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18 | della geografia di strabone |
dute le città di molti uomini, e l’averne conosciuti i costumi1. E Nestore si gloria d’aver conversato coi Lapiti venendo a loro preghiera fin dall’Apio2 confine. E Menelao dice anch’egli:
Cipri, vagando, e la Fenicia io vidi,
E ai Sidonj, agli Egizj, agli Etïopi
Giunsi, e agli Erembi, e in Libia3,
e v’aggiunge la natura del paese dicendo
. . . . . . . . . . . . Ove le agnelle
Figlian tre volte nel girar d’un anno.
Così parlando di Tebe d’Egitto, dove la terra feracissima produce i suoi frutti, dirà:
. . . . . . . . . . . Nell’Egizia Tebe
Per le cento sue porte e li dugento
Aurighi co’ lor carri4.
Tutte queste cose sono come grandi apparecchi a divenire prudenti, insegnandoci la natura dei siti, e le specie degli animali e delle piante che vi si trovano; al che si aggiungono le cose che sono nel mare. Perocchè noi siamo in qualche maniera anfibii, e non siamo punto terrestri più che marini. Ed è probabile che anche Ercole per la molta sua esperienza e per le molte cognizioni fosse denominato
D’opere grandi fabbro . . . . .5.