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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 251 Tommaseo si troverebbero imbrogliati a conciliare la bontà dello stile, e l’eleganza, colla evidenza e la precisione voluta dalla specialità dell’argomento. Il libro è stampato dal Ricordi con una edizione, come la più bella, la più graziosa, la più ricca non si può immaginare: carta, caratteri, esempi musicali, frontispizio, tutto è una meraviglia tipografica. F. Filippi. Ci perviene la seguente lettera che pubblichiamo assai di buon grado. Nel N. 27 del pregiato giornale la Gazzetta Musicale di Milano, dal titolo corrispondenze da Roma in data 4 di questo mese, leggonsi a riguardo di questa R. Accademia alcune parole in cui il corrispondente A,., riferisce fatti ed appreziazioni che non concordano con la verità. Sebbene il sottoscritto nel resoconto fatto all’assemblea generale convocata al giorno 6 del suddetto mese, abbia chiaramente indicato lo stato delle cose, e questi Accademici non possano cadere in errore, tuttavia perchè anche gli altri lettori del giornale non equivochino nei loro giudizi, prega la gentilezza della S. V. a voler far loro conoscere, essere dovuto alle premure del R. Ministero della P. Istruzione la concessione della sala del palazzo Capitolino, e che le speranze del concorso del Governo e del Municipio alla fondazione di un Liceo musicale in Roma, hanno valido fondamento, sulle eccellenti favorevoli disposizioni, manifestate a questa Commissione dirigente, da’Rappresentanti dell’uno e dell’altro. Nella certezza che Ella, signor Direttore vorrà favorire il desiderio del sottoscritto, ha l’onore di professarsi Della S. V. 0. Dev. servitore Odoardo Pelissier Segret. della R. Accademia di S. Cecilia. Abbiamo comunicata questa rettificazione al nostro corrispondente romano, il quale ei prega di pubblicare le seguenti parole di contro risposta: «Quanto al Municipio ho già scritto nell’ultima mia corrispondenza, che per un errore tipografico gli erano state attribuite intenzioni poco favorevoli, mentre al contrario, le ha manifestate favorevolissime. Se il Segretario deH’Accademia ha letto i due ultimi num. della Gazzetta, avrà trovato per ben due volte rettifìcato quell’errore, prima dalla Redazione e poi da me. Sull’appoggio che si può sperare dal Municipio, non cade, adunque alcun dubbio. Quanto al governo è questione d’apprezzamento. Io faccio voti sinceri affinchè le speranze dell’Accademia non vadano deluse, e so pure che l’ex-ministro Correnti avea fatto qualche promessa. Ma il Correnti è caduto ed ora ha l’interim della Istruzione pubblica il Sella, rispettabilissima persona, ma acerrimo nemico dell’arti belle in generale e della musica in particolare. Chi sarà il futuro Ministro? Auguriamoci che il Sella non se lo scelga ad immagine e similitudine sua. E, ad ogni modo non potrà, spendere un centesimo se il ministro delle Finanze non gliene darà il permesso. Ciò non toglie che si possa e si debba insistere presso il governo, e l’Accademia di S. Cecilia mi vedrà sempre in prima linea fra quelli che difenderanno la nobile causa ch’essa sostiene.» Roma, 26 luglio, 1872. A... Rivista Milanese Sabato, 27 luglio. II Politeama al Tivoli ha spalancato i suoi battenti ed ha gridato (senza stonare) il primo versetto della litania d’opere promesse: Papà Martin! So che dicendo senza stonare, affermo un miracolo che troverà molti increduli, ma chi non vuol credere tocchi, ed è appunto ciò che invoca a mani giunte l’impresario Trabattoni. Se mi si permette di rovesciare per questa volta solo tutte le leggi architettoniche della critica teatrale, poi che ho accennato all’esecuzione, me ne sbrigherò in due parole. Quest’opera, come molte delle figlie maggiori dello stesso padre, è appoggiata a Bùttero; è una fortuna e una disgrazia insieme, perchè con altri che non sia Bottero la parte di Papà Martin diventerà una parodia. Questa volta abbiamo avuto la fortuna e ce la siamo proprio goduta; dire come questo re dei Un giovane mulatto di alta statura apparve in sul momento. — Ascolta, Giovanni, disse Velâzquez prendendogli la mano; ascolta, e se è certo che mi ami, adempì esattamente quanto ti dico. — Comandami, padrone, rispose il mulatto con voce vibrata. — Abbi cura di mia sorella, Giovanni; non lasciar giungere vicino ad essa neppure lo stesso conte-duca, se, come temo, torna stamane a Madrid. Dormi alla porta di questa camera, ed entro due giorni, quando torno a prendere Anna, fa in modo che la trovi più allegra di quello che oggi la lascio. — Sarò l’ombra di donna Anna, padrone; e quando tornerete la troverete vispa e contenta. — Grazie, Giovanni; il tuo cuore racchiude il valore indomito dei leoni delle tue foreste, e la tua anima tutta la tenerezza di una madre. Giovanni, mi affido a te, addio. Velâzquez abbracciò di nuovo sua sorella, strinse la mano di Giovanni e lanciossi fuori della camera. Mezz’ora dopo, approfittando delle ultime ore della notte, la comitiva reale partì. In una delle prime carrozze che seguivano il Re, c’erano don Diego Velâzquez e il conte-duca. Udivasi ancora il rumore delle ruote dell’ultimo cocchio, quando venne picchiato alla porta della stanza di Anna. — Chi è? chiese lo schiavo mulatto, il quale ritto innanzi alla sua padrona la contemplava. — Aprite onde io possa recare a donna Anna un messaggio da parte della Regina, rispose la voce di una dama d’onore. Il mulatto girò la chiave e ritirossi con rispetto per lasciare il passo all’illustre messaggiera. Ma nello stesso istante, quattro uomini lo rovesciarono a terra, e chiusero le sue labbra con un bavaglio prima che potesse gettare un grido; indi lo legarono strettamente. Infrattanto altri due eransi avvicinati ad Anna, e turandole la bocca con un fazzoletto, la trasportarono svenuta dall’abitazione. L’infelice schiavo fece uno sforzo tanto violento per rompere i suoi lacci, che quell’abbronzito volto diventò livido, e ognuna delle corde che legavangli le mani segnò una striscia di sangue. Nell’udire il fragore del cocchio che trasportava la sua padrona, un’amara disperazione si dipinse ne’ suoi lineamenti, e due grosse lagrime gli corsero sulle guancie. Anna venne deposta in una casetta di povera apparenza, posta nella parte più lontana della via degli Autores. Nel levarla dalla carrozza, priva di sensi, la ricevette nelle sue braccia una giovane dal volto ridente e amabile; ma la sua gaia fisonomia mutossi profondamente nel vedere la bellissima fanciulla bianca e fredda come una statua di alabastro. Collocolla dolcemente su una sedia, e slacciò il fazzoletto che barbaramente gli avevano legato sulla bocca. Nello stesso istante, il conte-duca diceva a Velâzquez, mentre il cocchio li trasportava entrambi sulla via dell’Escoriai: — Custodite vostra sorella dalle insidie del Re, don Diego; lo vedo tanto furiosamente innamorato, che lo credo capace di tutto. Vili GIOVANNI DE PAREJA. Un’ora dopo il ratto di Anna, il mulatto venne scosso dagli altri servi di Velâzquez, che entrarono per informarsi da lei se amava che le servissero la colazione. Lo schiavo non rispose a nessuna delle domande che gli fecero, nè parve fare attenzione alcuna ai lamenti de’suoi compagni per la scomparsa della giovane padrona. Fece tre o quattro giri per l’appartamento come un leone imprigionato, e tosto corse sulla via, pallido e stravolto, dopo d’aver tentato con inutili e disperati sforzi di rompere i lacci.»Giovanni de Pareja - dice un’egregio scrittore (1) dei nostri giorni - era schiavo del celebre ammiraglio Pareja, al quale fece il ritratto Velâzquez. Maravigliato quel marinaio nel vedere le sue sembianze tanto stupendamente e perfettamente riprodotte dal pittore più celebre di Spagna, andò a ringraziarlo (1) Don Giuseppe Muhoz Gaviria.