimostrerà. Che poi abitino sull’oceano l’afferma dicendo:

                             Perocchè jeri in grembo all’oceano
                             Fra gl’innocenti Etïopi discese
                             Giove a convito10.

Che poi anche l’estremità settentrionale della terra sia circondata dall’oceano l’accennò oscuramente, quando disse dell’orsa:

                             Dai lavacri del mar sola divisa11;

perocchè sotto l’orsa ed il carro significò il cerchio artico12: altrimenti, essendo in quello spazio tante [p. 6 modifica]stelle sempre visibili nelle loro rotazioni, non avrebbe detta che questa sola è divisa dai lavacri del mare. Sicchè non lo accuseremo più d’ignoranza, quasi ch’egli abbia conosciuta una sola delle due orse; perocchè non è probabile che di que’ tempi la seconda fosse già annoverata fra le costellazioni: ma solo dacchè i Fenici l’ebbero osservata e se ne valsero a navigare s’introdusse anche fra i Greci questa distribuzione. Lo stesso dee dirsi anche della chioma di Berenice, e di Canopo, che ieri soltanto ebbe il suo nome13, e di molte altre costellazioni che sono anonime ancora, secondochè Arato dice. Quindi Cratete non ebbe ragione di correggere sol esso è escluso dai lavacri14, fuggendo ciò [p. 7 modifica]che non era da fuggire. Ma Eraclito meglio di lui, e più omericamente, nominò anch’egli l’orsa invece del cerchio artico, dicendo: «Del levante e dell’occidente è termine l’orsa, e di contro ad essa è il soffio del sereno Giove15:» mentre non l’orsa ma il cerchio artico è limite dell’occidente e del levante. Sotto il nome adunque dell’orsa, cui chiama eziandio carro, e dice che accenna ad Orione, Omero significa il cerchio artico; e sotto il nome dell’oceano l’orizzonte, cioè quello spazio nel quale ha luogo il tramonto e il nascimento degli astri. Disse poi che l’orsa fa la sua rotazione sopra sè stessa e non si lava nell’oceano, sapendo che il cerchio artico è nella parte più settentrionale dell’orizzonte. Mettendo pertanto d’accordo il testo del poeta con queste osservazioni, intenderemo detto dell’orizzonte terrestre ciò ch’egli dice dell’oceano; e pel cerchio artico il quale, come pare ai sensi, tocca la terra, intenderemo il punto estremo settentrionale della terra abitata: sicchè anche quella parte del globo sia dall’oceano circondata, secondo Omero. Egli poi conobbe ottimamente anche gli uomini settentrionali, cui egli non ha menzionati nominatamente (perchè nè adesso pure hanno un nome a tutti comune), ma sì dal modo del vivere, dicendoli nomadi, preclari agitatori di cavalli, e galattofagi, e poveri.
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Ed anche altrove dimostra che l’oceano cinge all’intorno la terra, quando così parla appo lui Giunone:

                             . . . . . . . . . . Dell’alma terra
                             Ai fini estremi a visitar men vado
                             L’antica Teti e l’Ocean, de’ Numi
                             Generator16:

perocchè viene a dire con queste parole che a tutte l’estremità si congiunge l’oceano: e le estremità costituiscono la circonferenza. E nella Oplopea17 colloca l’oceano in cerchio intorno alla circonferenza dello scudo di Achille.

Avvi poi una prova del suo amore d’istruirsi anche nel non avere ignorato il flusso e riflusso dell’oceano, dacchè lo chiamò rifluente; e quando afferma che Cariddi assorbe il mare, soggiunge:

                             Tre fiate il rigetta, e tre nel giorno
                             L’assorbe orribilmente18.

Perocchè se invece di tre volte ciò accade soltanto due può essere o abbaglio di osservazione od error di scrittura; ma a questo fenomeno era volta la sua intenzione. Ed anche l’aggiunto di lene-fluente dato all’oceano ha qualche relazione col flusso e riflusso, che ha movimento placido e non punto impetuoso. Posidonio poi suppone che Omero, dicendo che gli scogli tal fiata sono coperti dall’onde, tal fiata ne rimangono ignudi, e chiamando [p. 9 modifica]fiume l’oceano, abbia voluto significarne le correnti cagionate dal flusso e riflusso. Ma egli nella prima parte ha ragione19, non già nella seconda: perocchè non somiglia a correntia di fiume il flusso del mare, e meno ancora il riflusso. L’opinione di Cratete ha qualche cosa che più persuade. Secondo lui Omero chiama profondo-corrente e retro-corrente ed anche fiume tutto l’oceano; ma dà poi quest’ultimo nome o quello di corrente di fiume anche ad una qualche sola parte dell’oceano stesso; come allorchè dice:

                             Poichè la nave uscì dalle correnti
                             Del gran fiume oceano, ed all’Eéa
                             Isola giunse nell’immenso mare20.

Perocchè qui non significa tutto l’oceano, ma sì una corrente di fiume nell’oceano di cui sia solo una parte. E Cratete poi dice che trattasi di un seno o golfo che dal tropico d’inverno si stende verso il polo meridionale; giacchè uscendo di cotal mare ben pos[p. 10 modifica]siamo trovarci tuttora nell’oceano; ma lasciare l’oceano e trovarvici tuttavia già non possiamo. Ora Omero dice: la nave uscì dalle correnti dell’oceano e giunse nel mare, il quale non è altro che lo stesso oceano: sicchè a interpretarlo diversamente, direbbe che uscendo dell’oceano entrò nell’oceano. Ma queste cose vorrebbero più lungo ragionamento.

Che poi la terra abitata sia un’isola s’impara dai sensi e dalla esperienza. Dovunque fu dato agli uomini di pervenire sino alle estremità della terra trovarono quel mare che chiamiamo oceano: e dove al senso non è conceduto di accertarsene, lo dimostra il raziocinio: perocchè lungo il lato orientale ch’è dalla parte dell’India, e lungo l’occidentale ch’è verso gl’Iberi e i Maurusii si può navigare, ed anche lungo gran parte dei lati di mezzogiorno e di settentrione. Il restante, che noi diciamo non navigato finora perchè non mai s’incontraron fra loro naviganti partiti da luoghi opposti, non è molto21, se noi poniamo a riscontro le distanze dei luoghi ai quali siamo arrivati. Non è poi verisimile che il pelago detto Atlantico22 sia [p. 11 modifica]diviso in due mari, o intercettato da istmi cotanto stretti da impedire la navigazione intorno alla terra; ma si vuol tenere invece che sia un mare solo e continuato. Perocchè coloro i quali avendo intrapresa quella navigazione non vi riuscirono, non dissero già di aver dato volta per avere trovato verun continente che loro si opponesse; ma sibbene per mancanza di vettovaglie23 e per essere i luoghi deserti: e non mai perchè fosse venuto meno il passaggio del mare. E questo s’accorda assai meglio cogli accidenti del flusso e riflusso dell’oceano: perocchè da per tutto i cambiamenti sì del crescere come del diminuire tengono un medesimo modo o sol di pochissimo differente, come se il movimento nascesse da un solo mare e da una sola cagione. Nè è credibile Ipparco ove contraddice a questa opinione, affermando che non avvengono in tutto l’oceano gli stessi accidenti; e che quando bene questo si desse, non ne verrebbe che il mare fosse tutto continuato intorno alla terra24: e del non avvenire per tutto gli stessi accidenti reca la testimonianza di Seleuco babilonese. Ma noi per tutto quello che potrebbe dirsi di più intorno all’oceano ed al flusso e riflusso ci rimettiamo a Posidonio e ad Atenodoro, i quali hanno sufficientemente trattato questo soggetto: e per ora aggiungiamo soltanto, che rispetto [p. 12 modifica]alla conformità degli accidenti del mare è da preferire la nostra opinione: perocchè i corpi celesti possono attrarre a sè maggiori esalazioni quanto più è copiosa l’umidità sparsa all’intorno della terra25.

Omero poi, come conobbe e descrisse esattamente le estremità della terra abitata e le cose che stanno alla sua circonferenza, così fece altrettanto anche del mare interiore26 . Perocchè a cominciare dalle Colonne d’Ercole27 lo circondano la Libia, l’Egitto e la Fenicia; poi le spiagge rimpetto a Cipro; quindi i Solimi28, i Licii, i Carii; e dopo costoro il lido ch’è fra Micale e la Troade, e le isole circonvicine, tutte menzionate da lui; come anche ordinatamente annovera quelle che giacciono lungo la Propontide e l’Eussino fino alla Colchide, e della spedizione di Giasone. Ed egli conobbe anche il Bosforo Cimmerio29, giacchè parlò [p. 13 modifica]de’ Cimmerii (e certamente non ne avrebbe saputo il nome se di loro medesimi non avesse avuto contezza); i quali al suo tempo, o poco prima di lui, discorsero tutto il paese dal Bosforo sino all’Ionia. Ed accenna anche il clima tenebroso del paese nel quale costoro abitavano, dicendo:

                             La ’ve la gente de’ Cimmerj alberga
                             Cui nebbia e buio sempiterno involve.
                             Monti pel Cielo stelleggiato, o scenda
                             Lo sfavillante d’ôr Sole, non guarda
                             Quegl’infelici popoli, che trista
                             Circonda ognor pernizïosa notte30.

E conobbe anche l’Istro31, avendo fatta menzione de’ Misii, nazione di Tracia che abita lungo quel fiume. Conobbe eziandio la spiaggia marittima che vien dopo, cioè la Tracia fino al Peneo; perocchè nominò i Peonii e l’Ato e l’Assio colle isole adiacenti a que’ luoghi. Appresso viene la marina degli Elleni fino ai Tesprozii, di tutta la quale fece parimenti menzione. Conobbe inoltre

[p. 14 modifica]anche le estremità dell’Italia, giacchè nominò Temeso32 e i Siculi: e le estremità dell’Iberia e la loro buona natura, come poc’anzi dicemmo. Che se fra mezzo a’ luoghi predetti ne vediamo alcuni lasciati addietro si vuol condonare; quando molte minute cose sogliono sfuggire anche al vero geografo. E gli si condoni eziandio se intrecciò alcuni favolosi racconti alle narrazioni storiche ed istruttive; nè di ciò gli sia fatto rimprovero. Perocchè non è vero quello che dice Eratostene, che ogni poeta tende a dilettare e non ad istruire: ma per lo contrario i più assennati fra coloro che scrissero intorno alla poesia l’hanno denominata una certa primitiva filosofia. Ma contro Eratostene diremo altrove più a lungo, quando parleremo di nuovo anche di Omero. Qui intanto, a provare ch’egli fu il fondatore della Geografia, basti il già detto.

Quelli poi che gli tennero dietro è manifesto che furono uomini ragguardevoli e versati nella filosofia: e dice Eratostene che i due primi dopo Omero furono Anassimandro discepolo e concittadino di Talete, ed Ecateo milesio; l’uno dei quali diede fuori la prima carta geografica; e l’altro lasciò un trattato attribuito a lui per la somiglianza che ha colle altre sue scritture.

Moltissimi poi hanno detto che allo studio della geografia son d’uopo molte cognizioni33: ma lo insegna [p. 15 modifica]pienamente Ipparco nel suo Trattato contro Eratostene, dicendo: «Che nello studio della geografia il quale si addice a ciascun uomo, sia egli idiota o consacrato alle lettere, è impossibile far progressi, chi non osserva i corpi celesti e gli ecclissi. Così per cagione di esempio non è possibile sapere se Alessandria d’Egitto è più settentrionale o più meridionale di Babilonia, nè quanta sia in ciò la differenza qualora non pongasi mente ai climi34. Parimenti nessuno potrebbe conoscere esattamente la maggiore o minore distanza de’ luoghi collocati all’oriente od all’occidente, se non se confrontando gli ecclissi del sole e della luna.» Così Ipparco.

Tutti poi coloro i quali tolgono a descrivere le proprietà di qualche luogo adoperano in ciò acconciamente le figure dei corpi celesti e della geometria per indicarne la grandezza, le distanze e le declinazioni, il caldo, il freddo, ed in breve la natura del clima. Perocchè se il muratore fabbricando una casa, o l’architetto fondando una città sogliono prima considerare siffatte cose; come dovrà trascurarle colui che fassi a considerare tutta quanta la terra abitata? Esse gli sono per certo di molto maggiore importanza. Perocchè in piccolo spazio l’essere inclinati un po’ più a settentrione od a mezzogiorno non è gran differenza; ma in tutto il circuito della [p. 16 modifica]terra abitata stendendosi la parte settentrionale fino alle estremità della Scizia o della Celtica, e la parte meridionale fino a quelle dell’Etiopia, dee di necessità la differenza essere grande. Così parimenti è assai diverso l’abitare fra gl’Indi o fra gl’Iberi; dei quali sappiamo che i primi sono all’estremo levante e i secondi al ponente, e che in qualche modo35 sono antipodi fra di loro. Ora tutte queste cose avendo il loro principio dal movimento del sole e degli altri astri, ed anche dalla tendenza de’ corpi al centro, ci costringono a considerare il cielo, e que’ fenomeni celesti che appariscono a ciascheduno di noi; ed in questi si veggono differenze stragrandi delle varie posizioni. Chi mai dunque potrebbe saper bene ed esattamente descrivere le diversità dei luoghi, senza avere considerati punto né poco i corpi celesti? Perocchè, sebbene per essere il nostro libro politico più che altro, non sia possibile investigare a fondo ogni cosa, conviene peraltro di fare quelle investigazioni nelle quali anche un uomo di Stato ci può tener dietro.

Chiunque poi abbia già tanto sollevato lo spirito, non potrà astenersi dal considerare la terra nella sua intierezza: perocchè sarebbe cosa manifestamente ridicola, se colui il quale osò, per desiderio di ben descrivere la terra abitata, accostarsi ai fenomeni celesti e valersene [p. 17 modifica]a sua istruzione, trascurasse poi di conoscere la terra tutta, di cui la terra abitata è soltanto una parte; quale e quanta essa sia, e in quale situazione dell’universo; s’ella sia abitata soltanto in quella parte che noi ne conosciamo36, od anche in altre, ed in quante: e così pure quale ne sia la parte disabitata, e quanta e perchè. Quindi ci pare che la scienza della geografia propriamente detta si unisca di qualche maniera collo studio dell’astronomia, e con quello della geometria, rannodando insieme le cose terrestri colle celesti come se fossero vicinissime, e non già tanto disgiunte,

                             Quanto va lungi dalla terra il cielo37.

A così fatta varietà di dottrina aggiungasi inoltre la storia naturale, quella cioè degli animali, delle piante, e di quanti altri oggetti utili o nocivi producono la terra ed il mare: e quello ch’io dico38 diventerà, al parer mio, sempre più manifesto.

Che poi debba avere grande utile chiunque avrà appresa questa scienza è chiaro sì dalla testimonianza dell’antichità come dalla ragione. E primamente, i poeti rappresentano come prudentissimi fra gli eroi quelli i quali uscirono spesso dal proprio paese ed andarono peregrinando. Perocchè tengono in gran conto l’aver [p. 18 modifica]vedute le città di molti uomini, e l’averne conosciuti i costumi39. E Nestore si gloria d’aver conversato coi Lapiti venendo a loro preghiera fin dall’Apio40 confine. E Menelao dice anch’egli:

                             Cipri, vagando, e la Fenicia io vidi,
                             E ai Sidonj, agli Egizj, agli Etïopi
                             Giunsi, e agli Erembi, e in Libia41,

e v’aggiunge la natura del paese dicendo

                             . . . . . . . . . . . . Ove le agnelle
                             Figlian tre volte nel girar d’un anno.

Così parlando di Tebe d’Egitto, dove la terra feracissima produce i suoi frutti, dirà:

                             . . . . . . . . . . . Nell’Egizia Tebe
                             Per le cento sue porte e li dugento
                             Aurighi co’ lor carri42.

Tutte queste cose sono come grandi apparecchi a divenire prudenti, insegnandoci la natura dei siti, e le specie degli animali e delle piante che vi si trovano; al che si aggiungono le cose che sono nel mare. Perocchè noi siamo in qualche maniera anfibii, e non siamo punto terrestri più che marini. Ed è probabile che anche Ercole per la molta sua esperienza e per le molte cognizioni fosse denominato

                             D’opere grandi fabbro . . . . .43.

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I monumenti adunque dell’antichità ed il raziocinio testimoniano ciò che fu detto nel principio da noi: ma a me poi sembra che sopra tutto comprovi quanto noi siam venuti dicendo l’essere la maggior parte della Geografia utilissima alle cose politiche. E nel vero la terra ed il mare dove abitiamo sono il luogo di tutte le azioni; delle piccole i piccoli luoghi, delle grandi i grandi: ma il maggiore dei luoghi è tutta quanta la terra che noi propriamente chiamiamo Terra Abitata, sicchè essa è il teatro proprio delle azioni più grandi. E massimi fra i capitani sono quelli che possono signoreggiare in terra ed in mare, raccogliendo sotto una sola signoria ed amministrazione politica parecchie nazioni e città. Quindi è manifesto che la Geografia entra in tutte le opere d’un uomo di Stato, insegnando come giacciano i continenti ed i mari, tanto i mediterranei quanto quelli che stanno alla circonferenza di tutto il globo: perocchè a coloro appartiene l’avere siffatte notizie, ai quali importa il sapere se i luoghi sono d’un modo piuttostochè di un altro, e quali si posson conoscere e quali no. Chè senza dubbio potranno maneggiar meglio le cose qualora conoscano di ogni luogo l’estensione e la postura, e quali particolarità o di clima o di suolo presenta. E poichè i diversi principi signoreggiano in diversi paesi, e da diversi luoghi movendosi alle loro imprese distendono la grandezza de’ proprii dominii, non è possibile che nè da loro tutti i luoghi siano ugualmente conosciuti, nè da’ geografi; ma si a questi come a quelli alcuni luoghi sono più noti, altri meno. Perocchè tutte le parti della terra abitata appena si [p. 20 modifica]potrebbero ugualmente conoscere, quando essa tutta intiera venisse sotto una signoria sola ed un solo governo; e forse nemmanco allora; giacchè i siti più vicini si conoscerebbero sempre meglio: e per verità, importa che questi siano più minutamente descritti acciocchè si conoscano meglio, siccome quelli dei quali è anche maggiore il bisogno. Laonde non è meraviglia se agl’Indi conviene un corografo44 a parte, un altro agli Etiopi e un altro ai Greci ed ai Romani; mentre che gioverebbe al geografo degl’Indiani il descrivere anche la Beozia come Omero che nomina

                             D’Iria i coloni e d’Aulide petrosa
                             Con quei di Sceno e Scolo . . .45?

Ma questa precisione ben giova a noi; e non così invece diremmo se si trattasse delle cose indiane, o d’altre proprie d’un luogo particolare: perocchè non vi abbiamo nessuna utilità, la quale è la principale misura in siffatto studio.

E quello che qui diciamo si manifesta anche nelle piccole cose, come a dir nelle cacce: perocchè meglio potrà cacciare colui il quale conosca la selva e ne sappia la grandezza e la condizione; e così il fare con buon successo una spedizione militare in qualche paese, e porvi [p. 22 modifica]spedizione di Serse per ignoranza de’ luoghi tutta la Grecia fu piena degli avanzi dei naufraghi; e le colonie degli Eolii e dei Ionii somministrarono esempj di molte consimili calamità. Così per lo contrario accadde talvolta di condurre a buon fine imprese di gran momento per la pratica dei luoghi: come si dice che Efialte negli stretti delle Termopili avendo mostrato ai Persiani un sentiero46 a traverso ai monti, recò in poter loro i compagni di Leonida, e condusse i barbari al di dentro di quello stretto. Ma lasciando in disparte le cose antiche, stimo che la recente spedizione dei Romani contro i Parti sia bastevole testimonio a ciò ch’io sostengo: e così anche quella contro ai Germani ed ai Celti, dove i barbari giovandosi de’ luoghi, in mezzo a paludi, a boschi impenetrabili ed a deserti, facevano parer lontani i luoghi vicini ai nemici che non ne avevano contezza, celavano loro le strade, le vittuaglie ed ogni altra cosa.

La Geografia dunque, come si è detto, serve principalmente agli uomini di Stato ed ai loro bisogni: siccome anche la maggior parte della filosofia morale e politica serve agli uomini di Stato. E questo n’è indizio, che noi distinguiamo le società politiche secondo la maniera con cui sono governate; ed una chiamiamo [p. 23 modifica]Monarchia o Regno; l’altra Aristocrazia; la terza Democrazia: e stimiamo che tante siano le maniere delle società, e le chiamiamo con questi nomi, perchè tengono essenzialmente dalla forma del governo il loro carattere particolare. Perocchè altra cosa è la legge s’ella è ordinata dal re, o invece dagli ottimati o dal popolo: e la legge è il tipo e la forma dell’associazione politica; sicchè alcuni definirono il giusto: ciò che giova al più potente47. Se dunque la filosofia politica risguarda per la maggior parte gli uomini di Stato, e la Geografia versa intorno alle cose loro, ma è inoltre di uso giornaliero, essa potrebbe avere sopra di quella un qualche vantaggio; almeno rispetto alla pratica.

Tuttavolta la Geografia non è da spregiare nemmanco nella sua parte teoretica, la quale o risguarda le arti, la matematica e la fisica, o consiste nella storia e nelle favole, e pare che non tocchi punto la pratica della vita. Così chi raccontasse le peregrinazioni di Ulisse, di Menelao e di Giasone, non parrebbe contribuir nulla a quella sapienza che l’uomo operoso richiede, se pure non vi frammischiasse, come un utile esempio, i casi che dovettero sopportare: e nondimeno darebbe non volgare diletto a colui che fosse volto a considerare i luoghi i quali furono la scena delle favole. La mitologia li ha renduti illustri, e le sue attrattive li fanno amabili anche all’uomo operoso: non però oltre un [p. 24 modifica]certo confine; perocchè ama di occuparsi, com’è naturale, di preferenza intorno alle cose utili: e però anche al geografo si conviene aver cura dell’utile più che del resto.

Così parimenti si dica di ciò che spetta alla storia ed alle matematiche; perocchè anche di queste si debbe pigliar sempre ciò ch’è più utile e più credibile. Pare poi, come si è detto, che al nostro proposito48 faccia bisogno principalmente della geometria e dell’astronomia: e per verità nè le figure, nè i climi, nè le grandezze, nè le altre cose di cotal genere si possono ottener bene senza di esse. Ma perchè la misura di tutta la terra dimostrasi altrove49, perciò qui bisogna supporre e credere ciò ch’ivi si trova provato50. E vuolsi ammettere aziandio che il mondo è sferoideo, e che anche la [p. 25 modifica]superficie della terra ha cotesta figura; e innanzi tutto è da riconoscere che i corpi tendono al centro; la qual cosa è la sola che si comprenda col mezzo dei sensi e delle comuni nozioni. Ma dopo una breve riflessione conosceremo eziandio che la terra è di forma sferica, perocchè ce ne persuadono non solamente alcune prove mediate, come a dire la tendenza dei corpi al centro e lo sforzo di ciascun corpo per unirsi a quel punto; ma alcune prove più vicine altresì e dedotte dalle apparizioni che si osservano nel mare e nel cielo, delle quali e il senso e le comuni nozioni possono fare testimonianza. Perocchè la curvità del mare manifestamente impedisce ai naviganti di vedere da luogi i lumi posti all’altezza medesima dei loro occhi; mentre quelli collocati più in alto li veggono quand’anche siano più lontani. Oltre di che anche l’occhio innalzandosi a riguardare suole scoprire le cose che prima erano nascoste. E lo afferma anche il poeta dicendo:

                             Ulisse allor, cui levò in alto un grosso
                             Flutto, la terra non lontana scórse51.

E coloro che sopra una nave si vengono accostando al lido vi scoprono sempre nuove parti; e quelle cose che da principio parevano basse a poco a poco si elevano anch’esse. Il movimento circolare poi de’ corpi celesti si fa evidente anche dalle ombre dei gnomoni; dalle quali facilmente si raccoglie che se la profondità della terra fosse infinita, un tale rivolgimento non potrebbe effettuarsi52.
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Ciò poi che spetta ai climi dimostrasi nei trattati delle posizioni abitabili53.

V’hanno dunque alcune cose già dimostrate, dalle quali noi dobbiamo pigliare principalmente quelle che sono utili al politico ed al condottiero di eserciti. Perocchè non debbe ignorare il sistema celeste nè la posizione della terra per modo che arrivando in luoghi dove alcuni dei fenomeni del cielo siano diversi dal consueto se ne sgomenti, e dica:

                             Qui, d’onde l’Austro spira o l’Aquilone,
                             E in qual parte il sole alza, e in qual declina
                             Noto non è54.

[p. 27 modifica]Ma d’altra parte non debbe nemmanco investigare minutamente quali siano in ciascun luogo della terra gli astri che si levano insieme, o che insieme tramontano, o che si trovano insieme al meridiano; i gradi di elevazione del polo; i punti del cielo corrispondenti al zenit di ogni luogo, e finalmente tutto ciò che secondo il mutarsi dell’orizzonte e del cerchio artico, si muta o nell’apparenza o nella sua propria natura. Ma di queste cose alcune non debbon essere da lui studiate punto nè poco, a meno che non le voglia considerare in qualità di filosofo; altre dee crederle sull’altrui fede, sebbene non ne scorga la cagione: perocchè l’investigarla spetta al solo filosofo, e l’uomo di Stato non ha, o certo almeno non ha sempre tanto ozio, da potere attendere a così fatte investigazioni. Così eziandio chi si fa a leggere questo libro non debb’essere nè tanto sprovveduto d’ogni istruzione nè tanto inerte da non aver mai veduta una sfera, o i cerchi che vi sono descritti, e dei quali altri sono paralleli tra loro, altri li tagliano ad angolo retto, altri sono in obbliqua posizione; e da non conoscere la posizione dei tropici, dei meridiani, e del zodiaco pel quale cammina il sole regolando le differenze delle stagioni e dei venti. Perocchè colui il quale ignora le cose spettanti al variare dell’orizzonte, al cerchio artico, ed a quant’altro viene insegnato nei primi elementi della matematica, come potrà tener dietro alle cose che in questo libro si dicono? E chiunque ignora che cosa sia una linea retta o una curva, un circolo, una superficie sferica o piana; chiunque non conosce nel cielo nè i sette astri dell’orsa maggiore, nè cosa [p. 28 modifica]alcuna di cotal genere, costui o assolutamente non può giovarsi del nostro libro, o per ora almeno, e finchè non abbia pigliata cognizione di quelle cose senza le quali non potrebbe mai essere acconcio allo studio della geografia. In breve questo mio libro debb’essere di generale utilità, e giovevole all’uomo di Stato del pari che al semplice cittadino, come il libro di storia da me composto. Ed anche in quello io chiamai uomo di Stato non colui ch’è affatto ignorante, ma colui che ha qualche parte di quel corso di studi che sono usitati fra le persone gentili ed amanti della sapienza. Perocchè non potrà nè biasimar nè lodare con ragione, nè giudicare se siano degni di ricordanza gli avvenimenti passati colui che non siasi punto curato nè della virtù, nè della prudenza, nè di quello che intorno a così fatti argomenti suol dirsi. Quindi anche coloro i quali han pigliato a descrivere i Peripli ed i così detti Porti fecero opera imperfetta, per non avervi frammesso ciò che delle matematiche e delle cose celesti sarebbe convenuto toccare55. E però noi avendo pubblicati alcuni Commentarii storici56, utili (per quanto crediamo) [p. 29 modifica]alla filosofia morale e politica, credemmo bene di aggiungervi anche il presente trattato, composto secondo lo stesso disegno, e per le stesse persone, cioè principalmente per quelle che sono collocate in gradi eminenti. E come in que’ Commentarii menzionai le cose spettanti agli uomini illustri ed alle loro vite, e tralasciai le piccole ed oscure; così nel presente libro ponendo in disparte le minute descrizioni e le cose di poco momento, m’intratterò nelle famose e grandi, ed in quelle che abbiano qualche parte di pratica utilità, e degna che se ne faccia menzione, e piacevole. E come nelle statue colossali non sogliamo cercare la finitezza di ciascheduna parte, ma attendiamo piuttosto all’intiero, e guardiamo se nel tutto essa è ben fatta o no; così vuol essere giudicato anche questo mio nuovo lavoro. Perocchè anche questo libro è qualcosa di colossale; e descrive le cose grandi com’elleno sono, ma le altre lascia in disparte, eccetto se ve n’abbia qualcuna anche tra le piccole che possa muovere il desiderio dello studioso ed interessare l’uomo dato agli affari. Ma ciò basti a mostrare che l’opera da noi ideata è importante e tale da essere conveniente al filosofo.



Note

  1. Il testo dice τὰ πολιτιχὰ, e potrebbesi tradurre le cose dello stato o della città, la politica e simili. Ma preferii qui ed altrove la breve espressione di vita civile sull’esempio dei traduttori francesi.
  2. Strabone usa di dire ἡ οἰκουμένη γῆ, la terra abitata, dove i geografi dicono semplicemente la terra.
  3. Il., lib. vii, 421; traduzione del Monti.
  4. Il., lib. viii, 485.
  5. Il., lib. v, 6.
  6. Il Silandro leggeva τὸν πλοῦ la navigazione: ma dopo il Casaubono leggono tutti πλοῦτον. Così il Coray ed il Siebenkees.
  7. Odiss., lib. iv, 563; traduzione del Pindemonte.
  8. Gli altri geografi le denominano Isole Fortunate; e sono le Canarie della moderna geografia: del resto l’Autore attribuisce ad Omero alcune cognizioni ch’egli non ebbe. Quel poeta non fece menzione giammai delle Isole de’ beati; nè conobbe più in là della Sicilia e delle parti meridionali d’Italia. Erano poi sinonimi le espressioni Isole de’ beati, Isole fortunate, Giardino delle Esperidi, e Campi Elisii; e gli antichi posero sempre questi luoghi all’estremità occidentale del mondo conosciuto; tramutandoli di paese in paese secondochè venivano allargando le loro cognizioni. È probabile che Omero nel luogo qui citato alluda all’Eliso di Campania piuttostochè a quello di Spagna; ma non per certo a quello delle Canarie che gli furono ignote. — La Maurusia poi de’ Greci, detta Mauritania dai Romani, comprende i paesi di Algeri e di Fez. (G.)
  9. Odiss., lib. i, 23.
  10. Il., lib. i, 423.
  11. Il., lib. xviii, 489.
  12. Sotto il nome di cerchio artico, o cerchio dell’orsa gli antichi intendevano un cerchio che, avendo il polo per centro, aveva per raggio l’altezza del polo stesso nel luogo occupato dall’osservatore: o, se più vuolsi, la distanza dal polo al punto più settentrionale dell’orizzonte matematico. Era questo il più grande fra i paralleli sempre visibili; quello che abbracciava nella sua circonferenza gli astri che non tramontano mai. È facile a immaginare che questo cerchio dee variare a norma delle latitudini, e che il suo diametro debbe diminuire accostandosi all’equatore, e ingrandirsi avanzandosi verso il polo. – Omero dunque scrivendo pei Greci dell’Asia e del Peloponneso ha dovuto descrivere i fenomeni celesti ch’egli vedeva verso il 38° di latitudine. Ora per que’ luoghi il cerchio artico è al 52° nord; e siccome ai tempi di Omero la stella più meridionale del carro aveva presso a poco 64° 15’ di declinazione, così essa era di 12° 15’ più settentrionale del cerchio artico. Quindi non essa sola ma anche tutte le stelle più settentrionali di queste di 12° 15’ non tramontavano. Non è dunque esatta l’espressione di Omero, quando egli dice, l’orsa essere la sola costellazione che non si bagna nell’oceano: e il commento che ne dà Strabone accusa un soverchio entusiasmo dell’Autore per quel poeta. (G.)
  13. Ho conservato il modo greco ἐχθὲς καὶ πρώην κατωνομασμένον; proverbio usitatissimo, dice il Casaubono, a significare una cosa affatto recente.
  14. Il testo omerico è: οἶη δ᾽ ἄμμορός ἐστι λοετρῶν; e Cratete corresse οἶος affinchè s’intendesse non οἶη ἡ ἄρκτὸς (sola l’orsa), ma οἶος ὁ ἄρκτικὸς (solo il cerchio artico), e così si venissero a comprendere tutte e due le costellazioni. Ma Strabone rigetta l’emendazione del grammatico, perchè gli antichi quando dissero ἄρκτον intesero non l’orsa ma il cerchio artico. (Casaub.)
  15. Cioè del mezzogiorno. Del resto è probabile che Strabone non abbia bene compreso il concetto di Eraclito, e che per conseguenza non sia di verun peso la testimonianza di questo autore. (Ed. francese).
  16. Il., lib. xiv, 200.
  17. Così chiamano il lib. xviii dell’Iliade, nel quale Omero descrive la fabbricazione delle armi d’Achille: da ὅπλος arme, e da ποιέω fare.
  18. Odiss., lib. xii, 105
  19. Io non trovo, dice il Gossellin, in nessuno di questi luoghi d’Omero verun indizio ch’egli abbia conosciuto il flusso e riflusso del mare. Sappiamo che questi movimenti sono quasi impercettibili nel Mediterraneo. Bensì nell’Euripo si scorge che le acque si muovono in contraria direzione parecchie volte ogni giorno alternando: avrebbe forse il poeta tolte di colà le bizzarre idee che qui si accennano? O non potrebbe darsi, che la corrente regolare dell’Ellesponto, il quale versa le acque del mar Nero nel Mediterraneo, lo avesse indotto a credere che tutto intiero l’Oceano o il Mediterraneo scorresse continuamente come le acque dei fiumi?
  20. Odiss., lib. xii, 1
  21. È per altro lo spazio di 8500 leghe marine, computando 20 leghe per ciascun grado, e senza contare il Baltico. (Ed. fr.)
  22. Eratostene e Strabone chiamavano Atlantico tutto l’oceano, e non avendo notizia dell’America supponevano che si stendesse dall’Europa e dall’Africa sino all’India, senza interruzione. - L’Autore impugna qui un’opinione d’Ipparco, il quale assegnava all’oceano due bacini isolati e senza veruna comunicazione fra loro: secondo la quale ipotesi, accolta anche da Tolomeo, non sarebbe stato possibile compiere navigando il viaggio intorno alla terra. (G.)
  23. Nel Periplo di Annone, a cui l’Autore probabilmente allude, si dice appunto che la mancanza dei viveri costrinse i naviganti al ritorno.
  24. Leggo col Coray: ὡς οὔθ᾽ ὁμοιοπαθοῦντος τοῦ ὠκεανοῦ παντελῶς οὔτ᾽, εἰ δοθείη τοῦτο, ἀκολουθοῦντος αὐτῷ τοῦ σύρρουν εἶναι πᾶν τὸ κύκλῳ πέλαγος τὸ Ἀτλαντικόν.
  25. Strabone appartenne alla filosofia stoica, secondo la quale i corpi celesti nutrivansi delle esalazioni delle acque. Ciò posto è naturale che quanto meno l’acqua del mare è interrotta da istmi e da continenti, tanto più copiosa debb’essere l’esalazione che sollevasi ad alimentare i corpi superiori.
  26. Il Mediterraneo.
  27. Le Colonne d’Ercole sono dette dai moderni Stretto di Gibilterra.
  28. I Solimi abitarono anticamente il monte Tauro.
  29. Cioè lo Stretto di Caffa o di Zabacca, pel quale il mar Nero (lo stesso che il Ponto Eussino) comunica col mare di Azof. Del resto il signor Gossellin ha dimostrato che Omero non parlò dei Cimmerii del Bosforo, ai quali non avrebbe potuto arrivare in un solo giorno di navigazione Ulisse, partitosi da Circe che abitava presso al Capo Circeo nella Campania. I Cimmerii di Omero stavano presso al lago d’Averno. Rispetto poi all’oscurità del clima nota lo stesso erudito avere Omero seguitate nella sua descrizione le idee degli Orientali, che risguardarono sempre le parti occidentali della terra come situate sotto un cielo nebbioso. Gli Arabi, dice egli, danno tuttora il nome di Mar tenebroso all’oceano Atlantico.
  30. Odiss., lib. xi, 15
  31. L’Istro è il Danubio. - La Tracia corrisponde alle province di Bulgaria e di Romelia. - Il Peneo è un fiume della Tessaglia detto ora Salampria. - L’Assio dicesi ora Vardari e gettasi in mare in fondo al Golfo Salonico. - La Tesprozia è nell’Epiro rimpetto a Corfù.
  32. Temeso (Temessa, Paus.) città che più non sussiste, si crede che fosse dove ora è Torre di Nocera nella Calabria. In quanto alla Spagna od Iberia già si è detto che Omero non la conobbe.
  33. Dopo aver provato la prima delle sue proposizioni, cioè che la Geografia appartiene al filosofo, ora passa alla seconda e fassi a provare che la scienza geografica non s’acquista senza il corredo di molte cognizioni.
  34. Gli antichi dividevano il globo in zone parallele all’equatore, dette climi o declinazioni, e se ne valevano per determinare le latitudini dei luoghi. I moderni sostituirono i gradi di elevazione dal polo.
  35. Dice in qualche modo, perchè veramente l’India e l’Iberia o Spagna non sono antipodi fra di loro, non dandosi questo nome se non a quei luoghi che si trovan sul globo in situazioni diametralmente opposte.
  36. Il testo potrebbe anche significare: Se quel lato dove noi siamo sia abitato soltanto in parte: εἰ καθ᾽ ἓν μέρος οἰκεῖται μόνον τὸ καθ᾽ ἡμᾶς.
  37. Iliad., lib. viii, 16
  38. Cioè che la scienza della geografia risulta da una grande varietà di cognizioni. - Di qui poi l’Autore si apre il passo alla terza proposizione, cioè all’utilità della geografia.
  39. Odiss., in princ.
  40. Apia chiamavasi anticamente il Peloponneso, ora detto Morea.
  41. Odiss., lib. iv, 83
  42. Iliad., lib. ix, 383.
  43. Odiss., lib. xxi, 26.
  44. Tolomeo insegna in che differiscano la Geografia e la Corografia; ma Strabone (dice il Casaubono) non riconosce veruna differenza tra questi nomi. Non può negarsi peraltro ch’egli non usi qui colla debita distinzione cotesti nomi. La Corografia è la descrizione di un luogo particolare, ed è perciò una parte della Geografia, la quale comprende tutta la terra. (Ed. fr.)
  45. Iliad., lib. ii, 496.
  46. Δείξας τὴν ἀτραπὸν. Credono gl’interpreti che il nome appellativo ἀτραπὸς sia qui nome proprio di quel tal sentiero, perchè Appiano dice κατὰ τὴν λεγομένην Ατραπὸν. Ad ogni modo, significando quel vocabolo una via retta ed angusta, io l’ho tradotta col nome generico di sentiero.
  47. Appena può credersi necessario l’avvertire che l’oscurità di questo luogo procede probabilmente dall’essere guasto l’originale.
  48. Al nostro proposito; cioè, al fine a cui dirigiamo il nostro libro.
  49. Altrove: il testo ἐν ἄλλοις; e può riferirsi tanto ad altre opere, quanto ad altre parti di questa.
  50. Di queste cose tratta l’Autore nel lib. ii. Qui volle dire soltanto che colui il quale si accosta allo studio della geografia non debb’essere inesperto e imperito affatto di quelle cose che dai geometri e dagli astronomi sono o dimostrate o supposte. (Casaub.) -- Osserviamo, soggiungono gli editori francesi, come proceda il nostro Autore. Egli ha detto che vi sono parecchi punti nei quali il geografo debbe ammettere come dati certe ipotesi, la cui verità è dimostrata dai geometri e dagli astronomi. Di questi punti egli ne ha menzionati tre, le figure, i climi e le grandezze. Ora si accinge a parlarne particolarmente, ma tenendo un ordine inverso comincia dalla misura della terra che appartiene alle grandezze, τὰ μεγέθη.
  51. Odiss., lib. v, 393.
  52. Questo si riferisce alle opinioni di Senofane di Colofone e di Anassimene suo discepolo. Questi filosofi assegnavano alla terra la forma di un’alta montagna della quale noi occupiamo la sommità, e le radici si sprofondano all’infinito. In tale ipotesi gli astri, non potendo passare al di sotto della terra ne illuminerebbero le diverse parti aggirandosi intorno ad essa parallelamente alla base. Senofane viveva 540 anni avanti l’E. V. Cosmas Indicopleuste fece rivivere queste assurdità sei secoli dopo Gesù Cristo nella sua Topografia Cristiana, lib. ii, pag. 141-143. Pare ch’egli abbia attinta questa opinione dall’India d’onde l’aveva tratta anche Senofane; ed essa è anche al presente il sistema dei Siamesi. (G.)
  53. Il testo dicendo ἐν τοῖς περὶ τῶν οἰκήσεων δείκνυται potrebbe anche significare si manifesta nelle cose spettanti alle abitazioni, o come dice il traduttor latino: ratione diversarum habitationum demonstrantur. Ho seguito nondimeno la interpretazione francese, perchè abbandonando subito Strabone questa materia, pare veramente ch’egli per ciò che concerne i climi od i varii gradi d’inclinazione verso il polo abbia voluto rimettere i suoi leggitori a’ trattati più conosciuti sulle posizioni; per esempio, a quello di Teodosio tripolitano περὶ τῶν οἰκήσεων
  54. Odiss., lib. x, 190.
  55. Questa descrizione di Porti e questi Peripli erano opere somiglianti ai moderni Portulani: erano spesse volte semplici itinerarii che indicavano le distanze dei luoghi senza parlare delle loro astronomiche posizioni. Molte di queste opere si pubblicarono sotto il regno de’ Tolomei, perchè quei principi fecero fiorire la navigazione. Ne sussistono però alcune più antiche, e ve n’ha di molto preziose per grande esattezza purchè se ne sappia trarre profitto. (G.)
  56. Ne fa menzione anche Plutarco nella vita di Lucullo.