Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
kbda.ttorb’* SALVATORE FARINA SI PUBBLICA OGNI DOMENICA IL PIANOFORTE POSIZIONI DELLE MANI-.MODO DI SUONARE CENNI TEORICO-PRATICI DI ANTONIO ANGELERI ILLUSTRATI ALL’ACQUA FORTE DA ELEUTERIO PAGLIARO Intorno a questa importantissima pubblicazione, riportiamo con piacere ciò che scrive l’egregio appendicista della Perseveranza, nel numero dell’8 corrente. L’eccellente lavoro sullo studio del pianoforte, pubblicato dal chiarissimo Angeleri, merita speciale considerazione per la fama, per l’ingegno dell’autore, e per il nuovo punto di vista più pratico, più logico, più spiccio di tutti gli altri metodi, dei quali ve n’ha una farragine, ma quasi tutti composti in modo troppo ampio, disordinato, superfluo, per cui chi li studia non è certo per loro merito se diventa buon suonatore. Al vedere annunziata questa preziosa operetta, son sicuro che molti grideranno: Oh che, di melodi per pianoforte non ne abbiamo abbastanza? Era proprio necessario che il signor Angeleri venisse fuori col suo? Sarà un mezzo di più per abbujare le menti e per mettere in iscompiglio il gusto musicale. Questi signori, pessimisti a priori, capiranno d’aver torto, e non diranno più così, quando sapranno e vedranno con quali criterii il celebre nostro professore abbia dettati i suoi cenni. I Melodi per pianoforte, finora pubblicati, per voler insegnar troppo, insegnano poco o nulla, e quasi tutti guastano la mano nel primo impianto sulla tastiera; vogliono abbracciare tutta l’arte dall’aZ/h aU’owepa; incominciano coll’insegnare i primissimi elementi musicali e finiscono col dare lezioni di stile e di esecuzione dei classici. Ogni pianista di grido ha voluto pubblicare il suo metodo e tutti furono acciecati dalla impotente pretesa di fare con un solo ed unico metodo tanto il suonatore meccanico, che l’artista. Molti di questi autori, professori, maestri e pianisti, io li venero e li rispetto, ma credo che le loro opere didattiche abbiano poco giovato, se per avventura invece non hanno guastata senza rimedio qualche butna organizzazione. I metodi per pianoforte i più accreditati di Czerny, di Herz, di Kummel, di Moscheles, di Bertini, di Kalkbrenner, hanno tutti questo difetto radicale, di voler abbracciare troppo, per riescire ■poscia a stringere nulla: sono volumoni pieni di esempi, di esercizii, di studii, di brani tolti dai classici, tutta roba che mette una grande confusione nella testa dello studioso, e gli fa dimenticare l’affare più importante, ch’è lo snodamento, l’indipendenza e 1 agilità delle dita. Io lo so per mia propria esperienza: coi metodi sopraccitati, invece che fermarsi agli esercizii meccanici delle cinque dita, ed alle scale, si corre alla prima sonatina, al Non più andrai di Mozart, e poscia si prende coraggio, si va più avanti, e se il Metodo contiene dei brani di Beethoven o di Chopin, si arrischia il gran salto e si fa il più solenne dei capitomboli: cioè li si suona scorrettamente, colle dita impacciate, senza conoscere la giusta posa delle braccia, delle mani e di tutta la persona. Guastato il meccanismo nei primordi, non c’è più rimedio; si hanno di quei suonatori, per esempio, che colla mano diritta fanno scale, arpeggi, salti, volate, e colla sinistra è un miracolo se possono a mala pena strimpellare un accordo. Il concetto dell’Angeleri è semplice, chiaro, d’una utilità diretta, sicura, indiscutibile, come lo provano tutti gli allievi di lui, alcuni dei quali per genio od ingegno singolari salirono al sommo dell’arte, ma tutti poi suonano bene, con correttezza, precisione, limpidezza e scorrevolezza di tocco. L’Angeleri, ispirato alle ottime tradizioni del Pollini, ha fondata una scuola nel nostro Conservatorio, che dal lato dell’esecuzione meccanica non lascia nulla da desiderare: e questo è già molto, perchè per la parte ideale, interpretativa, più che i metodi, i maestri, e le scuole, vale il dono di Dio dell’intelligenza e del genio. Per ispiegare in termini chiari ed esatti il concetto dell’egregio Angeleri, non trovo di meglio che riprodurre la prefazione al suo lavoro; ecco come si esprime il chiaro professore: «Scopo di questo mio lavoro non è certamente quello di aggiungere un nuovo metodo ai tanti pregevolissimi già esistenti; non potrei in allora che ripetere quei precetti, i quali ogni buon maestro di pianoforte ha imparato da molto tempo a mettere in pratica e ad insegnare. Per diventare buon pianista non basta stare al pianoforte sei ore al giorno, fare gli esercizi e le scale come si trovano ne’metodi sovra citati, non basta infine tutta quella ginnastica delle dita che serve il più delle volte a disgustare l’allievo, prima che alcun buon risultato si appalesi. Con molto minor fatica di quella che generalmente si crede necessaria, si può arrivare ad essere buon pianista, purché si abbia cura di tenere la mano sulla tastiera in quella data posizione, muovendo le dita con quelle regole che sole possono dare lo sviluppo necessario e la flessibilità atta a formare il buon suonatore: di queste regole, di questa posizione, la di cui eccellenza ho potuto esperimentare nella mia lunga carriera di professore al R. Conservatorio di Milano, ho voluto lasciare memoria, nella speranza di fare cosa utile non solo ai miei allievi che professano l’arte, rendendo loro più facile e meno faticoso l’insegnare quanto hanno imparato sotto la mia direzione, ma altresì più specialmente a coloro che, per mancanza di mezzi, o dell’opportunità di procurarsi un buon maestro, volessero da soli dedicarsi allo studio dell’istrumento il più completo ed il più diffuso, qual è il pianoforte. «Con quattro ore al giorno di studio ed un’attenta osserva