Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 30

N. 30 - 28 luglio 1872

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[p. 247 modifica]kbda.ttorb’* SALVATORE FARINA SI PUBBLICA OGNI DOMENICA IL PIANOFORTE POSIZIONI DELLE MANI-.MODO DI SUONARE CENNI TEORICO-PRATICI DI ANTONIO ANGELERI ILLUSTRATI ALL’ACQUA FORTE DA ELEUTERIO PAGLIARO Intorno a questa importantissima pubblicazione, riportiamo con piacere ciò che scrive l’egregio appendicista della Perseveranza, nel numero dell’8 corrente. L’eccellente lavoro sullo studio del pianoforte, pubblicato dal chiarissimo Angeleri, merita speciale considerazione per la fama, per l’ingegno dell’autore, e per il nuovo punto di vista più pratico, più logico, più spiccio di tutti gli altri metodi, dei quali ve n’ha una farragine, ma quasi tutti composti in modo troppo ampio, disordinato, superfluo, per cui chi li studia non è certo per loro merito se diventa buon suonatore. Al vedere annunziata questa preziosa operetta, son sicuro che molti grideranno: Oh che, di melodi per pianoforte non ne abbiamo abbastanza? Era proprio necessario che il signor Angeleri venisse fuori col suo? Sarà un mezzo di più per abbujare le menti e per mettere in iscompiglio il gusto musicale. Questi signori, pessimisti a priori, capiranno d’aver torto, e non diranno più così, quando sapranno e vedranno con quali criterii il celebre nostro professore abbia dettati i suoi cenni. I Melodi per pianoforte, finora pubblicati, per voler insegnar troppo, insegnano poco o nulla, e quasi tutti guastano la mano nel primo impianto sulla tastiera; vogliono abbracciare tutta l’arte dall’aZ/h aU’owepa; incominciano coll’insegnare i primissimi elementi musicali e finiscono col dare lezioni di stile e di esecuzione dei classici. Ogni pianista di grido ha voluto pubblicare il suo metodo e tutti furono acciecati dalla impotente pretesa di fare con un solo ed unico metodo tanto il suonatore meccanico, che l’artista. Molti di questi autori, professori, maestri e pianisti, io li venero e li rispetto, ma credo che le loro opere didattiche abbiano poco giovato, se per avventura invece non hanno guastata senza rimedio qualche butna organizzazione. I metodi per pianoforte i più accreditati di Czerny, di Herz, di Kummel, di Moscheles, di Bertini, di Kalkbrenner, hanno tutti questo difetto radicale, di voler abbracciare troppo, per riescire ■poscia a stringere nulla: sono volumoni pieni di esempi, di esercizii, di studii, di brani tolti dai classici, tutta roba che mette una grande confusione nella testa dello studioso, e gli fa dimenticare l’affare più importante, ch’è lo snodamento, l’indipendenza e 1 agilità delle dita. Io lo so per mia propria esperienza: coi metodi sopraccitati, invece che fermarsi agli esercizii meccanici delle cinque dita, ed alle scale, si corre alla prima sonatina, al Non più andrai di Mozart, e poscia si prende coraggio, si va più avanti, e se il Metodo contiene dei brani di Beethoven o di Chopin, si arrischia il gran salto e si fa il più solenne dei capitomboli: cioè li si suona scorrettamente, colle dita impacciate, senza conoscere la giusta posa delle braccia, delle mani e di tutta la persona. Guastato il meccanismo nei primordi, non c’è più rimedio; si hanno di quei suonatori, per esempio, che colla mano diritta fanno scale, arpeggi, salti, volate, e colla sinistra è un miracolo se possono a mala pena strimpellare un accordo. Il concetto dell’Angeleri è semplice, chiaro, d’una utilità diretta, sicura, indiscutibile, come lo provano tutti gli allievi di lui, alcuni dei quali per genio od ingegno singolari salirono al sommo dell’arte, ma tutti poi suonano bene, con correttezza, precisione, limpidezza e scorrevolezza di tocco. L’Angeleri, ispirato alle ottime tradizioni del Pollini, ha fondata una scuola nel nostro Conservatorio, che dal lato dell’esecuzione meccanica non lascia nulla da desiderare: e questo è già molto, perchè per la parte ideale, interpretativa, più che i metodi, i maestri, e le scuole, vale il dono di Dio dell’intelligenza e del genio. Per ispiegare in termini chiari ed esatti il concetto dell’egregio Angeleri, non trovo di meglio che riprodurre la prefazione al suo lavoro; ecco come si esprime il chiaro professore: «Scopo di questo mio lavoro non è certamente quello di aggiungere un nuovo metodo ai tanti pregevolissimi già esistenti; non potrei in allora che ripetere quei precetti, i quali ogni buon maestro di pianoforte ha imparato da molto tempo a mettere in pratica e ad insegnare. Per diventare buon pianista non basta stare al pianoforte sei ore al giorno, fare gli esercizi e le scale come si trovano ne’metodi sovra citati, non basta infine tutta quella ginnastica delle dita che serve il più delle volte a disgustare l’allievo, prima che alcun buon risultato si appalesi. Con molto minor fatica di quella che generalmente si crede necessaria, si può arrivare ad essere buon pianista, purché si abbia cura di tenere la mano sulla tastiera in quella data posizione, muovendo le dita con quelle regole che sole possono dare lo sviluppo necessario e la flessibilità atta a formare il buon suonatore: di queste regole, di questa posizione, la di cui eccellenza ho potuto esperimentare nella mia lunga carriera di professore al R. Conservatorio di Milano, ho voluto lasciare memoria, nella speranza di fare cosa utile non solo ai miei allievi che professano l’arte, rendendo loro più facile e meno faticoso l’insegnare quanto hanno imparato sotto la mia direzione, ma altresì più specialmente a coloro che, per mancanza di mezzi, o dell’opportunità di procurarsi un buon maestro, volessero da soli dedicarsi allo studio dell’istrumento il più completo ed il più diffuso, qual è il pianoforte. «Con quattro ore al giorno di studio ed un’attenta osserva [p. 248 modifica]250 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO L 1 zione dei movimenti della mano e delle dita, in conformità ai precetti teorici e pratici della mia guida, lo studioso può essere sicuro di arrivare ai risultati che mi sono prefìsso, cioè: posizione corretta ed elegante della mano. eccellente qualità di suono, agilità e completa indipendenza delle dita, uguale facilità per lo stile legato e per il genere brillante. «Confidente nella buona volontà e.nel merito artistico di coloro fra i miei molti allievi che, coll’aiuto di quelle speciali qualità che solo natura può dare, sono arrivati ad occupare un posto distinto fra la gloriosa schiera de’ pianisti italiani, rimetto nelle loro mani la mia scuola: quella scuola che mi valse tante fatiche e tante soddisfazioni.» 11 volume dell’Angeleri è breve, appena di 100 pagine, ma è anche sostanzioso, ricco di precetti pratici. Le prime regole trattano della posizione della mano, del modo di star seduti, di appoggiare le dita, di alzarle, di muoverle. Una importante ed utilissima innovazione sono i disegni che accompagnano le regole, perchè riescano chiare alla mente col mezzo dell’occhio: questi disegni all’acqua forte rappresentano figure sedute al piano, mani poste sulla tastiera, in buona od in cattiva posizione: le mani sono tanti capolavorini, disegnate con finissimo gusto, e con meravigliosa scienza anatomica: muscoli, tendini appariscono cosi bene delineati che quasi hanno moto: non è da stupire che le illustrazioni sieno tanto belle, quando si sappia che sono l’opera d’uno degli artisti che onorano altamente la scuola milanese, Eleuterio Pagliano: questo ingegno potente e versatile riesce mirabilmente cosi nelle grandi pitture come nei piccoli disegni, schizzati all’acqua forte, con un bulino elegante, gustoso, a guisa dei grandi maestri dell’arte. Alle regole suaccennate, nel lavoro dell’Angeleri, seguono gli esercizi sulle cinque note, importantissimi, e fatti con un sistema tutto suo dell’Angeleri, i di cui stupendi risultati sono convalidati da anni ed anni di prove in Conservatorio e nelle lezioni private; poscia vengono gli esercizi a tre, quattro e cinque diti; esercizi di note doppie, e una parte molto estesa sulle scale in tutti i toni, portamenti e posizioni; l’Angeleri dà molta importanza alle scale, ed ha non una, ma mille ragioni, giacché sono la base dello studio del pianoforte, e chi sa suonare veramente bene tutte le scale, può eseguire qualunque musica, fosse pure una fuga delle più indiavolate di Sebastiano Bach. Qui finisce la parte meccanica del lavoro; non è inutile l’avvertire che l’Angeleri, quando mette al cembalo il suo allievo, suppone che di musica sappia qualche cosa, e quindi il suo libro non contiene verun cenno sugli elementi musicali; è sottinteso che chi adopera il metodo dell’Angeleri deve conoscere le note, il loro valore e le regole della divisione. Per la parte ideale dell’insegnamento, l’Angeleri pubblicherà una Biblioteca del pianista, che sarà composta di una scelta delle migliori opere dei classici italiani e tedeschi, disposta secondo i diversi gradi di difficoltà ed accuratamente diteggiate, con alcuni cenni sul carattere dei pezzi e sul modo d’interpretarli. Come premessa a questa seconda parte del suo lavoro, l’Angeleri suggerisce, a quelli che hanno raggiunto un buono sviluppo meccanico, di studiare specialmente quattro autori, ch’egli considera, a ragione, come le principali colonne sostenenti l’immenso edifizio dell’arte di suonare e di commovere; questi quattro autori sono Clementi per il meccanismo e la forma, Sebastiano per la mente, Beethoven p er la mente ed il cuore, cesco Liszt per le stranezze sonore del gran virtuoso; bene. Non sono d’accordo però coll’Angeleri quanto allo Muzio Bach F rane sta studio degli altri autori classici; accetto Scarlatti, Pollini, Moscheles, Chopin, Mendelssohn; ma non accetto Herz, nè Kalkbrenner, nè gli altri ejusdem farinœ, perchè furono bravissime persone, buoni artisti nel loro genere, ma corruttori del gusto per quasi mezzo secolo; del resto, è scusabile neH’Angeleri la predilezione per autori, che sono del suo tempo, e pur troppo le impressioni, sebbene fallaci, della moda non si cancellano facilmente, ma se pubblica la Biblioteca del pianista, lo prego di lasciarli fuori. Il lavoro dell’Angeleri finisce con brevi capitoli sulla legatura applicata come colorito, sulle note ribattute, sui salti, sugli abbellimenti e sui pedali. Il libro è scritto in uno stile chiaro, preciso, ma non elegante, nè corretto: sarebbe soverchia pretesa esigere da un professore di pianoforte forbitezza di lingua: d’altronde la materia è per sè così arida che gli stessi Manzoni e 1 APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI fContinuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28 e 29). Tali acerbi presentimenti trafiggevano il cuore di Velâzquez e la sua ragione vacillava combattuta dal dolore e da crudeli, timori. Soltanto una speranza consolatrice veniva a dargli qualche sollievo, quantunque in verità fosse assai debole; T idea che il Re, il favorito e tutta la corte credessero Anna sua sorella lo tranquillizzava alquanto e gli infondeva coraggio. Almeno, pensava, rispetteranno i diritti che credono ch’io abbia su Anna, e potrò cosi far uso di una autorità che calpesterebbero se sapessero che a lei non mi uniscono legami di sangue. Lo sventurato ignorava che il favorito aveva scoperto il suo segreto quando lo confidava a don Giovanni Hurtado de Mendoza, nella notte precedente fra i chioschi del fiume. L’orologio del palazzo battè le dodici e mezza senza che nè Anna nè Diego avessero rotto il silenzio che regnava nello studio. I battiti dell’orologio distolse la donzella dalle sue meditazioni; alzossi e andò ad appoggiarsi sullo schienale della sedia cui stava il fratello. — Cos’hai Diego? disse, accostando alla negra e ricciuta testa dell’artista il suo capo biondo e profumato. — Sono melanconico, Anna, rispose Velâzquez scuotendosi nel sentirsi sfiorare sulla fronte l’alito soave della fanciulla; sono melanconico, ripetè, perchè da qui a due ore devo partire per l’Escoriai, e non posso condurti meco. — Perchè non vuoi che ti accompagni, Diego? chiese essa passando le sue belle e ben profilate dita fra i ricci del pittore. — È inutile che ti molesti a partire da Madrid per pochi giorni, rispose con premura Velâzquez; rimarrai qui sotto la protezione della Regina, che se ne sta pure in palazzo. — Sia come tu brami, fratello, rispose Anna con dolcezza, ma mestamente; avrei però creduto, soggiunse cogli occhi pieni di lagrime, che mai sarei separata da te. dove va la corte! esclamò Velâzquez alzandosi — Condurti io con impeto dallo scanno e girando a grandi passi la stanza: condurti’ dove va d J. a il Re!... oh mai, mai!.... — Perchè non ami condurmi dove c’è il Re, Diego? E tanto cortese e pare tanto buono!... Nell’udire queste parole, Velâzquez alzò il capo, e arretrossi come se avesse ricevuto un colpo mortale nel cuore; lanciò su Anna uno sguardo di sbieco, gli si rizzarono sulla fronte i capegli, e le sue tempia si copersero d’un freddo sudore. In quell’istante suonò un’ora, e il rumore di un colpo che udissi alla porta dell’abitazione si confuse con quello della campana. Velâzquez andò ad aprire con incerto passo, e un servo apparve sulla soglia. — Vengo ad avvisare il signor don Diego Velâzquez, da parte di S. M, che l’ora di partire è giunta e che l’aspetta nella sua reale camera. Un lampo di gioia illuminò gli occhi dell’artista; la notizia che il Re si allontanava da Anna sollevava il suo cuore. — Ora vi segu^, disse al servo, il quale rispettosamente inchinossi e partì. In allora si pulì rapidamente la veste, lisciò i capegli, si mise il cappello ornato di lunga piuma e stese le braccia a sua sorella. — Entro due giorni, le disse, stringendola al suo petto, entro due giorni troverò per te un asilo sicuro, e verrò a prenderti per non separarmi più dal tuo fianco. La fanciulla nulla rispose; il singhiozzo soffocava la sua voce. — Giovanni! gridò Velâzquez aprendo una porta opposta a quella d’ingresso. d [p. 249 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 251 Tommaseo si troverebbero imbrogliati a conciliare la bontà dello stile, e l’eleganza, colla evidenza e la precisione voluta dalla specialità dell’argomento. Il libro è stampato dal Ricordi con una edizione, come la più bella, la più graziosa, la più ricca non si può immaginare: carta, caratteri, esempi musicali, frontispizio, tutto è una meraviglia tipografica. F. Filippi. Ci perviene la seguente lettera che pubblichiamo assai di buon grado. Nel N. 27 del pregiato giornale la Gazzetta Musicale di Milano, dal titolo corrispondenze da Roma in data 4 di questo mese, leggonsi a riguardo di questa R. Accademia alcune parole in cui il corrispondente A,., riferisce fatti ed appreziazioni che non concordano con la verità. Sebbene il sottoscritto nel resoconto fatto all’assemblea generale convocata al giorno 6 del suddetto mese, abbia chiaramente indicato lo stato delle cose, e questi Accademici non possano cadere in errore, tuttavia perchè anche gli altri lettori del giornale non equivochino nei loro giudizi, prega la gentilezza della S. V. a voler far loro conoscere, essere dovuto alle premure del R. Ministero della P. Istruzione la concessione della sala del palazzo Capitolino, e che le speranze del concorso del Governo e del Municipio alla fondazione di un Liceo musicale in Roma, hanno valido fondamento, sulle eccellenti favorevoli disposizioni, manifestate a questa Commissione dirigente, da’Rappresentanti dell’uno e dell’altro. Nella certezza che Ella, signor Direttore vorrà favorire il desiderio del sottoscritto, ha l’onore di professarsi Della S. V. 0. Dev. servitore Odoardo Pelissier Segret. della R. Accademia di S. Cecilia. Abbiamo comunicata questa rettificazione al nostro corrispondente romano, il quale ei prega di pubblicare le seguenti parole di contro risposta: «Quanto al Municipio ho già scritto nell’ultima mia corrispondenza, che per un errore tipografico gli erano state attribuite intenzioni poco favorevoli, mentre al contrario, le ha manifestate favorevolissime. Se il Segretario deH’Accademia ha letto i due ultimi num. della Gazzetta, avrà trovato per ben due volte rettifìcato quell’errore, prima dalla Redazione e poi da me. Sull’appoggio che si può sperare dal Municipio, non cade, adunque alcun dubbio. Quanto al governo è questione d’apprezzamento. Io faccio voti sinceri affinchè le speranze dell’Accademia non vadano deluse, e so pure che l’ex-ministro Correnti avea fatto qualche promessa. Ma il Correnti è caduto ed ora ha l’interim della Istruzione pubblica il Sella, rispettabilissima persona, ma acerrimo nemico dell’arti belle in generale e della musica in particolare. Chi sarà il futuro Ministro? Auguriamoci che il Sella non se lo scelga ad immagine e similitudine sua. E, ad ogni modo non potrà, spendere un centesimo se il ministro delle Finanze non gliene darà il permesso. Ciò non toglie che si possa e si debba insistere presso il governo, e l’Accademia di S. Cecilia mi vedrà sempre in prima linea fra quelli che difenderanno la nobile causa ch’essa sostiene.» Roma, 26 luglio, 1872. A... Rivista Milanese Sabato, 27 luglio. II Politeama al Tivoli ha spalancato i suoi battenti ed ha gridato (senza stonare) il primo versetto della litania d’opere promesse: Papà Martin! So che dicendo senza stonare, affermo un miracolo che troverà molti increduli, ma chi non vuol credere tocchi, ed è appunto ciò che invoca a mani giunte l’impresario Trabattoni. Se mi si permette di rovesciare per questa volta solo tutte le leggi architettoniche della critica teatrale, poi che ho accennato all’esecuzione, me ne sbrigherò in due parole. Quest’opera, come molte delle figlie maggiori dello stesso padre, è appoggiata a Bùttero; è una fortuna e una disgrazia insieme, perchè con altri che non sia Bottero la parte di Papà Martin diventerà una parodia. Questa volta abbiamo avuto la fortuna e ce la siamo proprio goduta; dire come questo re dei Un giovane mulatto di alta statura apparve in sul momento. — Ascolta, Giovanni, disse Velâzquez prendendogli la mano; ascolta, e se è certo che mi ami, adempì esattamente quanto ti dico. — Comandami, padrone, rispose il mulatto con voce vibrata. — Abbi cura di mia sorella, Giovanni; non lasciar giungere vicino ad essa neppure lo stesso conte-duca, se, come temo, torna stamane a Madrid. Dormi alla porta di questa camera, ed entro due giorni, quando torno a prendere Anna, fa in modo che la trovi più allegra di quello che oggi la lascio. — Sarò l’ombra di donna Anna, padrone; e quando tornerete la troverete vispa e contenta. — Grazie, Giovanni; il tuo cuore racchiude il valore indomito dei leoni delle tue foreste, e la tua anima tutta la tenerezza di una madre. Giovanni, mi affido a te, addio. Velâzquez abbracciò di nuovo sua sorella, strinse la mano di Giovanni e lanciossi fuori della camera. Mezz’ora dopo, approfittando delle ultime ore della notte, la comitiva reale partì. In una delle prime carrozze che seguivano il Re, c’erano don Diego Velâzquez e il conte-duca. Udivasi ancora il rumore delle ruote dell’ultimo cocchio, quando venne picchiato alla porta della stanza di Anna. — Chi è? chiese lo schiavo mulatto, il quale ritto innanzi alla sua padrona la contemplava. — Aprite onde io possa recare a donna Anna un messaggio da parte della Regina, rispose la voce di una dama d’onore. Il mulatto girò la chiave e ritirossi con rispetto per lasciare il passo all’illustre messaggiera. Ma nello stesso istante, quattro uomini lo rovesciarono a terra, e chiusero le sue labbra con un bavaglio prima che potesse gettare un grido; indi lo legarono strettamente. Infrattanto altri due eransi avvicinati ad Anna, e turandole la bocca con un fazzoletto, la trasportarono svenuta dall’abitazione. L’infelice schiavo fece uno sforzo tanto violento per rompere i suoi lacci, che quell’abbronzito volto diventò livido, e ognuna delle corde che legavangli le mani segnò una striscia di sangue. Nell’udire il fragore del cocchio che trasportava la sua padrona, un’amara disperazione si dipinse ne’ suoi lineamenti, e due grosse lagrime gli corsero sulle guancie. Anna venne deposta in una casetta di povera apparenza, posta nella parte più lontana della via degli Autores. Nel levarla dalla carrozza, priva di sensi, la ricevette nelle sue braccia una giovane dal volto ridente e amabile; ma la sua gaia fisonomia mutossi profondamente nel vedere la bellissima fanciulla bianca e fredda come una statua di alabastro. Collocolla dolcemente su una sedia, e slacciò il fazzoletto che barbaramente gli avevano legato sulla bocca. Nello stesso istante, il conte-duca diceva a Velâzquez, mentre il cocchio li trasportava entrambi sulla via dell’Escoriai: — Custodite vostra sorella dalle insidie del Re, don Diego; lo vedo tanto furiosamente innamorato, che lo credo capace di tutto. Vili GIOVANNI DE PAREJA. Un’ora dopo il ratto di Anna, il mulatto venne scosso dagli altri servi di Velâzquez, che entrarono per informarsi da lei se amava che le servissero la colazione. Lo schiavo non rispose a nessuna delle domande che gli fecero, nè parve fare attenzione alcuna ai lamenti de’suoi compagni per la scomparsa della giovane padrona. Fece tre o quattro giri per l’appartamento come un leone imprigionato, e tosto corse sulla via, pallido e stravolto, dopo d’aver tentato con inutili e disperati sforzi di rompere i lacci.»Giovanni de Pareja - dice un’egregio scrittore (1) dei nostri giorni - era schiavo del celebre ammiraglio Pareja, al quale fece il ritratto Velâzquez. Maravigliato quel marinaio nel vedere le sue sembianze tanto stupendamente e perfettamente riprodotte dal pittore più celebre di Spagna, andò a ringraziarlo (1) Don Giuseppe Muhoz Gaviria. [p. 250 modifica]252 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO buffi passi dal riso alle lagrime, come sia accurato e scrupoloso dell’evidenza dei minimi particolari, e come abbia una voce maestosa a un tempo e dolce, e come, meglio che un grande artista, paia proprio di veder sulla scena il personaggio del libretto, è cosa che tutti sanno a memoria; quanto ai battimani, alle chiamate, alle interruzioni d’un’ammirazione prepotente, chi non ha udito nè visto, ha facilmente immaginato; fu in una parola un trionfo, meglio: un altro trionfo, perchè il trionfo zoppica dietro a quest’artista eccezionale dello stesso suo passo, e non lo lascia un momento. Gli altri esecutori si tolsero tutti lodevolmente d’impegno; la signora Trebbi ha una vocina dilicata, ma molta arte di canto, molta espressione nell’accento, molto talento scenico e molta buona volontà; la signora Luini nella parte di Olimpia fece pompa di voce robusta e gradevole, e di sufficiente disinvoltura; le due artiste furono entrambe applauditissimo; degli uomini il tenore Parasini riportò la palma; si serve con garbo d’una voce gradevole ed ha momenti di vera espressione drammatica; ottimo sarebbe il Baldassari, senza il difetto della sua voce, per natura alquanto ribelle all’intonazione, e se per dissimulare la sua gioventù, ora che si è dato alle parti di buffo generico, non fosse costretto a perdere di quella naturalezza che lo faceva una volta cosi simpatico al pubblico. Anche le seconde parti uscirono dalla prova con onore, e i cori anche, e T orchestra anche, in conclusione; un miracolo autentico! Veniamo al nuovo spartito del Cagnoni. Il libretto è di Ghislanzoni, ed è uno dei migliori che egli abbia fatto; la disposizione scenica è bellissima; tutto l’argomento della Gerla di Papà Martin è concentrato in tre atti non lunghi, e non vi manca nulla; ei è l’orgia, il sentimento, la vis comica, e l’efficacia drammatica; ei sono situazioni d’effetto sicuro; T argomento, cosa fenomenale nei melodrammi, afferra lo spettatore, lo trattiene, lo trascina. La musica del Cagnoni ha il merito di rispettare le intenzioni del libretto; ed è una fortuna anche pel poeta. Se, per citare un esempio, nella scena che precede la partenza del figlio di Martin e nella partenza stessa, i movimenti fossero, più rapidi, o la musica più rumorosa, o avesse maggior parte il cantabile, tutto il bellissimo effetto di quei singhiozzi, di quei silenzii sarebbe perduto, e non mancherebbe certo il critico avveduto per accusare il poeta di aver dato al maestro una situazione falsa, impossibile e di nessun effetto. Questo merito di Cagnoni è evidente in tutta T opera; la musica non fa mai violenza alle parole, scorre rapida o lenta, canta sul palco scenico o mormora in orchestra sempre opportunamente. Solo nel primo atto non raggiunge la scamiciata follia dell’orgia; non dice forse meno delle parole, ma qui doveva dir più; agli scherzi misurati del libretto occorreva una inverniciatura, e se il can-can al levarsi del sipario è finito, musicalmente ei poteva stare ancora nel preludio o nella stretta o che so io; era il momento di mostrarsi italianamente Offenbach più che è possibile. Cagnoni non l’ha fatto, e la scena è rimasta fredda, nè basta a rinfocolarla.il coro con accompagnamento di bicchieri con cui finisce l’atto, pezzo di un certo effetto, ma non molto originale. Nel primo atto, per altro, sono schiette bellezze; tali il duetto d’entrata tra Martin ed Amelia, e parecchie frasi del successivo terzetto; e tale in special modo il sestetto con cori, che è forse la pagina più festosa e più bizzarra dell’opera. Nel secondo atto le bellezze abbondano; la critica anatomica è quasi costretta a darsi vinta, e lasciarlo intero e dirlo bello tutto d’un pezzo; per sceverare il meglio accennerò il quartetto che è di fattura squisita e che si chiude con un canto di Martin in tempo di valzer Su presto all’opera - Coccola mia, poco originale ma graziosissimo. Bello è il successivo duetto tra Armando ed Amelia, specialmente quando cantano a due: Noi sosteremo al limite; bellissimo per l’efficacia drammatica, e in gran parte per merito di Bottero, parve l’altro duetto di Martin e Charanzon; qui è una magnifica frase: Per quaranl’anni, là... sulla via; commovente è tutta la scena in cui Martin inganna la moglie per risparmiarle il dolore diveder partire il figlio; alle parole di Martin di quel buon Moriseau vi ricordate, l’orchestra fa un accompagnamento cantabile pieno di melanconia; la partenza accompagnato da Giovanni, giovane mulatto che aveva comperato nelle Indie, e portando al pittore una magnifica catena d’oro. Quando l’ammiraglio parti, Giovanni si mise a seguirlo, ma il burbero marinaio, voltosi all’improvviso: — Ricordati, gli disse, che quando io dono una catena d’oro lascio anche T astuccio. Da questo istante appartieni al signor Velâzquez.»E partì con passo altiero, appena ebbe pronunciate queste parole.»I1 povero mulatto, tutto afflitto e coll’aria stralunata, rimase là, e i discepoli di Velâzquez lo pigliarono come un essere stupido e col quale potrebbero divertirsi; infatti il modo con cui era entrato nello studio, fu per essi una inesauribile sorgente di facezie. Lo battezzarono col nome del suo primo padrone, chiamandolo Giovanni de Pareja, nome che conservò sempre. Velâzquez, al quale faceva compassione, lo incaricò della pulizia dello studio, cosa che esigeva poco lavoro, ma dove aveva da esercitare molto la sua pazienza.» Giovanni, quando c’era l’artista, trovavasi molto contento; ma quando usciva, lo schiavo era vittima, da parte degli scolari, di celie che tutti i giorni aumentavano. Stanco alfine, delle burle dei discepoli, prese il [partito, onde evitarle, di fuggire, quando non c’era Velâzquez, in una specie di cortiletto ignorato, dove si nascondeva e ponevasi al coperto da’ suoi persecutori.» Giovanni non aveva potuto vedere a dipingere due anni di seguito, nè udire in quei due anni i più grandi personaggi portare sino al cielo la pittura, senza concepire un invincibile desiderio di maneggiare pure i colori. Per ingannare le lunghe ore di solitudine in cui lo lasciava il padrone, Giovanni incominciò a dipingere. Perciò aveva in serbo pennelli frusti e avanzi di colori che metteva da parte. Sapeva, che non faceva altro che tirar giù; ma ei trovava gusto e passatempo, serbando il maggiore segreto sopra questa distrazione, sospettata da nessuno». Sin qui parla l’autore della interessante e veritiera leggenda: Rubens in casa di Velâzquez’, e io credo che non potevo far meglio conoscere Giovanni di Pareja che copiando il periodo nel quale il mio amico, il signor Munoz Gaviria, lo presenta ai suoi lettori. Ora compirò di ritrarre questo personaggio come mi fu dato sapere. Giovanni de Pareja provava per Velâzquez una specie di adorazione appassionata, adorazione che estendevasi a tutto quanto apparteneva all’artista; nulla eravi per lui di tanto bello, di tanto grande, di tanto santo come Velâzquez, e si sarebbe lasciato ammazzare per evitargli il più leggiero dolore. 0’ era in quello schiavo, verso il suo padrone, il tenero e sollecito amore di una madre, e il sublime e fedele attaccamento di un vecchio cane; con istraordinaria premura attendeva al suo servizio, al suo cibo, alla sua toletta, e non si fidava di nessun domestico in quanto riguardava il proprio padrone; aveva cura de’ più piccoli particolari delle sue comodità e benessere, graduava la luce nello studio, preparava i colori, regolava i cavalletti, e passava delle ore intere a guardarlo a dipingere entusiasmato in una fanatica contemplazione. Velâzquez, da parte sua, lo amava pure assai; confìdavagli i suoi più importanti segreti, e conversava con esso mentre lo serviva a tavola. La vivace intelligenza di Giovanni gli piaceva molto, e ammirava la squisita sensibilità di quel cuore, la generosità di carattere e la illimitata lealtà. Il suo dolore, nel lasciare in Madrid l’adorata Anna, diminuissi in gran parte, nel pensare che la metteva sotto la custodia di Giovanni; e il cuore del mulatto allargossi di contentezza nel ricevere quell’incarico. Oh quale amara disperazione s’impadroni dell’anima di fuoco del mulatto, nel vedere che gli strappavano la sua giovane signora! Tutti i tormenti dell’inferno scatenaronsi nel suo cuore quando si convinse che erano inutili tutti gli sforzi per rompere la forte legatura che lo opprimeva. Quando gli altri servi lo slegarono, si strappò il bavaglio con un colpo cosi furioso e disperato. che le sue labbra colorironsi di sangue. Si aggirò come scemo per la camera, e poscia volò sulla strada dandosi a corsa sfrenata. Quale era il suo disegno? Quale la sua speranza? Neppure lui stesso lo sapeva; nella sua testa infuocata era fisso l’ardente pensiero di incontrare Anna prima dei due giorni in cui Velâzquez doveva ritornare a Madrid, o uccidersi se non poteva venirne a capo. Queste due idee lo facevano a intervalli sorridere d’un riso in cui entrava per molta parte la pazzia. (Continua) [p. 251 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 253 col canto dei marinai dietro le quinte, l’addio alla Francia di Armando, e la desolazione muta dei genitori sulla scena è una pagina di musica espressiva irriprovevole. Nel terzo atto la vena del maestro pare stanca; nondimeno vi ha un coro di marinai pregevole, e un’aria di Olimpia, che credo sia stata aggiunta dopo la prima esecuzione di Genova, e che fu fatta ripetere; è in fatti originale e vivacissima. Il bizzarro quartetto della lettura delle due lettere incomincia magnificamente, ma non mantiene quel che promette; il maestro poteva trarre maggior partito dalla nuovissima situazione. L’atto procede alla fine senza offrire nulla di veramente notevole; anche il finale in tempo di valzer è volgare e di scarso effetto. Se devo riassumere queste che sono le impressioni di una sola rappresentazione, dirò che nell’insieme è uno spartito degno della fama di Cagnoni, sebbene non le aggiunga nulla, e che eseguito da Bùttero, tra per la musica e tra per l’interesse del libretto, potrà essere udito sempre con piacere. Ho dimenticato di parlare delle chiamate; da cronista incorreggibile io le ho contate, e mi parvero sedici, ma non ne farei giuramento. Gli allievi del Conservatorio diedero ■ lunedi passato il loro secondo saggio, che riusci splendidamente come l’altro e forse meglio. Il primo tempo del gran Quintetto di Spohr fu benissimo eseguito dalla signorina Beraldi e dagli alunni Mazzi, Bianchi, Cerquetelli e Panizza, e il Quartetto del Brano di Mercadante fu cantato con singolare accuratezza dalle signore Blenio e Porta, e dai tenori Colombana e Astori. Questi due ultimi sono ricchi di bella voce, e l’Astori è in special modo dotato di molto accento drammatico; ne fece prova nella magnifica aria del Deserto di Feliciano David. Anche gli ultimi due tempi del Quartetto in sol di Mozart furono ben eseguiti dai signori Mazzi, Bianchi, Cerquetelli e Panizza; bene anche il Preludio e fugaci Bach per organo suonato dall’allievo Casorati e sopra tutto bene i Ricordi d’America di Vieuxtemps eseguiti dall’alunno Bianchi, il quale è fin d’ora, si può dire, un vero concertista. Nella parte del canto si fece udire, oltre i nominati,, un giovine basso, un basso genuino, esteso, intonato, il signor Tansini che cantò II Pellegrino di Schubert, e la signorina Bignami nell’ardua romanza del Tebaldo ed, Isolina di Morlacchi. Non dimentichiamo la fantasia per flauto di Rabbonì eseguita dall’allievo Rampezzotti che aveva già dato prova di valentia nel l.° saggio Quanto alle composizioni una Sinfonia dell’alunno Gajone mi parve rivelare buoni studii; ma il vero successo fu per il giovinetto Coronavo (allievo del maestro Faccio) il quale diede come saggio di scolaro un vero lavoro da maestro. La sua sinfonia ha l’impronta d’un intelletto precocemente vigoroso; ha contorni netti e grandiosi, strumentazione nè povera nè ridondante, e infine quello che manca a molti maestri, idee musicali sue. Se oltre i meriti del saggio scolastico è lecito tener confo delle arditezze dell’ingegno uscito di scuola, il Coronaro ha un ampio avvenire dinanzi. Finisco con alcune notizie: Il Politeama annunzia fra le opere del suo repertorio anche Gli Avventurieri di Braga e una nuova opera del maestro Bianchi Gara d’amore. Il nuovo teatro di Piazza S. Fedele fu preso in appalto per la quaresima da Brunello che vi darà Y Ombra di Flotow. J3- F ALLA RINFUSA

  • E stabilito che F Esmeralda, la fortunata opera del maestro Campana,

sarà, anche quest’anno eseguita in Homburg dalla Patti, dalla Scalchi, dal Verger e da Corsi. Dal Napoli musicale apprendiamo che a Napoli fu rappresentata con lieto esito unJ opera, probabilmente nuova, I tre Regni, del maestro Herbin. Per il gran festival di’ Norwich sono state scritturate: la Tietjens e la Trebelli-Bettini.

  • Nel vegnente carnovale vi avrà spettacolo d’opera italiana al Teatro

di Oviedo. Anche F Art musical afferma che M.r Lefort fa costruire un Teatro per l’Opera Italiana, dice che il luogo è già scelto e fa sperare che questa nuova sala possa esser pronta per la fine del mese di ottobre venturo.

  • Al Teatro Doria di Genova, la sera in cui si dava F ultima rappresentazione

dell’opera Djem la Zingara, il maestro Bozzano fu fatto segno di molte ovazioni; gli venne presentata una corona di alloro con un magnifico nastro, sul quale leggevasi: Al vero merito - 11 luglio 1872. G. B. S. Q È stata venduta all’asta per il prezzo di 150,000 franchi la villa di Talma, a Brunoy. Talma, il gran tragico, vi aveva abitato per lungo tempo e vi aveva ricevuto la visita di Napoleone I. Questa villa sontuosissima era stata costruita nel 1802 sull’area dove esisteva anteriormente il castello del marchese di Brunoy.* ¥ E aperto il concorso al posto di maestro di violoncello nella R. Scuola di musica in Parma, collo stipendio annuo di lire 1300.

  • In un Concerto di beneficenza che. ebbe luogo allo Stabilimento termale

di Levico, presero parte varie signore dell’eletta società, fra le quali si segnalò la signora Uda-Scott, cantando stupendamente la canzone dei fiori nel Faust e un duetto di Campana. Leggiamo nel Guide Musical: Il celebre baritono Scaria del teatro di Dresda si sciolse dal contratto, intendendo recarsi in Italia e consacrarsi in^ tero al canto italiano. ¥ A Parigi si è formata una commissione per un monumento da erigere ad Auber. A Francoforte s. M. si rappresenterà nel prossimo agosto una nuova opera comica, Diramo e Tisbe, di Luigi Gellert.

  • Giovanni Strauss ha terminato una nuova opera, Il Carnevale di Roma.

A Vienna si è istituito un comitato per erigere un monumento a Beethoven. Il compositore e pianista Enrico Stiehl, che ora trovasi a Zurigo, partirà in settembre per l’America, allo scopo di darvi concerti.

  • A Zurigo trovavasi testé anche un compositore portoghese, il visconte

d’Arneiro, che scrisse un’opera, un ballo ed un Te Dezim. Dicesi che quest’ultimo verrà eseguito a Parigi nel prossimo inverno.

  • Presto avrà luogo in Anversa la vendita degli strumenti d’arco del defunto

Wuyts, dilettante di musica. Fa parte della raccolta un violino attribuito a Steiner che appartenne a.G. J. J. Kennis, maestro di cappella della cattedrale d’Anversa dal 1803 al 1845 nel qual’anno morì. > Il Tonhalle di Lipsia ei fa saper che il compositore Servais si è fidanzato alla contessa Olga Janina pianista. Adelina Patti ha sottoscritto una scrittura per l’America e per un anno. Durante questo tempo canterà 100 volte, 60 volte in teatro e 40 nei concerti, ed ogni volta riceverà 10,000 lire, in tutto un milione! Non è tutto. Essa dividerà coll’impresario Strakosch il soprappiù di 20,000 lire d’ogni introito; ora colla Patti si fanno gli introiti massimi di 45,000 lire il che forma 25 mila lire ogni sera da dividere. Durante cento sere 12,500 lire formano un altro milione e dugento cinquanta mila lire. Totale: due milioni e dugento cinquanta mila lire per un anno! ¥ L’architetto del nuovo teatro dell’Opéra di Parigi, il signor Carlo Garnier, fu incaricato delle riparazioni del teatro dell’Opéra-Comica. La sala sarà ridipinta interamente e decorata in verde come era venti anni sono. CORRISPONDENZE GENOVA, 25 luglio. Mario Rossi e la sua quadmiplice compagnia — Mah!! rivista del 1871-72 — Apoteosi di Mazzini — Gli esperimenti del prof. Gorini. Al Politeama Genovese, Mario Rossi oltre alla sua compagnia di prosa, di ballo e canto, si era aggregato anche alcuni cavallerizzi, ma presto s’avvide del fallo e li lasciò andare. Da vari giorni le vie di Genova erano tappezzate da colossali mah!!! stampati su variopinte carte. La popolazione genovese dedita agli affari non si commosse troppo da quei mah!!! e attendeva senza impazienza che l’enigma venisse spiegato. La soluzione l’avemmo jeri sera al Politeama; il mah!!! non era che una rivista genovese con parole, musica e danze tutte genovesi, il teatro era affollato e, quantunque scoperto, vi si potè prendere un bagno a vapore. La rivista del 71-72 genovese è un bel pasticcio, quantunque qua e là vi sieno dei frizzi di spirito, e dei pensieri musicali di buon genere. Volle l’autore parlare di cose municipali e toccare le brutte abitudini genovesi, ma a dire il vero l’assieme non vale l’onore di ulteriori rappresentazioni, tanto più che dopo aver presentato delle sciocchezze ebbe l’ardire di far vedere l’apoteosi di Mazzini. — Non dico di più. — Ora ad altro. [p. 252 modifica]254 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Sere sono assistei ad uno degli esperimenti vulcanici dati dal prof. Gorini nella Palestra della Società ligure ginnastica. Dodici furono i crogiuoli di materia fusa, che si versarono nella conca. Poco dopo travasato il liquido la superfìcie si consolidò e dal centro si sollevarono quattro rialzi conici e nel centro si formò una vera voragine dalla quale a torrente scaturiva la lava che si riversava sull’adiacente pianura. Tre dei rialzi, elevati all’altezza di pochi centimetri si estinsero, non senza aver prima spinto fuori dei frantumi di materia infuocata a forma di piccoli lapilli. A maggiore altezza crebbe il quarto il quale assunse il carattere di vero vulcano ingrossata la mole e ristretto il cratere, potè giungere all’altezza di 35 centimetri. Per quasi un’ora in questo monte perdurò l’attitudine vulcanica. Durante le ultime eruzioni, e nel loro intervallo, dal ristretto cratere accuminato a forme di guglia, violenti solfi di aria spingevano fuori globetti incandescenti di diverse grossezze che o ricadevano nel cratere o ruzzolavano per la montagna sino al piano. Questo esperimento fu ricco di fenomeni vulcanici, molteplici, svariati e durevoli che vollero i ripetuti e fragorosi applausi degli spettatori. x Questa è la sommaria descrizione dei fenomeni vulcanici che ha presentato, e ne ho fatto parola perchè il Gorini merita di essere rammentato ovunque. P-" F- P’VENEZIA, 25 luglio. ■’Arenata al gran canale — Innovazioni — Esecuzione — Accidente ameno — Spettacoli del Malibran e concerti al Lido. La serenata sul gran canale, stabilita pella sera del 17 e differita a motivo del tempo burrascoso, ebbe luogo nella sera del 19 corrente. Pare impossibile che anche questo spettacolo cotanto bello, fantastico, originale di per sè, abbia ad essere un po’ alla volta del tutto guastato per modificazioni inopportune o peggio che vi si vogliono introdurre. L’innovazione di un rimorchio a vapore e quella della luce elettrica, sono tali stonature in uno spettacolo tanto poetico, tranquillo, misterioso, quale si è quello delle nostre serenate, da non poter spiegare come possano essere accettate da coloro a cui è affidata la cura di simili faccende. Immaginatevi una galleggiante ricca di lumi a colori svariati che costituiscono però un tutto a luce opaca, e mettetevi il contrasto d’una luce elettrica al disopra. I lumi della galleggiante, per l’immensa differenza di luce, appariscono cosi scialbi e scolorati da sembrar morenti, e ritraendo gli occhi dalla galleggiante per portarli in direzione della luce elettrica si prova un senso eguale, ed altrettanto divertente, come quando in mezzo ad una ressa di gente, vi si pesta un piede. Aggiungete a ciò il rumore prodotto dal continuo movimento dell’elice, il matto gusto dei fischi assordanti del vapore-rimprchio, tutte cose che tornano a scapito della parte musicale dello spettacolo, ed avrete una qualche idea del come conducano le cose coloro che stanno alla direzione dei pubblici spettacoli. Perchè le serenate veneziane conservino il loro prestigio non bisogna assolutamente distaccarsi da quello che facevano i nostri nonni: bisogna affidar l’ufficio del rimorchio alle solite barche., le quali, confuse tra mille altre e inosservate, ne adempiono il faticoso compito rimanendo tranquille e silenti; bisogna escludere la luce elettrica ed imitare anche in questo i nostri vecchi che avevano il buon senso di evitare la fase di luna piena nelle serenate; bisogna prescrivere o, per lo meno, vivamente raccomandare, che le barche del seguito siano tutte, o in gran parte, illuminate fantasticamente. Se volete fare qualche serenata con luce elettrica, fatela pure; ma in allora escludete l’illuminazione della galleggiante e di tutte le barche del corteo, e per dare a questo genere di serenate, che chiamerò poetiche, un’impronta veramente misteriosa e romantica, limitate di molto la parte orchestrale, per esempio, ad un piano e ad un quartetto. Cosi facendo mostrerete un poco di buon gusto, ma, nel modo che ei date le serenate, mostrate, egregi signori, che l’anima vostra è chiusa ad ogni senso del bello. Soffermandomi per un momento sulla esecuzione mi limito a notare che il pezzo che più piacque si fu la scena e ballata nella Contessa di Amalfi del Petrella, eseguita dalla Sig.a Lena Bordato, veneziana, nota favorevolmente in arte per applausi ottenuti sopra scene di qui e di fuori. Anche il Colonna si distinse assai in un notturno colla predetta ed in una romanza. I cori condotti dal maestro Acerbi e l’orchestra guidata dallo Scaramelli furono inappuntabili. Non posso non iscoppiare in riso pensando ad un curioso accidente che l’innovazione del rimorchio a vapore fece succedere. Allorché, nelle fermate; il vapore rallentava il fuoco per disturbare il meno possibile, la galleggiante, travolta dalla corrente, retrocedeva rimorchiando alla sua voltale furiosamente, il vapore. Un poco per questo ed un poco perchè il tempo si faceva grosso e minaccioso si è dovuto fermarsi a metà, circa, del cammino: la era invero da ridere, e questo fatto mi fece tornar alla mente un felice pensiero del Teia, eccovelo: il Tommaseo veniva eletto presidente d’un ateneo, mi pare in Torino, ed il Teia, da quel capo ameno che è realmente, segnò a matita nel Pasquino il Tommaseo, cieco, in testa, e tutti i soci attaccati ai lembi della sua marsina: in una parola era il cieco che conduceva i veggenti; qui fu il caso che il rimorchiatore venne rimorchiato. Un altro spettacolo era fissato per domenica scorsa: si trattava d’una tombola in piazza S. Marco: non vi dico di più, perchè, parlando di questo spettacolo, diventerei idrofobo: ho tale una stizza col giuoco di tombola che darei del capo nel muro (se fosse però bene imbottito) solo in pensare che v’ha chi è capace di progettar delle tombole. Fortunatamente lo spettacolo venne sospeso a motivo di insuff denti vendile. Non già per lagnarmi delle vendite insufficienti (cosa che spero continuerà ad avverarsi sempre più perchè di tombole ormai nessun vuol saperne); ma gli è poi giusto, gli è conveniente, dopo di aver prestabilito uno spettacolo od un simulacro di spettacolo per un determinato giorno, so- • spenderlo tutto ad un tratto? Lo spettacolo al Malibran procede sempre divinamente; ma il concorso quantunque animato, non è però tale come un’esecuzione tanto fina del Ballo in maschera lo vorrebbe; ma il caldo le delizie del Lido, la voglia di respirare aria meno impura possibile sono i soli motivi della ritrosia di accorrere in fretta al teatro. Al Lido e precisamente nel nuovo stabilimento: La Favorita vi è un’orchestrina assai buona che dà dei concerti distintissimi tutte le sere. V’assicuro che c’è da divertirsi, perchè sanno davvero il fatto loro. Nella prossima settimana avremo al Malibran V Ebrea colle signore Urban e Mariani e coi signori Medini, Villani e Corsi Iginio. E qui per oggi faccio punto. L U 24 luglio. Un teatro automatico — Predizione — I concerti al Conservatorio ài musica ed i bagni turchi — I caffè-spettacoli, ecc. Non c’era rimaso che il teatro deV Opéra, ed ecco che il direttore, sig. Halanzier, è partito. Ma l’Accademia di musica ha questo vantaggio, che può esser caricata come un orologio e andar avanti per una quindicina. Halanzier le ha dato corda ed ha preso la ferrovia per recarsi in Italia; ha voluto convincersi de auditu del bene che si dice qui déA’Aida, ed è andato ad assistere alle rappresentazioni di quest’opera a Padova. So che ne è restato soddisfattissimo. Tanto meglio per lui; dico «per lui» giacché Y Aida non avea nulla a guadagnare o a perdere a questo esperimento. Aspettiamo adunque «il ritorno di Halanzier da Padova» per sapere a qual’epoca, più o meno vicina, avremo quest’opera di Verdi all’Accademia di musica. Il calcolo può farsi da ora, approssimativamente. Supponiamo che Halanzier ritorni qui in agosto, col permesso di mettere in scena VAida all’Opéra, e ch’egli decida di darla il più presto possibile; mettiamo due mesi per risolversi, sette od otto mesi per le prove, la prima rappresentazione potrà aver luogo verso la fine di maggio 1873. Ma bisognerebbe oprar miracoli di rapidità. Ebbene, senza tema di cader nell’errore, dirò che sarei pago se tra un anno, a contar da oggi 24 luglio, potessi andar aifi Opéra per udir Y Aida. Vedremo se m’inganno. E strano che, non essendovi teatri di musica aperti, non si parla in questo momento che di musica. Ed è ben naturale: è questa l’epoca dei concorsi al Conservatorio. Il termometro da varii giorni non discende più al disotto di 30 gradi (centigradi) all’ombra. Temperatura dei bachi da seta. Si sceglie ordinariamente questa stagione, ed in essa i giorni canicolari per riempire come un uovo la piccola sala del Conservatorio e giudicare del merito degli alunni. Letteralmente vi si soffoca; un vero bagno a vapore. E quei poveri diavoli sono obbligati di eseguir il loro pezzo di musica, questi sul violino, quello sul corno, un terzo sul pianoforte e via via. Oggi, per esempio, ha luogo il concorso più importante, quello cioè dei giovani pianisti. Dante ha dimenticato nel suo Inferno il supplizio che ne è riservato: restar dal mattino fino alle 4 o alle 5 del pomeriggio nella sala... stavo per dir nella stufa del Conservatorio per udire una trentina di volte lo stesso pezzo di musica eseguito successivamente da ciascuno dei concorrenti, maschi e femmine. Se [p. 253 modifica]GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 255 prima dell’ultimo spezzo non sono impazzato., vuol dire che c’è un Dio pei cronisti e pei critici d’arte e che la sua misericordia è immensa. Qui la state dura così poco, ma è assai più intenso che nelle contrade più calde. Ebbene, i concorsi hanno luogo al Conservatorio tra luglio ed agosto, vale a dire quando l’aria è più infocata. Ma, che volete! è l’uso. Così si faceva al tempo che già fu, cosi si farà fino alla consumazione dei secoli. Proporre di rimandar i concorsi ad ottobre o novembre, sarebbe voler farsi lapidare, esser trattati da matto, da rivoluzionario é peggio, fors’anco d’eretico: l’audace che vi si arrischierebbe, potrebbe sentirsi ripetere che l’uomo deve lavorare con gran sudore, e che evitarlo sarebbe voler opporsi alla parola di Dio. Rassegniamoci dunque, e sudiamo. Ciò non mi toglierà un dubbio indiscreto che mi viene ogni anno all’epoca dei concorsi. Non dico già che si commettono ingiustizie e che i più favoriti sono gli alunni più caldamente raccomandati. No; ma ho sempre notato che si bada a non far torto ad alcuno dei professori. Per esempio: vi sono tre classi di pianoforte, quindi tre professori; siate certi che per non ferir l’amor proprio di essi professori, se è un alunno del maestro X che ha il primo premio, il secondo sarà dato ad un discepolo del maestro Y ed il terzo o Y accessit a quello del maestro Z. L’anno seguente l’ordine sarà invertito; il maestro Z vedrà uno dei suoi allievi ottener il primo premio, il maestro Y avrà un semplice accessit per qualcheduno degli alunni della sua classe, ed il maestro X, il secondo premio. Se l’intenzione è buona, la giustizia è alquanto problematica. Ma anche questa è una faccenda d’uso, una tradizione, ed è impossibile evitarla, almeno a quanto mi è stato risposto da quelli cui ora ho fatto l’osservazione. Ora, siccome la sala del Conservatorio è relativamente assai angusta, e che centinaia d’alunni concorrono, chi per un ramo dell’arte, chi per un altro, i soli genitori o parenti dei candidati sarebbero già in troppo gran numero, perchè la sala possa capirli tutti. Che resta pei semplici mortali? qualche rarissimo palchetto ed una ventina al più di scranne. Andate a contentar con si poca cosa la popolazione intera, giacché è il numero delle persone.che vorrebbero assistere agli esami del Conservatorio. L’uno vi va pel suo figlio, l’altro per sua nipote, un terzo pel vicino, un quarto per far piacere alla famiglia, o anche al professore. In breve la sala è piena zeppa, ed una quantità di persone restano deluse.

Per buona fortuna le sere ei ricompensano del tedio incommensurabile e mortale delle ore meridiane. Durante la sera si ha la risorsa dei Campi-Elisi (o Champs-Elysies, come v’aggrada, giacché i nomi delle vie non si traducono). È una delle migliori e più comode istituzioni che abbia trovato qui. Benedetto chi ne ebbe la prima idea. Là, sotto il padiglione del cielo, al P aria aperta, con la brezza carezzante ed imbalsamata che vien su dalle aiuole di fiori o che susurra tra gli alberi, innanzi ad un deschetto sul quale è una bevanda che vi rinfresca le fauci, potete passar qualche ora, senza la molestia d’un caldo insopportabile, e udire ogni sorta di canti, dalla grand’aria di un’opera di Rossini, Meyerbeer o Verdi, sino alla gaia canzonetta, che qui è maliziosa oltre ogni dire. Non vi farò la descrizione dei Café-concerts con le loro tribune ad emiciclo, perchè probabilmente li conoscete meglio di me; ma quel che forse non è ancora a vostra conoscenza è la metamorfosi che si è operata in essi a proposito del repertorio. Ora i Café-concerts son divenuti dei veri teatri; vi si danno operette nuove di conio, pantomime, giuochi di ginnastica, vi si danza, vi si fa un po’ di tutto. E sa il cielo se i direttori di teatri hanno alzato grida a questo proposito, lamentandosi della sleale concorrenza. Sleale? E perchè? Tutt’al più si può esigere dai proprietarii dei Café-concerts che paghino i diritti d’autore; ma non si potrà loro imporre di non far cantare che le semplici canzonette. Supponete che vogliano far dire l’aria di Roberto il Diavolo; è giusto che paghino agli eredi di Meyerbeer e di Scribe il diritto d’autore, o almeno agli autori-proprietarii della musica, giacché con quest’aria fanno quattrini. Ma non si può impedirli di farla cantare. Vero è che i proprietarii dei caffè di questo genere pretendono che il loro pubblico non è un pubblico pagante, perchè non paga che ciò che beve; non v’è prezzo di biglietto, l’entrata è pubblica, ma questa ragione è più speciosa che vera; perocché il prezzo delle bevande è naturalmente più caro e tien luogo di quello del biglietto. Checché ne sia, ed in qualunque modo abbia a decidersi la quistione, è sempre una vantaggiosa e lodevole istituzione quella dei café-concerts, sopratutto la state e più particolarmente quelli dei Champs-Elysies, appunto perchè all’aria aperta. Per gli altri, che sono in sale chiuse, tanto vale andar in un teatro. Almeno non vi si resta in un nugolo di fumo di tabacco, cosa assai poco gradevole per le donne, e per quelli che non fumano. A. A. LONDRA, 22 luglio. Ancora del Guarany — Chiusura della stagione al Covent-Garden — Il DruryLane e Mapleson — Le nozze di Figaro — Concerto di Gounod — Altri concerti. La seconda e terza rappresentazione del Guarany non hanno ottenuto il successo che la prima aveva fatto aspettare. E ciò forse è da ascriversi alle critiche severe, oltre misura severe talvolta, pubblicate dai giornali il domani della prima rappresentazione. Il libretto è vero, è stranissimo, se non impossibile; ma la musica non è davvero, come hanno detto certi giornali, di un ragazzo che s’è messo a scrivere, dopo aver imparato a memoria le melodie di Verdi e di Meyerbeer! E più importanti e più seri erano i giornali, e più severe sono state le critiche da essi fatte. Nel Graphie per esempio leggesi «...,. Noi possiamo solo immaginare che il giovane compositore Brasiliano, avendo prima fatto tesoro nella sua mente di musica dei grandi maestri, e avendo appreso qualche principio elementare d’orchestrazione, si mise a sedere e scrisse quello che gli venne prima alla niente. Comunque sia, musica meno originale, e quando originale più debole, è stata raramente udita sulle nostre scene liriche. Intorno ad essa hayvi assolutamente nulla a dire come un distinto lavoro d’arte. È sciacquatura delle bottiglie di Meyerbeer e di Verdi. Tale essendo il fatto, ei meravigliamo come mai l’opera sia stata messa in scena al Covent Garden» Fra le cose, che hanno fatto torto al lavoro del Gomes, è la pubblicazione data, non so ad istigazione di chi, nei pubblici giornali della sua •età giovanile. Gl’inglesi non sanno capire facilmente che si possa scrivere una buona opera all’età di 23 anni! La stagione del Covent Garden fu chiusa ieri l’altro colla Stella del Nord di Meyerbeer. I principali artisti erano la Patti, la Sinico, la Demeric-Lablache, Naudin, Bettini, Ciampi, Capponi, Tagliafico e Faure; e come potete credere la sala riboccava di spettatori. Il Gye sembra lamentare le grosse somme, che paga alla Patti; ma certo è che ogniqualvolta questa canta, le sterline piovono a profusione negli scrigni dell’impresa. Sto preparando uno specchio delle opere date a questo teatro nel corso della stagione con uno stato approssimativo dell’entrate e delle spese; e l’avrete nella settimana prossima. Dopo tutto non sarà rappresentata l’opera d’Auber, Caterina o les diamants de la Couronne, al Drury Lane! Il pubblico b isogna che sia soddisfatto coll’annunzio che verrà però data in principio della stagione dell’anno prossimo! Il Mapleson trova che le cose vecchie pagano meglio delle cose nuove; e illustra il proverbio della via vecchia e della via nuova! La produzione delle Nozze di Figaro, annunziata fastosamente con mille e uno suoni di tromba, ebbe luogo mercoledì, e non fu ’mirabile diclu! uno straordinario successo. Cherubino era la Nilsson; Susanna era la Kellogg; Contessa era la Titiens, e i signori Rota, Agnesi e Dorella erano Figaro, Bartolo e Basilio. Le Nozze di Figaro furono ripetute venerdì. ma il successo non fu menomamente diverso. Le opere di questa settimana sono Trovatore (questa sera) pel benefizio (apparente) del Campanini; domani Nozze di Figaro; giovedì Faust pel benefizio, egualmente apparente, della Nilsson; e sabato, benefizio della Titiens. avremo la Semiramide; colla quale opera sarà chiusa la stagione del Drury Lane. Il Concerto di Gounod in St. James’s Hall non è stato un successo. L’annunzio che l’illustre compositore del Faust avrebbe cantato in questa sola occasione un suo pezzo non è stato sufficiente attrazione. A proposito di questo concerto noterò che la direzione dell’Albert Hall dopo aver promesso al Gounod l’uso della sala pel suo concerto glielo ha indegnamente ritirato. La ragione di un simile procedere è ignota, ma qualunque possa essere è certo che la condotta di quei signori è stata indegna di gentiluomini. È noto come il Gounod non sia troppo popolare, come direttore della Società Corale di Albert Hall; ma non è colpa di Gounod, se esso non è nato colle eccentricità degl’inglesi e coll’intuizione delle cose inglesi La Società Corale degli artisti riuniti del Belgio, dopo una serie continua di trionfi e d’onori che ha durato per otto giorni, è ripartita per i patri lidi. Noterò infine un gran concerto, che ha avuto luogo mercoledì sera al Covent Garden cogli artisti del teatro, più la società suddetta. Quel concerto non fu un fiasco esattamente, ma mancò di soddisfare esattamente gli accorsi spettatori; i quali aspettavansi d’andare a un concerto vocale e strumentale, e non furono regalali, dietro pagamento ben inteso, che d’un concerto vocale. [p. 254 modifica]256 GAZZETTA MUSICALEDI MILANO CUC. Editore-Proprietario TITO DI GIO. RICORDI, Oggioni Giuseppe^ gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob. SONDRIO. Il teatro Sociale si aprì, dopo due anni di silenzio, con spettacolo d’opera, e fu dato il Rigoletto, che il pubblico accolse con entusiasmo. Buona l’esecuzione, affidata al baritono Massera, al tenore Gropello, e alle signore Albertini e Sanmartino. CIVITANOVA. Ci scrivono: L’apertura del nuovo teatro Annibai Caro ebbe luogo il 20 corrente col Ballo in maschera, di cui l’esito fu splendido. Emerse fra gli esecutori il tenore Prudenza il quale dovette ripetere la barcarola e la cabaletta del duetto con Amelia. BIEBRICH presso WIESBADEN, 13 luglio. Festival musicale a Cassel — La Leggenda di Santa Elisabetta di Liszt — Gli spettacoli del teatro Kroll di Berlino — Gli Ugonotti — L Ebrea — Il Postiglione di Lonyumeau. Benché mi trovi in viaggio per ricrearmi delle molte fatiche, avute nell’anno passato, pure non tarderò oltre a darvi un segno di vita, dalle rive auree del Reno: comincierò colla ricordanza dei bei giorni del Festival musicale in Cassel, di cui era il perno la riproduzione d’un nuovo oratorio di Liszt «La leggenda di Santa Elisabetta» per la quale l’autore era venuto a posta da Weimar. Quanto alla esecuzione non lasciò niente a desiderare e si potrebbe chiamarla un «modello» grazie alle cure infaticabili del bravo maestro municipale Reiss che diresse. l’orchestra ed il coro, e grazie pure ai solisti bravissimi. Fra questi sovrastava specialmente la Merian-Genast da Wiemar alla quale toccò il raro onore che lo stesso Liszt studiò la parte principale dell’oratorio con essa. La rappresentazione ebbe luogo nel teatro municipale; è un pò piccino, ma fu assettato per quest’occasione con molta abilità perchè potesse contenere oltre 200 donne ed uomini del coro e la numerosa orchestra. I maestri concertatori furono lo Heckmann da Lipsia ed il Wipplinger da Cassel. Quant’al valore della composizione è molto difficile descrivervi l’impressione totale dell’opera, e i suoi meriti speciali, Liszt da una parte è un gran genio nella stromentazione, dall’altra un partigiano fanatico del suo genero Wagner e ne imita la melodia infinita e il lungo filamento di temi insignificanti. Vi si trovano per altro bellezze esimie che soprastanno di gran lunga sul livello della solita musica ecclesiastica, e prodotti d’uno spirito, che quanto a grandiosità originale non ha il suo uguale. Saprete che il libretto, fatto dallo stesso abbate, tratta la biografìa della protagonista del Tannhaüser; il poeta ha compreso maravigliosamente il suo argomento, seppe scegliere i momenti efficacissimi della conosciuta leggenda. cosicché fu lasciato alla musica un eccellente campo a muoversi. Uno dei pezzi meglio riusciti è il «Miracolo delle rose» con una stromentazione che fa-stupore: bellissimo è il colorito mistico degli stromenti a fiato sposato agli arpeggi squisitissimi delle arpe. Impiegando in varii luoghi i toni ecclesiastici del medio evo trovò effetti singolari, cosi nel coro dei peregrini col canto fermo, contrappuntato con un’abilità che ei fa rincrescere molto di non possedere che pochi di questi esempii. Il successo non fu ottimo, causa la maniera straniera del maestro, nondimeno l’abbate ebbe due chiamate. Riserbandomi di scrivervi di più quanto prima sovra questa musica, non menziono per oggi che la grande ouverture Sigurd Slembo del noto compositore svedese Svendsen, a cui dobbiamo già, oltre di molt’altra musica, un ottimo ottetto. Quest’ouverture è un lavoro molto ingenuo, con brillante stromentazione, benché per lo più musica di programma, vale a dire non chiara e diafana alla prima. Ritorno ora alla patria mia, parlandovi del teatro Kroll, il quale fa del suo meglio per compensare le vacanze dell’opera imperiale, offrendo al pubblico la ricreazione piacevolissima d’un giardino veramente fastoso. Gli spettacoli di questo teatro sono buoni, e considerando il prezzo d’entrata (da 1 lira sino a 4) buonissimi, pure l’impresario non dee certo rimpiangere i pagamenti degli artisti proporzionatamente alti, poiché ha ogni sera il teatro pieno. Un avvenimento straordinario, la rappresentazione degli Ugonotti, col Teodoro Wachtel (figlio) nella parte di Raoul de Nangis, mi fece passare assai bene qualche ora in questo bel teatro; non posso dire altro se non che il Wachtel è un tenore, il cui possesso potrebbe essere invidiato da ogni teatro, congiungendo egli ad un buonissimo metodo di canto, molta intelligenza musicale. Ha voce estesa, sebbene negli acuti un poco fiacca. Nella stessa opera di Meyerbeer furono buonissime la Lauterbach (Valentina), ora scritturata per il nuovo teatro di Colonia, la Landauer (Urbano), la Zahorz di Praga (regina), il Massen (St. Bris) ed il Baumann (Marcello). Lietissimo esito ebbero pure le rappresentazioni delV Ebrea e del Postiglione eli Lonyumeau; nella prima l’Eleazar era il famoso Himmer di Carlsruhe; la Recha, la Lauterbach; l’Eudoxia, la Ferree di Francoforte; e nell’ultima emersero il Wachtel (ottimo Chapelon) e la Landauer (buonissima Maddalena). Presto andrà in scena con molte nuove decorazioni e macchine il Flauto magico di Mozart; io me ne prometto qualche cosa di straordinario. Finisco col comunicarvi che la musica del reggimento Francesco della guardia, sotto la direzione del bravo e meritevole maestro Saro, ottenne al gran giubileo musicale il primo premio d’onore, eseguendo nel giorno fissato per la musica tedesca, (oltre i suoi cavalli di parata: V ouverture di Oberon di Weber e la Fantasia sul Profeta di Wieprecht) l’inevitabile e l’immancabile Wacht am Rhein, accolto dai Yankee con applausi frenetici, accompagnati da getto di mazzi e di corone di fiori e d’alloro. Sia detto ad onore della nostra musica militare, che, dacché fu riformata dal bravo maestro Wieprecht, ha sempre saputo serbar la sua gloria e che l’introduzione di alcuni nuovi stromenti d’ottone, inventati dal Wieprecht; ha levato questa musica a tale, altezza da rendercene con ragione orgogliosi. AF( o. FIRENZE. Intorno alla Giralda del maestro Cagnoni, riprodotta dopo 20 anni, scrive il nostro silenzioso Biaggi nella Nazione: «Per la riproduzione che s’è fatta ora di quest’opera al teatro Principe Umberto, il Cagnoni fece ritoccare in più parti il libretto, vi aggiunse alcuni pezzi nuovi, ne tolse di vecchi e, crediamo, ne rifece quasi tutta l’istrumentazione. L’opera, nel suo insieme, guadagnò e non poco, e ne fanno fede non dubbia gli applausi con che venne accolta nelle tre rappresentazioni che se ne sono date sin qui; e le diciotto o venti volte che l’autore venne chiamato al proscenio, quando solo e quando coi valenti suoi esecutori. Non ostante tutto questo però, ei permettiamo di dirlo, non è ancora l’opera che l’arte ha il diritto d’aspettarsi dall’eletto ingegno del Cagnoni, dalla bella e ricca sua fantasia, dai molti e profondi suoi studii. La seconda Giralda ha pregi non pochi e non comuni che non aveva la prima; certe idee melodiche sono informate a un gusto più elevato e più nobile: l’armonia è più studiata ed eletta; l’istrumentazione è varia, più nutrita, più vivace di molto. E però fra i pezzi vecchi e i nuovi è un distacco sagliente in alcuni punti e troppo sensibile. Que’disegni de’pezzi, que’modi di canto e di svolgimento ch’erano o nuovi o accettatissimi n<J 1852, ora son vecchi e, generalmente parlando, si rifiutano.» E dell’esecuzione scrive: «Meglio ancora che nella Marta e nelle Fate, la signora Enrichetta DeBaillou-Marinoni si mostrò nella Giralda cantatrice abilissima e finita; degna in tutto del bel nome che gode nell’arte. Ella ha spontanea l’agilità; ha sicurissime le note sopracute; sicurissime le volate e le picchettate; ma con queste doti (che certe stelle non hanno) ella sa fraseggiare, sa legare e sa modulare la voce con arte squisita e veramente da maestra. Il tenore signor Piazza canta egregiamente e da par suo tutta l’opera. Il baritono signor Adolfi seppe farsi applaudire in più d’un punto; e in più d’un punto, seppe far ridere e farsi vivamente applaudire, del pari il basso comico signor Valentino Fioravanti.» NOTIZIE ITALIANE — Milano. Domenica 4 agosto e lunedì 5, sarà celebrata l’annuale Festa Tipografica; il primo giorno alla una pom., nel teatro Milanese, avrà luogo la Festa civile consistente nella relazione dell’operato della Commissione e nella estrazione a sorte di 15 premii; il lunedì mattina avrà luogo la Ricordanza funebre pei defunti benefattori e colleglli, nella chiesa di S. Fedele, e alle 8 di sera Un’Accademia Vocale-Istrumentale Drammatica al teatro della Canobbiana. Concorreranno a quest’accademia gli allievi della Scuola Popolare di canto, il corpo di musica della Guardia Nazionale,.! dilettanti dell’Accademia Filodrammatica ed altri artisti di canto e concertisti. L’introito andrà metà a beneficio dei danneggiati dalle inondazioni, metà a beneficio del Fondo Vedove ed Orfani del Pio Istituto Tipografico. — Bergamo. Alcuni egregi giovani dilettanti di musica e maestri si sono fatti iniziatori di una Società intitolata: Accademia Donizetti, allo scopo di promuovere il buon gusto della musica e di migliorare l’esecuzione dei migliori componimenti musicali. — Ferrara. Ci scrivono: - L’esperimento pubblico degli alunni dell’istituto Municipale di musica ebbe luogo giorni sono al teatro Comunale, a beneficio dei danneggiati dall’innondazione. Fu un bel pensiero che permise di incassare-550 lire; immaginate qual folla poiché il biglietto d’ingresso costava soli 40 centesimi! I saggi furono buoni ed applauditi come ottimi. Certo è che l’istituto in soli tre anni di vita ha fatto miracoli; ora conta allievi di cui può andare orgoglioso. Quattro degli abbonati che spiegheranno il Rebus, estratti a sorte, avranno in dono uno dei pezzi enumerati nella copertina della Rivista Minima, a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 28: INTER - ESSE Nessuno ne mandò la spiegazione esatta.